venerdì 30 novembre 2007

Smettere di bere è una questione di geni?

Una nuova tessera si aggiunge al mosaico dei rapporti tra geni e comportamento: uno studio americano sugli alcolisti correla un profilo genetico "a basso rischio" a maggiori probabilità di recupero con il programma di psicoterapia dei "12 passi” proposto dagli Alcolisti Anonimi, rispetto ad altre psicoterapie. E’ un approccio bottom-up, che parte dal basso, dalle caratteristiche psicobiologiche dell’individuo e cerca di orientare il successivo percorso terapeutico, diversamente da quello top-down tipico della psicologia tradizionale. Le ricerche condotte presso l’Alcohol Research Center dell’Università del Connecticut, sono pubblicate sul numero di novembre della rivista Alcoholism: Clinical & Experimental Research.


La vulnerabilità all’alcolismo comprende sia fattori genetici che ambientali. Da alcuni anni le analisi genetiche hanno dimostrato una forte componente ereditaria (dal 52 al 64 per cento) nella propensione al bere, con una associazione significativa tra il rischio di alcolismo e variazioni della sequenza del DNA definite “polimorfismo a singolo nucleotide” all’interno del gene GABRA2 (codificante per una subunità di una classe di recettori che mediano gli effetti del GABA, il principale neurotramettitore inibitorio del cervello). Nuovi risultati indicano che il genotipo GABRA2 non solo modifichi l’atteggiamento generale nei confronti del bere, ma influisca sul successo dei vari tipi di psicoterapia.


“Avevamo già mostrato che un allele GABRA2 ad alto rischio era associato a una marcata risposta all’alcol in soggetti sani - spiega Henry Kranzler, uno degli autori dello studio - nell’ipotesi che la presenza di questo allele potesse predire il comportamento di bevuta in alcolisti in trattamento, abbiamo messo a punto un’indagine per identificare alcuni fattori di predizione del successo terapeutico in alcolisti in psicoterapia”.


Il metodo comportava l’analisi genetica di soggetti europei ed americani che stavano partecipando al progetto MATCH, un trial randomizzato che valutava l’efficacia di 3 tipi di terapia: quella cognitivo comportamentale (CBT); di rafforzamento motivazionale (aumento della motivazione al cambiamento, MET); e di facilitazione a 12 passi (TSF, utilizzata dagli Alcolisti Anonimi).


I risultati, espressi come numero di giorni di bevuta e di forte bevuta, indicano che i pazienti con due alleli GABRA2 (omozigoti) a basso rischio hanno comportamenti di ricaduta nell’alcol meno marcati degli alcolisti che sono portatori di uno o due alleli GABRA2 ad alto rischio. “Inoltre - aggiunge Kranzler - è evidente una differenza di risposta alla psicoterapia, in rapporto al genotipo GABRA2. Le persone con genotipo a basso rischio mostrano maggiori benefici da una particolare psicoterapia, la TSF, rispetto agli altri trattamenti”.


L’alcolismo è riconosciuto come uno dei più gravi problemi della salute pubblica. Non danneggia soltanto l'alcolista perché gli effetti si riflettono nell’ambiente familiare, sul lavoro, sulla strada. Perché si comincia a bere? L’alcol è un ansiolitico, probabilmente il più potente e anche a portata di mano. Si beve per superare sensazioni di inadeguatezza, di solitudine, per affrontare situazioni difficili, spiacevoli, ma anche quelle piacevoli; l’alcol serve ad anestetizzare le emozioni e a tenersi a distanza dai sentimenti, dalla consapevolezza. Come comprendere se dai due-tre-quattro bicchieri quotidiani si sta scivolando insensibilmente verso la dipendenza? Un semplice test consiste nell’assegnarsi dei limiti: una dose giornaliera (circa due bicchieri) da non superare in nessun caso, durante un periodo di alcuni mesi, anche se nel frattempo intervengono circostanze particolari che comportano interferenze emotive (problemi sul lavoro, discussioni con il partner, matrimoni, funerali, licenziamenti, disastri, ma anche feste, viaggi, promozioni, ecc.). Soltanto due bicchieri e senza barare con se stessi. Solo così si può scoprire se si riesce a controllare il bisogno di bere, o, al contrario, se l’alcol funziona come regolatore degli stati emotivi. Ed eventualmente prendere coscienza che si ha “un problema” con l’alcol, prima ancora di ammettere di essere un alcolista.


L’associazione Alcolisti Anonimi (A.A) nata in Italia nel 1972, dall’esperienza dei gruppi di auto aiuto americani, è presente in tutto il territorio con circa 450 gruppi. Si basa su una regola ferrea: l’anonimato dei partecipanti ed utilizza un programma di auto-consapevolezza ed evoluzione spirituale basato sulla “teoria dei 12 passi”. Tutti gli esponenti dell’associazione sono ex alcolisti. In genere le persone si incontrano una o due volte alla settimana in riunioni “aperte” alle quali possono partecipare tutti coloro che sono interessati ad A.A (alcolisti, parenti ed amici) e riunioni “chiuse” riservate esclusivamente agli alcolisti. Queste ultime consistono in discussioni di gruppo in cui ognuno può esprimere le difficoltà che incontra nel restare sobrio e per i problemi nella vita di ogni giorno. Gli altri alcolisti hanno vissuto situazioni analoghe e potranno spiegare come le hanno superate, impegnandosi in uno o più “passi” del programma di recupero.


Si comincia con il rimanere “puliti” (senza bere) un giorno alla volta, ovvero ad accettare l’idea di essere un alcolista (primo passo), ad affidarsi a qualcuno (secondo e terzo passo). Il gruppo aiuta l’alcolista a rompere l’isolamento in cui l’alcol lo ha confinato, ad avere fiducia nei suoi nuovi amici e ad affidarsi a un Potere Superiore, comunque sia in grado di concepirlo in quel momento in rapporto alla sua formazione religiosa e spirituale. Anche il gruppo stesso può essere visto come un “potere superiore”, dal momento che riesce laddove il singolo non trova una soluzione. Successivamente, attraverso l’autoanalisi e il confronto con una persona di propria fiducia, si procede ad una verifica e all’accettazione di se stessi (quarto e il quinto passo), si inizia un percorso di cambiamento basato sulla progressiva modificazione dei propri comportamenti (sesto e settimo), si tende al recupero delle relazioni con gli altri (ottavo e nono), ci si prepara a mettere in pratica il nuovo stile di vita (decimo), si approfondisce il percorso spirituale con la meditazione e la preghiera, alimentando un senso di appartenenza al mondo (undicesimo), infine si comincia a portare il messaggio ad altri alcolisti (dodicesimo passo).


E’ un programma che può dare dei buoni risultati. La sobrietà riguarda non tanto lo “stare meglio”, almeno non subito, ma piuttosto il sottoporsi al cambiamento, imparare a vivere una vera emozione (dolore, ansia, tristezza, ma anche gioia) senza tentare di anestetizzarla. Alcuni centrano l’obiettivo sin dalla prima seduta, altri hanno bisogno di frequentare il gruppo a lungo, anche se sobri da molti anni.


Questione di geni? Gli studi recenti sul fenomeno della “resilienza” - la capacità di superare situazioni problematiche - ci insegnano che i geni non sono destino. Anche se esiste un legame strettissimo tra biologia e psicologia, l’alcolista, qualunque sia il suo profilo genetico, ad alto o basso rischio, può trovare un modo - attraverso la terapia farmacologica, psicologica o di sostegno - per riconnettersi con la vita.


Articolo tratto da: www.lastampa.it


 

Approvata legge su psicofarmaci e bambini

E’ giunta al capolinea la prima legge regionale che pone sotto stretto controllo sul territorio il fenomeno dell’ADHD, la sindrome dei bambini troppo distratti ed irrequieti: è stata approvata ieri a larga maggioranza in Consiglio Regionale del Piemonte, su proposta del Consigliere Gianluca Vignale e del Presidente del Consiglio Davide Gariglio.



La legge – che colma a livello locale un vuoto normativo sul quale era stato inutilmente chiamato a pronunciarsi mediante una circolare nazionale il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni - si basa su alcuni punti fermi estremamente chiari: l’obbligo in caso di somministrazione di psicofarmaci ai bambini di raccolta - a cura del medico - di un consenso informato veramente consapevole da parte dei genitori, che dovranno essere informati su ogni tipo di rischio afferente la terapia farmacologia proposta, con particolare riguardo alla possibilità di accedere a terapie alternative non a base di psicofarmaci; in secondo luogo, il riconoscimento della libertà di coscienza del medico che decide di non prescrivere psicofarmaci al minore, medico che non potrà quindi venir sottoposto a censura professionale di alcun tipo; importante anche il divieto di somministrare nelle scuole ‘test psichiatrici’, dal momento che l’istituzione Piemontese ha individuato negli screening ad ampio raggio della popolazione scolastica un rischio di sollecitazione indiretta al consumo di queste molecole psicoattive, in quanto in tutti i paesi dove tali screening sono stati effettuati si è poi assistito ad un aumento delle vendite di psicofarmaci per l’età pediatrica, senza trovare una reale corrispondenza nel numero di bambini davvero malati; infine, l’obbligo per l’Assessorato alla Sanità di monitorare rigidamente le terapie sui minori a base di psicofarmaci, anche mediante una Commissione che includerà associazioni di settore qualificate ad esprimere pareri su queste tematiche.



“Una legge innovativa – ha commentato Luca Poma, portavoce nazionale di ‘Giù le Mani dai Bambini®’, prima campagna italiana per la farmacovigilanza in età pediatrica – perché pur non ‘mettendo il bavaglio al medico’ istituisce dei principi rigidi di controllo a tutto favore dei cittadini e dei piccoli pazienti: i testi psichiatrici potranno essere somministrati solo nelle strutture sanitarie pubbliche, com’è giusto per evitare l’impropria trasformazione della scuola in anticamera dell’ASL, fenomeno al quale assistiamo con sempre maggior frequenza in Italia. Avevamo sollecitato in più occasioni il Ministero della Pubblica Istruzione ad intervenire con una circolare nazionale, e con spirito collaborativo già da oltre un anno avevamo messo i nostri esperti a loro completa disposizione – conclude Poma – ma probabilmente questa tematica non rientra tra le priorità di governo del Ministro Fioroni: fortunatamente, la Regione Piemonte con questa legge – approvata in modo assolutamente ‘bipartisan’ - ha dato un segnale forte in direzione della miglior tutela della salute dei bambini”.



Soddisfazione è stata espressa anche dai primi firmatari della legge: “Non si può speculare sulla salute mentale dei nostri bambini – aveva dichiarato Gianluca Vignale, primo firmatario della Legge – e come padre di due figli rabbrividisco al solo pensiero che un giorno qualcuno possa prescrivergli psicofarmaci sulla base di test riduttivi come quelli usati per diagnosticare l’iperattività”.


Fonte: http://www.giulemanidaibambini.org/ 


 


 


giovedì 29 novembre 2007

TRASFORMAZIONE IN ALLUCINOSI E OSSERVAZIONE PSICOANALITICA

S. Freni, D. Sartorelli


 


Con questo lavoro vogliamo portare un contributo di riflessione teorica, teorico-tecnica e relative applicazioni alla pratica clinica, del modello euristico trasformazione in allucinosi (T.A.) formulato da Bion (1965).


L'interesse, nel porlo al centro della nostra attenzione, é derivato da varie considerazioni, che cercheremo di esporre più avanti senza pretesa di completezza; sul piano clinico-pratico, il nostro studio del modello T.A. e la sua rilevanza posizionale nell'ambito più·generale della teoria delle trasformazioni é maturato sostanzialmente in tre contesti clinici:


A. Fase osservazionale preliminare a un trattamento terapeutico.


B. Trattamento psicoanalitico con pazienti gravemente disturbati.


C. Trattamento psicoanalitico con pazienti non gravemente disturbati.


Casi clinici (qui omessi)


Considerazioni teoriche.


I contesti clinici summenzionati hanno lo scopo di mettere in evidenza i vertici osservativi in cui si vengono a trovare paziente e analista allorché il campo della relazione é dominato da T.A. Il paziente sembra non disporre di alcuna funzione di contenimento psichico e il terapeuta sembra non essere in grado di fornirne. Anzi, sembra che gli interventi dell'analista determinino nel paziente un aumento di turbolenza e tensione interna che viene evacuata nel corpo e nel mondo esterno sotto forma di agiti, deliri e allucinazioni osservabili nel setting e all'esterno.


Da questo punto di vista, la caratteristica fondamentale di T.A. é di essere una trasformazione in assenza di contenitore mentale e ciò la differenzia radicalmente dalle trasformazioni proiettive e da quelle a moto rigido. Tale asserzione va precisata in relazione al vertice adottato.


Dal vertice esperienziale, cioé dalla ricerca dell'essere all'unisono con il paziente l'analista, calato in atmosfere T.A., partecipa ad un'esperienza catastrofica. Essa può dar luogo a gravi sentimenti di onnipotenza, piuttosto che a gravi sentimenti di impotenza e annichilimento, più o meno associati a reazioni psicosomatiche. Egli vive il dilemma di essere disconosciuto come persona, di fatto impotente rispetto alla realizzazione del contenimento mentale, ma al contempo forzato a costituirsi come contenitore. Assiste alla vanificazione o ad un uso pericolosamente distorto del suo strumento fondamentale (l'interpretazione) mentre partecipa a esperienze dolorose e pericolose. In tale situazione avverte come evento felice il primo affacciarsi di chiari segni di identificazioni proiettive (nel senso originario di M. Klein), quale prototipo di relazione contenitore-contenuto e di trasformazioni proiettive; in tal caso, infatti, l'analista viene riconosciuto nella sua funzione di contenitore.


Dal vertice osservazionale psicoanalitico le T.A. sembrano istituire come contenitore l'universo spazio-temporale, nel quale vengono dispersi i contenuti della trasformazione. In tal senso la presenza e la funzione dell'analista sono assimilate al contenimento naturalistico, fisico e sensoriale (madre-ambiente nel senso di Winnicott). Sono cioé fondamentali tutti quegli aspetti muti del setting, del processo analitico e della fisicità della relazione. Le caratteristiche positive di T.A. consistono nell'essere diretta espressione di una matrice primigenia dello psichico, creatrice di un universo segnico di materiali psichici elementari forniti di qualità affettive grezze (Eigen 1985), preliminare a qualunque possibilità di costruzione del pensiero. Gli aspetti negativi risiedono essenzialmente nella sistematica e generalizzata opposizione a qualunque forma di limitazione e frustrazione, elementi insiti e inevitabili della vita, affidandone l'evitamento (dal vertice dell'osservatore) a: estrema rivalità, invidia, esplosività, velocità, apoditticità, arroganza, superbia, bugia. Riteniamo che la posizione contiguo-autistica formulata da Ogden (1988,1989) costituisca di fatto il dominio per eccellenza delle T.A., la fenomenologia delle quali ha assunto connotati di implosione con manifestazioni mute, sostanzialmente affidate a modalità espressive prevalentemente psicosomatiche. La natura implosiva, ignota dal vertice psicoanalitico, potrebbe essere anche ascritta ad un deficit originario, la cui interpretazione é aperta a diverse ipotesi eziologiche, sia psicologiche che biologiche. All'osservatore sembra che il soggetto, pervaso da T.A. in tale condizione, forzi il corpo a costituirsi come contenitore, mentre appare più marcato l'aspetto orrifico delle emozioni e dei pensieri. Pertanto l'uscita dalla posizione contiguo-autistica, nel suo affacciarsi alla posizione paranoide-schizoide, secondo l'originaria formulazione di M. Klein (1946), è inevitabilmente contrassegnata da violenti fenomeni di evacuazione e dispersione sia a livello verbale che comportamentale. La fenomenologia esplosiva di T.A. istituisce come contenitore l'universo spazio-temporale e ciò può essere assunto come segnale della necessità che si costituisca una relazione contenitore-contenuto. Tutto ciò, naturalmente, dal punto di vista dell'osservatore psicoanalista, dato che nel soggetto pervaso da T.A. la discriminazione interno/esterno, é, per definizione, inesistente. Per la stessa ragione non esiste una specifica intenzionalità aggressivo-distruttiva rivolta all'oggetto e al sè. L'ingresso nella posizione paranoide-schizoide é segnalato dalla esistenza di una relazione contenitore-contenuto. Il paziente tende a concentrare i suoi attacchi sull'analista, ora riconosciuto come oggetto persecutorio e al contempo salvifico, mentre si riducono l'evacuazione e la dispersione. L'analista ora si sente ingaggiato in un rapporto affettivo condivisibile, sia pure parzialmente, e dispone di una esperienza interpretabile secondo il modello dell'identificazione proiettiva. Entriamo così nel dominio delle trasformazioni proiettive, la funzione specifica delle quali é quella di testare e sottoporre a prova la capacità di tenuta della nuova relazione. Qui diventeranno preminenti rispetto all'evoluzione positiva della relazione la capacità dell'analista di preservare il setting e di interpretare.


Abbiamo trovato molto illuminante il contributo di Meltzer (1986, pp.113-126) relativo all'applicazione clinica del concetto di T.A. Egli, infatti, fornisce una descrizione di T.A. molto chiara, differenziandola dall'allucinazione, in un paziente la cui sovrastruttura culturale molto sofisticata rende particolarmente difficile il riconoscimento di T.A. Secondo noi, rimangono ancora aperte alcune questioni; ad esempio, la necessità di precisare e differenziare il vertice osservativo di paziente e analista in T.A.; se T.A. vada ascritta a condizioni cliniche particolarmente gravi, attribuibili perlopiù allo spettro dei disturbi paranoidi, o se invece non vada immaginata come modalità ineludibile nel processo di costituzione del pensiero simbolico. Infatti, dal punto di vista prospettico, genetico-evolutivo, T.A. appare come il primo emergere del protomentale il cui destino potrà essere diverso dalla semplice evacuazione solo e se si sarà realizzata la relazione contenitore-contenuto, quale luogo di elaborazione di trasformazioni proiettive.


Dal punto di vista retrospettivo (cioé per effetto della Nachträglichkeit ) le T.A. sembrano l'esito di un processo rovesciato per cui i sogni e gli elementi alfa vengono cannibalizzati tornando a uno stato primitivo, che é simile a quello degli elementi beta, e in tale stato vengono successivamente evacuati attraverso un rovesciamento della funzione degli organi di senso e quindi riassunti come percezioni nuove (Meltzer pp.115-116); poichè in tale riprocessazione viene trattenuto un brandello di significato, il paziente dal vertice dell'analista appare come non percepire eventi e oggetti sui quali debba pensare per ricavarne un significato--percepisce oggetti che contengono già significato (Meltzer, p.116). Dal vertice del paziente il brandello di significato é semplicemente un dato di fatto su cui non c'è alcunchè da riflettere. Qualora l'analista fondasse il proprio intervento sulla possibilità di interpretare il brandello di significato attaccherebbe il paziente perchè smentirebbe il suo esame di realtà, la sua capacità percettiva e di pensiero; il paziente, umiliato e offeso, reagirebbe smentendo l'analista; si avvierebbe così la contrapposizione che dà luogo all'iperbole. Interpretare T.A. come si interpreterebbero le trasformazioni proiettive o a moto rigido , secondo i consueti modelli dell'identificazione proiettiva e del transfert , accentua l'esplosività e la violenza della evacuazione. Se adottiamo come vertice lo psicoanalista osservatore di una relazione analitica pervasa da T.A., il contenitore di T.A. é un universo a quattro dimensioni, più o meno esteso, che contiene anche il campo relazionale in atto. Questa caratteristica debordante dell'universo delle T.A. mette in rilievo la problematicità teorica e pratica di trattare psicoanaliticamente le T.A. Se consideriamo l'identificazione come la funzione analitica correlata al trattamento della dinamica transfert/controtransfert, la rêverie come la funzione correlata al trattamento delle identificazioni proiettive, risulta evidente che entrambe sono funzioni di una relazione contenitore-contenuto in atto, variamente configurata; ciò anche nel caso di una configurazione caratterizzata dalla pervasività di trasformazioni proiettive deformanti il contenitore al punto da minacciarne la distruzione, senza tuttavia realizzarla. Invece il predominio di T.A. nel contesto analitico é la prova della distruzione della relazione contenitore-contenuto e della sua inesistenza per il paziente. Tale condizione determina per l'analista gravi difficoltà nell'esercitare l'attività psicoanalitica: il paziente é incomprensibile o irraggiungibile, fa gravi agiti sia all'interno del setting analitico che all'esterno, in particolare assenze più o meno prolungate, mancato pagamento delle sedute, interferenze famigliari e/o giudiziarie. In tali circostanze la possibilità di esercitare la pratica analitica é messa in dubbio; l'esistenza stessa dell'analista, la sua mente, uno degli strumenti consueti del suo lavoro (interpretazione ) sono denegati. Si tratta di salvaguardare un assetto mentale caratterizzato dalla scissione tra: una parte di sè che partecipa all'esperienza terrificante del paziente dal vertice del paziente; e una parte di sè fiduciosa delle proprie risorse affettive e della bontà della psicoanalisi al punto da ritenere necessaria ai fini della sopravvivenza e dello sviluppo della relazione analitica una continua e attenta rielaborazione dei fenomeni osservati. Nello svolgimento di questo lavoro interno l'analista é solo e alle prese con il dolore di non potere condividere con il paziente la propria comprensione dell'esperienza in atto e i suoi possibili significati. La comprensione che raggiunge alimenta la vitalità della propria mente e tiene in vita la speranza e la fiducia che il paziente, partecipando a sua volta all'esperienza della continuità e stabilità della presenza dell'analista e delle sue caratteristiche di contenimento di dolore e frustrazione per l'isolamento e la deprivazione relazionale, possa desiderare col tempo di cambiare. La capacità di tenere il setting, speranza, fiducia, capacità negativa e tutto ciò che in Attenzione e interpretazione (1970) attiene al mistico (essere all'unisono, FO) costituiscono una descrizione accurata degli strumenti di cui dovrebbe disporre l'analista nell'affrontare, sostenere e trattare T.A. In tal senso, Bion, con la teoria delle trasformazioni e con le procedure operative che suggerisce per il riconoscimento e trattamento di T.A., ha ampliato il campo di applicabilità del sapere psicoanalitico, rifondandone la metodologia osservazionale. Grazie al suo contributo, la psicoanalisi contemporanea può fiduciosamente (anche se dolorosamente) confrontarsi con quelle aree primitive e oscure della mente tradizionalmente ascritte al campo della psicosi o al magico o al mistico.


BIBLIOGRAFIA.


BION, W. R. (1965). Trasformazioni. Il passaggio dall'apprendimento allacrescita. Armando, Roma, 1973.


_________(1970). Attenzione e interpretazione. Una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi. Armando, Roma, 1973.


EIGEN, M. (1985). Towards Bion's starting point: between catastrophe and faith. Int. J. Psychoanal. 66:321-330. Catastrofe e fede. In Letture bioniane. Borla, Roma, 1987.


OGDEN, T (1988). On the dialectical structure of experience: some clinical and theoretical implications. Contemp. Psychoanal., 23: 17-45


________(1989). On the concept of an autistic-contiguous position. Int. J. Psychoanal. 70:127-140.


KLEIN, M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti 1921.1958, Boringhieri, Torino 1978.


MELTZER, D. (1986). Applicazione clinica del concetto bioniano di trasformazioni in allucinosi. In Studi di metapsicologia allargata . Raffaello Cortina Editore, Milano 1987.