Perché un’ennesima rivista?
S. Freni
«Ricerca in Psicoterapia» finalmente decolla!
Numerose e di varia natura sono state le difficoltà che si sono frapposte alla rapida realizzazione del progetto di dotare la SPR-Italia di una pubblicazione periodica capace di rappresentare i ricercatori interessati a sviluppare in Italia la ricerca empiricamente fondata nel campo della psicoterapia dove siamo decisamente in ritardo rispetto agli standard di gruppi internazionali radunati attorno alla Society for Psychotherapy Research (SPR) e rappresentati dalla rivista «Psychotherapy Research» (Guilford Publications, New York). La difficoltà maggiore, almeno per me, è derivata da una resistenza a creare un’ennesima rivista di psicoterapia quale espressione di un’ennesima associazione di psicoterapia; provo infatti un certo disagio e talora franco rigetto per questa strana corsa dei vari gruppi di psicoterapeuti a legittimarsi e pubblicizzarsi attraverso pubblicazioni che quasi sempre assumono caratteri di difesa corporativa degli aderenti a questa o quell’altra delle ormai numerosissime scuole di psicoterapia esistenti oggi in Italia. Non esiste invece un contenitore capace di dar conto e incoraggiare i tenui tentativi di ricercatori che cominciano a organizzarsi e che nel I convegno nazionale della SPR-Italia di Settembre 1997 si sono riuniti a Tabiano Terme esprimendo unanimemente l’esigenza di una pubblicazione in grado di rappresentare lo spirito della SPR, una associazione scientifica libera da esigenze corporative interessata a sviluppare la ricerca empiricamente fondata in psicoterapia indipendentemente dagli orientamenti teorici e formativi degli psicoterapeuti e delle loro scuole di appartenenza; e indipendentemente dal tipo di pratica psicoterapeutica. Tuttavia sono convinto che questo pullulare di scuole, indirizzi, interessi vari, nel campo della psicoterapia, abbia un suo risvolto positivo perché genera esigenze di ricerca, di confronto ed esperienze che, nel bene e nel male, testimoniano di un avanzamento complessivo del campo della psicoterapia. Pertanto, in questa rivista saranno ospitati, senza alcun pregiudizio di parte, tutti i contributi che esprimono un interesse per la ricerca scientifica in psicoterapia. Chiarisco subito, a scanso di equivoci, che qui per "scientifico" non si intende soltanto "empiricamente fondato", cioè misurabile, attendibile, replicabile, secondo i criteri minimali di scientificità correnti nella comunità scientifica allargata; per noi é scientifico anche un lavoro di ricerca cosiddetta euristica capace di presentare in modo quasi empirico o predisposto a essere trasposto sul piano empirico, un modello teorico o teorico-clinico, una proposta, una intuizione, una riflessione, una rassegna critica ecc. ecc. Vogliamo, cioè, incoraggiare un modo di concepire la ricerca scientifica in psicoterapia che realizzi un circolo virtuoso per aprire un dialogo reciprocamente fecondo tra ricerca euristica e ricerca empirica nella consapevolezza della distinzione dei rispettivi piani epistemologici, allo stato attuale non riducibili a un continuum. Ciò è anche più coerente con la sensibilità scientifica attuale, che, grazie all’affermazione del paradigma della complessità, spinge a superare decisamente la classica distinzione tra scienze umanistiche e scienze naturali.
Vi sono anche fondati motivi per credere che l’avanzamento della ricerca potrà gettare le basi per una psicoterapia basata sulla ricerca come risposta creativa alla caotica esplosione di centinaia di scuole e tecniche psicoterapeutiche e come prospettiva di reale integrazione di modelli e tecniche che avranno dimostrato una reale maggiore efficacia sia in termini terapeutici rispetto a specifici quadri clinico-psicopatologici, sia in termini di effettivo avanzamento della conoscenza e della sua fruibilità pratica.
Per citare solo qualche esempio, non vi sono dubbi che il modello del CCRT (tema relazionale conflittuale centrale) proposto da Luborsky si è rivelato una misura attendibile correlata al concetto teorico-clinico di transfert-ripetizione nel senso originario di Freud. Infatti, tramite il CCRT, si riesce a evidenziare, su un piano empiricamente fondato, alcune caratteristiche essenziali del transfert-ripetizione e misurarne le variazioni nel corso del processo terapeutico in funzione di variabili diverse, come, per esempio, gli interventi dei terapeuti.
Bisogna anche dire che negli ambienti di training dove è stato adottato il CCRT come metodo di valutazione del transfert e della capacità del terapeuta di riconoscerlo e trattarlo con interventi interpretativi adeguati, è stato apprezzato molto il fatto di poter disporre di un modello di valutazione facilmente condivisibile da esaminati ed esaminatori
Voglio ricordare anche i modelli della attività referenziale di Wilma Bucci e della funzione autoriflessiva del gruppo di Fonagy, l’ampio lavoro di ricerca sull’attaccamento di Main, la diagnosi di piano di Weiss e Sampson e la SASB di Lorna Benjamin. Questi approcci, oltre ai vantaggi derivati da una migliore valutazione del processo di separazione-individuazione e delle funzioni cognitive e metacognitive, hanno il merito di favorire una integrazione creativa tra psicoanalisi e cognitivismo.
Impostazione generale della rivista.
Dopo numerose riunioni di redazione, grazie anche ai suggerimenti dell’editore, abbiamo deciso di organizzare la rivista nelle seguenti rubriche che passerò in rapida rassegna con un breve commento esplicativo:
Editoriale: ha lo scopo di porre in risalto qualche aspetto della rivista o del campo di ricerca di cui ci occupiamo o di eventi particolari di interesse generale. In tal senso, l’editoriale è a disposizione di tutti i colleghi che volessero proporre temi con le suddette caratteristiche sia a livello personale sia per invito o per traduzione.
Segnavia: abbiamo voluto definire così uno spazio della rivista specificamente dedicato a quei lavori che diano il senso complessivo di una ricerca, di una filosofia di ricerca, sia dell’attualità che del passato. Pensiamo che per un po’ di tempo sotto questo titolo andranno ospitati lavori da tradurre e comunque firmati da colleghi che abbiano raggiunto un riconoscimento internazionale nel campo della ricerca empirica in psicoterapia. Per questo abbiamo chiesto a Guilford Press l’autorizzazione a tradurre e pubblicare in italiano i lavori più rappresentativi in tal senso pubblicati su «Psychotherapy Research».
Strumenti e metodi: è lo spazio destinato a ospitare lavori caratterizzati dalla presentazione e/o validazione di strumenti, modelli, metodi per la ricerca empirica in psicoterapia con il preciso scopo di diffonderne la conoscenza e creare una familiarità nel loro uso a scopo di ricerca, nel rispetto delle regole etiche dei ricercatori (autorizzazione degli autori o loro delegati, correttezza dell’applicazione ecc.).
Ricerca euristica: come accennavo prima, non vogliamo escludere la ricerca euristica da questa rivista perché riteniamo che essa costituisca la base e la sorgente di pensieri, proposte, intuizioni, modelli che poi possono essere operazionalizzati in modelli empirici. Pertanto in questo spazio verranno ospitati lavori anche di impostazione non empiricamente fondata, purché dotati di originalità e di possibili aperture verso applicazioni empiricamente valide.
Ricerca clinica: vuole significare quei lavori che in modo più specifico esemplificano la ricaduta nella clinica di una ricerca empiricamente fondata. Anche se la ricerca in psicoterapia è sempre intrinsecamente clinica, in questo spazio si vuole porre in risalto l’aspetto di casistiche cliniche, processi terapeutici, risultati ecc. ecc.
Psicoterapia nelle istituzioni: non vi è alcun dubbio che è stato il lavoro dei colleghi che praticano la psicoterapia nelle istituzioni uno dei motori più potenti per l’affermazione e la diffusione della ricerca scientifica nel campo della psicoterapia. In tal senso, l’organizzazione dei servizi per la salute mentale potrebbe offrire in Italia una occasione preziosa di ricerca scientifica se riusciremo a utilizzare al meglio le risorse disponibili chiamando a collaborare competenze diverse per progetti di comune interesse nel rispetto delle varie singolarità. In tal senso la rivista darà il massimo spazio alle proposte degli psicoterapeuti che operano nelle istituzioni, sostenendole come meglio sarà possibile.
Lavori in corso: abbiamo definito così uno spazio dedicato a quei lavori in progress con lo scopo di seguirne nel tempo l’impianto metodologico, lo svolgimento e il loro perfezionamento anche come effetto delle critiche costruttive sia dei lettori che, ancor di più, del comitato di referees.
Biblioteca del ricercatore: piuttosto che una generica rassegna di libri o di altre riviste, abbiamo pensato potesse essere utile presentare di volta in volta un volume, un documento, utile ai fini della creazione di una ideale biblioteca di una persona interessata alla ricerca scientifica in psicoterapia.
Il punto di vista dei lettori: ci sembra importante che chiunque possa intervenire nella nostra rivista mediante brevi note o commenti scritti su temi diversi aprendo ove possibile un dibattito utile a tutti. Ciò richiederà un uso discreto e creativo di questo spazio; per questo faccio appello al senso di misura e di ponderazione di tutti coloro che vorranno intervenire. Se lo scrivente desidera risposte da parte di specifiche persone deve richiederlo in modo esplicito, altrimenti il suo contributo verrà semplicemente pubblicato senza alcun commento.
Notizie SPR e SPR-Italia: non potrà essere un vero e proprio notiziario. Riporteremo, di volta in volta, quelle informazioni che appariranno contestualmente e temporalmente più utili.
È chiaro che la divisione della rivista in rubriche ha lo scopo di creare una griglia utile all’editore per impostare i singoli numeri; non è quindi automatica la presenza di tutte le rubriche in tutti i numeri; per esempio, in questo primo numero non compare la voce ricerca euristica.
A proposito di comitato di referees!
Al più presto la rivista sarà dotata di un comitato di referees, costituito da colleghi esperti in specifiche aree di ricerca; il comitato non avrà il semplice e spiacevole compito di accettare o respingere lavori. Sarà piuttosto uno strumento di educazione alla ricerca, perché fornirà suggerimenti e consigli utili per portare alla pubblicazione anche quei lavori che presentassero lacune di vario genere. Insomma vogliamo portare anche nella rivista il principio che anima le manifestazioni scientifiche della SPR: chi più sa insegna a chi sa meno.
Buon lavoro e inviateci subito tanti buoni lavori da pubblicare!
Il nucleo interpersonale della psicoterapia
P. Crits-Christoph
University of Pennsylvania
Le narrative riguardo alle interazioni con altre persone costituiscono una parte significativa del racconto del paziente durante le sedute di psicoterapia. Questo articolo prende in considerazione la nostra ricerca sulle narrative interpersonali come unità di base per la ricerca in psicoterapia. Vengono attentamente considerati studi sull’attendibilità nella localizzazione di queste narrative, seguiti dalla presentazione di studi sulla frequenza e sulle determinanti delle narrative. Le narrative possono anche essere utilizzate per esaminare la relazione paziente-terapeuta, e diversi studi hanno suggerito che pur esistendo un certo grado di somiglianza nei temi tra le relazioni esterne alla terapia e la relazione con il terapeuta, non in tutti i pazienti si evidenzia l’effetto del transfert. Si è trovata invece una associazione tra la capacità del terapeuta di formulare e interpretare accuratamente i temi relazionali che si manifestano nelle narrative e il risultato, il mantenimento e lo sviluppo dell’alleanza terapeutica durante il corso del trattamento. Vengono prese in considerazione le implicazioni di questi risultati nella ricerca e nella pratica.
Narratives about interactions with other people constitute a significant part of patient talk during psychotherapy sessions. This article reviews our research on interpersonal narratives as a basic unit of analysis in psychotherapy research. Studies on the reliability of locating such narratives are reviewed, followed by a presentation of studies on the frequency and determinants of narratives. Narratives can also be used to examine the patient-therapist relationship, and a series of studies has suggested that while there is some degree of similarity of themes between outside of therapy relationships and the relationship with the therapist, not all patients evidence this "transference" effect. Therapists’ ability to formulate and accurately interpret the relationship themes that are apparent in narratives has been found to be associated with outcome, retention, and the development of the therapeutic alliance over the course of treatment. The implications of these findings for research and practice are discussed.
A partire dalle discussioni di Freud (1912-58) sul concetto di transfert attraverso le teorie delle relazioni d’oggetto della Klein (1948) e di Winnicott (1958) e la prospettiva psicoanalitica interpersonale di Sullivan (1953), le teorie psicodinamiche si sono focalizzate sul mondo interpersonale dei partecipanti alla psicoterapia come punto centrale del processo del trattamento. Le moderne scuole di terapia psicodinamica breve (Luborsky, 1984; Strupp & Binder, 1984; Benjamin, 1991) hanno continuato a focalizzarsi su questo tema e hanno aggiunto metodi espliciti di identificazione dei temi interpersonali all’interno delle sedute di psicoterapia. Tale interesse nei processi interpersonali, comunque, non è esclusivo delle scuole a indirizzo psicodinamico: altri trattamenti come la terapia interpersonale per la depressione di Klerman, Weissman, Rounsaville e Chevron (1984) e la prospettiva cognitiva interpersonale di Safran e Siegal (1990) hanno attribuito al processo interpersonale, in un modo o nell’altro, un ruolo centrale all’interno del modello psicoterapico.
I processi interpersonali psicoterapeutici in termini di qualità della relazione paziente-terapeuta (alleanza terapeutica) sono stati oggetto centrale della ricerca in psicoterapia degli ultimi quindici anni e, infatti, l’alleanza è stata individuata come un fattore predittivo dell’esito del trattamento all’interno di un’ampia gamma di psicoterapie diverse (Horvath & Symonds, 1991). Vi è anche un rinnovato interesse nella diagnosi interpersonale e nei fattori interpersonali in psicopatologia (Benjamin, 1993; Horowitz & Virkus, 1986). Le ricerche nel campo della psicologia sociale e della personalità hanno messo in evidenza un notevole interesse nei temi e "schemi" interpersonali (Singer & Salovey, 1991).
Vi sono numerosi modi di fare ricerca rispetto ai processi interpersonali in psicoterapia. La ricerca può focalizzarsi sui problemi interpersonali del paziente e sulla variazione di questi durante il trattamento o su come questi possano essere predittivi del cambiamento dei sintomi (per es., Davies-Osterkamp, Strauss & Schmitz, 1996; Horowitz, Rosemberg, Bauer, Ureno & Villasenor, 1988). L’efficacia dell’approccio dei trattamenti che hanno un rilievo interpersonale può essere oggetto di ricerca (per es., Elkin et al., 1989; Frank, Kupfer, Perel & Cornes, 1990). Alcuni studi hanno codificato come paziente e terapeuta si comportano l’uno nei confronti dell’altro nelle sedute (per es. Henry, Schacht & Strupp, 1986). Come già detto, ricerche relative alla qualità dell’alleanza terapeutica hanno fornito informazioni importanti rispetto alla psicoterapia.
Un’ulteriore finestra sul mondo interpersonale del paziente e sul processo terapeutico è l’esame delle storie o narrative che il paziente racconta durante le sedute. Uno dei programmi di ricerca al Center for Psychotherapy Research dell’Università della Pennsylvania si è focalizzato sulle narrative raccontate durante le sedute di psicoterapia. Lo scopo di questo articolo è di rivedere questo programma di ricerca ponendo l’attenzione su quattro domande: 1) Quanto sono frequenti le narrative all’interno delle sedute e quali sono i fattori che determinano le differenze individuali nella qualità e frequenza delle narrative? 2) Quanto coerenti sono i temi interpersonali all’interno delle diverse narrative raccontate da un paziente in psicoterapia? 3) Cosa possono rivelare le narrative del rapporto paziente-terapeuta? 4) Qual è l’impatto degli interventi del terapeuta quando essi si indirizzano ai temi interpersonali evidenti nelle narrative? Prima di rispondere a queste domande descriverò il processo che porta alla localizzazione delle narrative all’interno delle sedute di psicoterapia.
Localizzare le narrative interpersonali nelle sedute
L’idea di focalizzarsi sulle narrative interpersonali durante le sedute iniziò come parte del metodo del Tema Relazione Conflittuale Centrale (ccrt) di Luborsky (1977). Per permettere ai giudici clinici di formulare i temi relazionali principali (il ccrt), era necessario trovare un modo di dirigere l’attenzione dei valutatori a quelle parti della seduta di terapia in cui era più probabile trovare del materiale clinico rilevante. Nel ccrt le narrative relazionali sono chiamate "episodi relazionali". Luborsky e Crits-Christoph (1990) definiscono l’episodio relazionale come quella parte della seduta durante la quale vi è la narrazione esplicita di una relazione con altre persone o con il sé. Un singolo episodio relazionale coinvolge la stessa persona e le stesse idee, e accade in un dato tempo. Un episodio relazionale è caratterizzato dall’interazione fra almeno due persone: "Io dissi...; lei disse...; allora io poi dissi...; ora mi sento..." e così via. Un episodio relazionale non è semplicemente descrittivo: "Lei è così; lei è cosà".
Gli episodi relazionali vengono localizzati nelle trascrizioni di sedute individuali di terapia. L’identificazione degli episodi da parte dei giudici è facilitata dal fatto che le narrative tipicamente presentano un inizio, un tempo intermedio e una fine. Un paziente può indirettamente segnalare che sta per iniziare una narrativa facendo una pausa o cambiando improvvisamente argomento. Spesso le narrative iniziano con frasi come: "Avrebbe dovuto sentire la telefonata quando la chiamai" o "Le farò un esempio", e si concludono con frasi che implicano una chiusura, per esempio: "Credo che abbiano cercato di farmi diventare qualcosa che io non sono diventato". I giudici valutano la qualità/completezza (su di una scala da 1 a 5) di ciascun episodio identificato, e solo gli episodi nella media (per es., 2,5) o di maggior completezza vengono presi in considerazione per la valutazione dei contenuti.
Tre tipi generali di episodi relazionali sono stati identificati. Ci sono episodi con altre persone, il terapeuta e il sé. Le altre persone includono i partner o il coniuge del paziente, figli, amici, datori di lavoro, insegnanti ecc., e addirittura gruppi di persone. Le narrative con il terapeuta possono richiamare interazioni precedenti fra paziente e terapeuta, o possono essere una messa in atto. Nel secondo esempio, il paziente e il terapeuta agiscono un ruolo durante la seduta stessa. Gli episodi relazionali con il sé come oggetto sono rari, dal momento che non sono solo descrizioni del sé: essi richiedono un aspetto interpersonale.
Numerosi studi condotti dal nostro gruppo di ricerca e da altri hanno preso in esame l’attendibilità nella individuazione degli episodi relazionali nelle trascrizioni. Crits-Christoph, Luborsky, Dahl, Popp, Mellon e Mark (1988) hanno esaminato l’attendibilità nella individuazione degli episodi relazionali in un campione di 111 episodi individuati da ciascuno dei due giudici. L’attendibilità associata dei giudici rispetto alla completezza degli episodi fu .68. Per gli episodi di completezza accettabile (per es., valutati 2,5 o più), rispetto all’identificazione dell’inizio dell’episodio, nell’85% delle volte i due giudici non eccedevano le sette righe di testo di differenza, e nel 70% rispetto alla fine degli episodi.
Bond, Hansell e Shevrin (1987) hanno esaminato la concordanza nel localizzare gli episodi relazionali all’interno di interviste diagnostiche di tre pazienti. La concordanza fu valutata in termini di quanto i due giudici concordavano che una determinata riga di testo dovesse essere inclusa o meno nell’episodio relazionale. Il coefficiente Kappa per i tre pazienti risultava da .48 a .68 per questo tipo di concordanza.
McMullen e Conway (1997) fecero localizzare gli episodi relazionali a due giudici in 23 sedute, usando audioregistrazioni piuttosto che trascrizioni. Definendo la concordanza rispetto a 10 sul contatore del registratore risultò che i giudici concordavano per il 71% delle volte sull’inizio degli episodi e per il 67.5% sulla fine degli stessi.
Nel più grande studio su questo argomento (Crits-Christoph, Connolly, Shappel, Elkin, Krupnick e Sotsky, 1997) vennero identificati gli episodi relazionali in sedute provenienti dal Treatment of Depression Collaborative Research Program (tdcrp, Elkin et al., 1989). Due giudici identificarono gli episodi relazionali in 548 sedute di 72 pazienti. Quando il primo giudice identificava un episodio relativamente completo, il secondo lo localizzava nel 95% delle volte. Per l’80% di questi episodi i due giudici differivano per sette righe o meno nell’identificare l’inizio dell’episodio relazionale. Nell’indicare la fine dell’episodio, i due giudici per l’80% delle volte restavano entro le 14 righe di differenza. L’attendibilità fra giudici (coefficiente di correlazione intraclasse) per la valutazione della completezza delle narrative era di .75.
Questa serie di quattro studi suggerisce che l’attendibilità nel localizzare gli episodi relazionali è adeguata, ma non eccezionale. Episodi di miglior qualità (per es., maggior completezza) sono più facili da localizzare. La relativa difficoltà nell’individuare gli episodi è probabilmente in funzione dell’ambiguità e della discontinuità relativa al flusso verbale libero delle sedute di psicoterapia. Ciò non di meno è stata trovata una attendibilità sufficiente a giustificare l’uso delle narrative come singola unità di analisi per la ricerca sul processo in psicoterapia.
Frequenza e qualità delle narrative
Nelle sedute tdcrp, gli episodi furono estratti da 548 sedute tratte da 72 pazienti in terapia sia cognitiva che interpersonale (Crits-Christoph et al., 1997). Per ciascun paziente furono trascritte quattro sedute appartenenti al principio della terapia più quattro più avanti nel trattamento per quei pazienti che completarono la maggior parte del trattamento che consisteva in 16 settimane. Furono localizzati un totale di 3245 episodi identificati da ciascuno dei due giudici, di cui 1302 raggiungevano un punteggio di almeno 2.5 sulla scala della completezza. In tal modo vi erano in media circa 2.4 narrative relativamente complete per ciascuna seduta.
Un altro studio (Crits-Christoph, Demorest, Muenz e Branackie, 1994) ha identificato gli episodi relazionali in tre sedute iniziali della terapia di 60 pazienti. Questi pazienti avevano partecipato a un trial clinico di ricerca sull’efficacia della psicoterapia cognitiva e supportivo-espressiva come trattamento per la dipendenza da oppiacei in una clinica per veterani del Vietnam (VA-Opiate sample, Woody et al., 1983). In questo campione vi era una media di 4.1 episodi relativamente completi per seduta.
Abbiamo esaminato alcune caratteristiche descrittive di base degli episodi relazionali sia nel campione tdcrp che in quello VA-Opiate. In entrambi i campioni l’"altro" nella narrativa era per circa metà delle volte un maschio e per metà una femmina (48% donne nel campione VA-Opiate; 45% donne nel campione tdcrp). Più frequentemente le narrative riguardavano relazione intime (68% nel campione VA-Opiate; 82% nel tdcrp). Nel campione VA-Opiate "l’altro" era sia una figura di autorità (50%) o un pari grado (48%). A ogni modo nel tdcrp le narrative riguardavano più spesso pari grado (60%) e meno frequentemente figure di autorità (31%). Il fatto che le narrative degli uomini dipendenti dagli oppiacei, rispetto a quelle raccontate dai pazienti depressi nel gruppo tdcrp, riguardassero relativamente meno spesso relazioni meno intime con figure autoritarie è probabilmente in funzione delle normali narrative di questo gruppo relative a personale medico e persone appartenenti al sistema legale, dato l’alto tasso di problemi medico legali di questo gruppo. Nel campione tdcrp la media delle narrative conteneva circa 350 parole del paziente e 70 del terapeuta, benché vi fosse un’alta variabilità di queste medie.
Di maggior interesse dal punto di vista della ricerca in psicoterapia è la misura delle differenze individuali nella qualità e quantità degli episodi relazionali all’interno della seduta. L’esistenza di differenze stabili, fra i pazienti, in qualità e quantità delle narrative farebbe sorgere delle domande su che cosa determini tali differenze, e se narrative più numerose e migliori possano essere facilitate dalla tecnica del terapeuta come parte di uno sforzo volto a sollecitare importante materiale di carattere interpersonale come base per gli interventi. Crits-Christoph et al. (1997) trovarono, infatti, differenze individuali piuttosto consistenti nella frequenza per seduta delle narrative, nella completezza, nella lunghezza di queste (numero di parole del paziente) e nella proporzione di parole dette dal terapeuta all’interno delle narrative (coefficiente di correlazione intraclasse fra .63 e .88 nella comparazione fra variabilità nello stesso paziente e fra pazienti).
Determinanti delle narrative
L’esistenza di forti differenze individuali nella qualità e quantità della narrativa ha portato a testare diverse ipotesi riguardanti le potenziali determinanti di queste differenze individuali. Crits-Christoph et al. (1997) hanno scoperto che il più potente correlato della frequenza e qualità della narrativa era la modalità di trattamento, con la versione della terapia cognitiva realizzata nel tdcrp (Beck, Rush, Shaw & Emery, 1979) che evoca narrative in minor numero e meno dettagliate comparate alla terapia interpersonale di Klerman et al. (1984). L’alleanza terapeutica era correlata positivamente con il numero delle parole del paziente per ogni episodio relazionale, e i pazienti con stili relazionali più coinvolti (versus distaccati) stimolavano più parole da parte del terapeuta per narrativa. Il grado in cui i pazienti credevano che i fattori interpersonali fossero coinvolti nella eziologia dei loro sintomi depressivi, e il grado in cui loro si aspettavano che focalizzarsi durante la terapia sui problemi interpersonali potesse essere utile, ha influenzato la frequenza e la completezza della narrativa più nella terapia cognitiva che in quella interpersonale. Quest’ultima scoperta suggerisce che i terapeuti cognitivisti modifichino il focus del loro trattamento in base alle convinzioni dei pazienti riguardo a ciò che è importante e utile. Così, questi dati sono coerenti in relazione alla importanza della "responsività" del terapeuta discussa da Stiles e Shapiro (1994). I terapeuti interpersonali, al contrario, appaiono meno "responsivi" su questa dimensione (per es., mantengono un approccio interpersonale incuranti del fatto che il paziente lo consideri utile). Naturalmente, questo focus è affidato a un manuale di trattamento della terapia interpersonale, presupponendo che tutti i casi di depressione abbiano una componente interpersonale.
In generale, il numero e la qualità degli episodi relazionali nelle sedute di terapia sembra essere primariamente una funzione della qualità dell’alleanza terapeutica e del tipo di trattamento. Le scoperte sull’alleanza rinforzano nuovamente la centralità di questo aspetto della psicoterapia, aggiungendosi all’ampia letteratura sull’importanza dell’alleanza sull’esito (Horvath & Symonds, 1991). Non è inaspettato che un paziente depresso possa sentirsi più a suo agio raccontando dettagliatamente interazioni interpersonali problematiche (per es., raccontando di una persona amata deceduta) in un contesto di alleanza positiva. Il fatto che sia importante la natura della modalità di trattamento suggerisce che ci sia l’opportunità per il terapeuta di facilitare lo sviluppo di più narrative, e di narrative più complete, in psicoterapia. Perché potrebbe essere utile fare questo? Gli studi sul contenuto delle narrative sono collegati a questo problema e vengono passati in rassegna nella sezione seguente.
Contenuto delle narrative
Vi sono numerose ragioni per indagare i contenuti interpersonali delle narrative nelle sedute. Per prima cosa, i differenti contenuti interpersonali, che riflettono i temi interpersonali predominanti dei pazienti, possono essere in relazione con l’esito del trattamento o con altre variabili del processo. McMullen e Conway (1997), per esempio, hanno trovato che i pazienti che presentavano episodi relazionali contenenti più atti ostili del sé avevano un peggior esito del trattamento rispetto a pazienti le cui azioni del sé, nelle narrative, venivano siglate come principalmente amichevoli-sottomesse. Indagini sul contenuto interpersonale delle narrative possono anche gettare luce sulla natura dei temi relazionali e dei problemi interpersonali di per sé, includendo temi interpersonali che appaiono nelle relazioni con il terapeuta. In ultimo, la valutazione del contenuto interpersonale può servire come base per la comprensione delle azioni del terapeuta rispetto ai temi interpersonali trattati nelle sedute.
Il principale sistema che abbiamo usato nella nostra ricerca sui temi interpersonali contenuti nelle narrative è il metodo del ccrt (Luborsky, 1977). Dettagli di questo metodo e una revisione di precedenti studi che hanno fatto uso di questo strumento sono stati presentati altrove (Luborsky e Crits-Christoph, 1990). Questi studi comprendono ricerche sull’attendibilità nella valutazione dei pattern del ccrt nelle narrative (Crits-Christoph et al., 1988), cambiamenti nel pattern del ccrt lungo il corso di una psicoterapia dinamica (Crits-Christoph e Luborsky, 1990), pattern del ccrt nei sogni versus narrative (Popp, Diguer, Luborsky e Faude, 1996). Qui descriverò brevemente l’essenza del metodo del ccrt e riesaminerò alcuni degli studi più recenti che includono varianti del ccrt.
Il metodo del ccrt impiega giudici clinici per formulare le tre principali componenti dei patterns interpersonali: i desideri o bisogni del paziente in situazioni relazionali, la percezione della risposta degli altri verso il paziente e la conseguente risposta del paziente (risposta del sé). Per ogni paziente giudici indipendenti leggono gli episodi relazionali individuati nelle sedute (generalmente vengono usati un minimo di dieci episodi per paziente), identificano i desideri principali, le risposte dell’altro e le risposte del sé contenute in ciascun episodio. Dopo aver letto tutti gli episodi di un determinato paziente i giudici rileggono gli episodi e modificano la loro valutazione di ciascuno basandosi sulla comprensione del materiale ottenuta dalla lettura di tutti gli episodi. Il ccrt finale deriva dalla lista dei desideri, risposte dell’altro, risposte del sé, con la più alta frequenza all’interno di tutti gli episodi appartenenti a un paziente.
Una modifica del metodo del ccrt, chiamata Quantitative Assessment of Interpersonal Themes (quaint, Crits-Christoph, Demorest & Connolly, 1990) è stata usata in alcuni degli studi più recenti. Il metodo quaint ha modificato l’originale sistema del ccrt in tre modi: 1) gli episodi relazionali in precedenza privati o modificati nelle informazioni che possono favorire l’identificazione vengono estratti dalle trascrizioni ed episodi di differenti pazienti vengono distribuiti in modo casuale (in modo che i giudici non possano identificare quale episodio appartiene a un determinato paziente e ogni episodio viene siglato indipendentemente dagli altri); 2) un vocabolario standard ben validato, lo Structural Analysis of Social Behavior system (Benjamin, 1974), viene usato per codificare i desideri, le risposte dell’altro e le risposte del sé; 3) ciascun episodio viene valutato (su di una scala da 1 a 5) per tutte le categorie, fornendo una dettagliata immagine della totale ampiezza dei possibili contenuti di ciascun episodio. Questi raffinamenti del metodo del ccrt furono compiuti in modo che potessero essere effettuati studi più oggettivi dei pattern di elementi interpersonali attraverso differenti narrative di uno stesso individuo. In più l’uso delle categorie SASB fornisce un punto fermo per la metodologia di ricerca legato a un modello teorico derivato dal modello interpersonale comportamentale, piuttosto che affidarsi alle categorie empiriche che si svilupparono nel contesto del metodo originale del ccrt.
Un esempio di due episodi relazionali siglati con il sistema quaint è mostrato nella figura 1. Anche se il metodo quaint completo utilizza 104 categorie diverse (32 desideri, 32 risposte dell’oggetto, 40 risposte del sé), il nostro studio ha trovato che comunemente da 29 a 38 di questi items vengono siglati con sufficiente attendibilità (per es., con attendibilità fra giudici maggiore di .65) da poter essere considerati per l’analisi. La figura 1 rappresenta la valutazione media (la media dei tre giudici) per 12 desideri, 12 risposte dell’oggetto e 14 risposte del sé per l’episodio con l’amico Joe e per un altro episodio dello stesso paziente con la madre di questo. L’episodio con Joe era caratterizzato da un’alta percentuale del desiderio "essere aiutato e protetto" e del desiderio "essere assertivo e autonomo". La principale risposta dell’oggetto era "è degno di fiducia e affidabile", e la più frequente risposta del sé era "mi sento costretto e impotente". Anche l’episodio con la madre era caratterizzato dal desiderio "essere assertivo e autonomo" e dalla risposta del sé "mi sento costretto e impotente". Nessuna risposta dell’oggetto era frequente nell’episodio con la madre. Il profilo delle siglature nell’episodio con Joe può essere confrontato con il profilo delle siglature dell’episodio con la madre utilizzando una correlazione di Pearson attraverso i due profili. In questo caso, la correlazione era .64, indicando un alto grado di somiglianza fra i due profili, come appariva evidente nell’analisi dei singoli items.
Questo metodo di confronto dei profili di singoli episodi fu utilizzato da Crits-Christoph, Demorest, Muenz e Baranackie (1994) per esaminare la stabilità dei temi interpersonali in tutti gli episodi raccontati dai pazienti nelle tre sedute iniziali del trattamento. Circa 10 narrative di ciascuno dei 60 pazienti del campione VA-Opiate furono siglate da tre giudici indipendenti usando il sistema quaint. Per ciascun paziente, il profilo dei 38 items per ciascun episodio relazionale fu correlato con tutti gli altri episodi di quel paziente e fu calcolata la correlazione media fra le narrative. Dato che queste correlazioni medie erano calcolate fra i profili di ciascun paziente, test di significatività statistica potevano non essere appropriati.

FIGURA 1. Valutazione dei desideri, delle risposte degli altri (ro) e delle risposte del sé (rs) all’interno di due narrative.
Per poter controllare livelli di correlazione casuali fra i profili, abbiamo condotto test permutazionali (Gibbons, 1985). I test permutazionali forniscono un livello base di correlazione che potrebbe verificarsi per caso. Questo metodo implica il confronto della correlazione media corretta tra i profili e la correlazione media ottenuta risistemando (permutando) casualmente gli items per ciascun profilo che venga confrontato (per es., l’item 1 nella narrativa 1 si associa casualmente con l’item 17 nella narrativa 2, e così via). Le permutazioni casuali sono state ripetute 1000 volte per profilo in ciascuna narrativa, e la corretta correlazione media è stata confrontata con la distribuzione delle correlazioni medie ottenute dalle permutazioni.
La più importante scoperta rivelata da questa analisi fu la ricorrenza di una debole correlazione media dei profili narrativi in un paziente. Le correlazioni medie di ciascun paziente erano comprese fra .00 e .44, con una mediana di .13 (Crits-Christoph et al., 1994). Sulla base dei test permutazionali, fu trovata una concordanza interna dei temi interpersonali attraverso le narrative per 49 dei 60 pazienti. Così, sebbene i risultati abbiano mostrato una bassa concordanza dei temi interpersonali in media all’interno del campione di pazienti, c’era una ampia variabilità nella pervasività dei temi interpersonali e la maggior parte dei pazienti ha mostrato una concordanza interna maggiore di quanto ci si potesse aspettare per caso. Nessun paziente, però, ha mostrato un singolo tema che comparisse in tutte le narrative.
Questi risultati ci hanno portato a rifiutare l’idea che lo stesso tema interpersonale probabilmente apparirà in tutte le narrative. In una ricerca successiva (descritta in seguito) siamo passati a dei metodi che permettono una molteplicità di temi attraverso un gruppo di narrative per paziente. Il fatto che un certo grado di ripetitività dei temi interpersonali sia percepibile nelle narrative, comunque, è un passo importante nel confermare un aspetto del concetto del transfert come una rappresentazione mentale che viene applicata alle relazioni attuali e a quelle nuove nella vita del paziente. Nella prossima sezione descriverò come abbiamo usato le narrative per indagare in modo più specifico il fenomeno clinico del transfert, in particolare nella relazione terapeutica.
Il contenuto delle narrative riguardo al terapeuta
Come menzionato in precedenza, i pazienti spesso raccontano narrative riguardo ai loro terapeuti. Per esempio, i pazienti a volte raccontano qualche cosa che il terapeuta ha precedentemente detto loro e come loro hanno reagito a questo. Si verificano anche episodi relazionali che sono "messi in atto", che accadono in tempo reale tra paziente e terapeuta. Il metodo del ccrt dà l’opportunità di studiare il contenuto di questi episodi relazionali che coinvolgono il terapeuta. Di primario interesse è se i modelli di comportamento messi in atto con il terapeuta siano simili o diversi dai modelli che sono evidenti nelle altre relazioni del paziente fuori dalla terapia (per es., la nozione clinica di transfert nella relazione terapeutica). Fino a oggi abbiamo sviluppato tre studi per cercare di esaminare questa nozione clinica fondamentale.
Il primo di questi studi (Fried, Crits-Christoph & Luborsky, 1992) ha usato il metodo originale del ccrt applicato agli episodi relazionali che avevano come oggetto il terapeuta versus tutti gli altri episodi relazionali. Per 35 pazienti in psicoterapia dinamica, un gruppo di tre giudici ha calcolato la somiglianza dei pattern del ccrt negli episodi col terapeuta versus quella dei pattern del ccrt negli episodi con "altre persone". Per ciascun paziente, i giudici hanno calcolato anche la somiglianza dei pattern del ccrt degli episodi col terapeuta rispetto ai ccrt derivati dagli altri pazienti, per controllare livelli di somiglianza casuali. I risultati indicavano un ulteriore livello casuale di somiglianza per il desiderio e la risposta del sé del ccrt, ma non per la risposta dall’altro. Ulteriori analisi esplorative hanno rivelato che il livello di somiglianza aumentava quando erano disponibili più episodi relazionali coinvolgenti il terapeuta, probabilmente come risultato di un pattern di ccrt con il terapeuta più attendibile; questo emerge con l’aumentare del numero degli episodi con il terapeuta stesso.
Dal momento che questo primo studio (Fried et al., 1992) ha usato il metodo originale del ccrt, esso è stato limitato dal fatto che i giudici del ccrt valutavano insieme gli episodi relazionali del terapeuta e gli episodi con le altre persone come un set (per es., sapevano quale narrativa riguardava il terapeuta e quale "altre persone" per ciascun paziente, e infatti revisionavano i punteggi dopo aver letto l’intero set). Nel nostro successivo studio riguardante gli episodi relazionali che coinvolgono il terapeuta, abbiamo utilizzato il metodo quaint che non permette ai giudici di conoscere quale narrativa proviene da quale paziente. Inoltre, il metodo quaint fornisce un più completo profilo dei desideri, delle risposte degli altri e delle risposte del sé. In questo secondo studio (Connolly, Crits-Christoph, Demorest, Azarian, Muenz & Chittams, 1996), 35 dei 60 pazienti dipendenti da oppiacei esaminati nello studio da Crits-Christoph et al. (1994) erano selezionati in base alla presenza di almeno una narrativa riguardante il terapeuta. Basandosi sui risultati di Crits-Christoph et al. (1994) che mostrano solo un piccolo grado di coerenza dei temi attraverso tutti gli episodi relazionali, rifiutiamo il concetto che il pattern del ccrt si possa applicare a tutti gli episodi.
Invece che affidarci al pattern del ccrt che appare il più elevato in frequenza in tutte le narrative, per lo studio di Connolly et al. (1996) abbiamo utilizzato una metodologia che coinvolge l’analisi a cluster dei temi per ciascun paziente. I 38 items dei profili quaint per ciascuna narrativa dei pazienti sono stati intercorrelati e cluster analizzati. È stata selezionata, per definire un cluster, una correlazione media inter-narrativa di almeno .30. La figura 2 mostra un esempio di analisi a cluster dell’intero set delle narrative raccontate dal paziente che ha collegato le due narrative presentate nella figura 1. Come si può vedere, le due narrative più altamente intercorrelate riguardo a Joe e la madre formano un cluster, un altro cluster è definito da episodi simili riguardo alla ragazza e al padre, un terzo cluster contiene le narrative riguardo un poliziotto e l’amico Pete e un quarto cluster è sulle storie riguardo il padrone di casa, i genitori, i genitori di un’amica (Karen) e un dottore. I distinti temi contenuti in ciascuno di questi cluster possono quindi essere esaminati in termini del loro grado di similarità alle narrative riguardanti il terapeuta.

FIGURA 2. Cluster analisi delle narrative di un paziente basate sul contenuto interpersonale
Abbiamo ottenuto un set simile dei cluster delle narrative per ciascuno dei 35 pazienti studiati. Per ciascun cluster è stato calcolato un profilo medio facendo la media delle narrative in quel cluster. Il cluster che conteneva il più alto numero di profili di narrative è stato chiamato "cluster principale". Tutti i profili dei cluster sono stati quindi correlati con il profilo delle narrative riguardo al terapeuta per ciascun paziente. Ancora una volta sono stati utilizzati test permutazionali per valutare il significato statistico.
I risultati degli studi di Connolly et al. (1996) hanno rivelato che tutti i pazienti dell’esempio avevano almeno un cluster che conteneva episodi relazionali multipli, supportando l’ipotesi che i pazienti mostrano simili temi interpersonali almeno attraverso alcune relazioni nella loro vita. Inoltre, la maggioranza dei pazienti ha più di un cluster di narrative, che indica che diversi temi sono spesso evidenti. La comparazione delle narrative con "altre persone" con gli episodi relazionali del terapeuta ha rivelato una correlazione significativa tra alcuni profili di cluster e il profilo del terapeuta per il 60% dei pazienti. Il "cluster principale" ha dimostrato una correlazione significativa col profilo del terapeuta nel 34% dei pazienti.
Una spiegazione alternativa per la somiglianza trovata tra gli episodi relazionali con il terapeuta e gli altri episodi è che i terapeuti possono creare l’esistenza di un pattern. Esistono diversi modi in cui questo può accadere. Primo, un dato terapeuta può fungere da stimolo per creare un particolare tema interpersonale nella relazione paziente-terapeuta. Per esempio, un paziente che ha problemi di dipendenza può evocare comportamenti rifiutanti da parte del terapeuta il quale è a disagio con la dipendenza che il paziente sta agendo. Il paziente quindi racconta una narrativa riguardo a come si è sentito rifiutato dal terapeuta durante l’ultima seduta; nello stesso modo si sente rifiutato dagli altri. In questo caso c’è un elemento transferale (il paziente porta schemi pre-esistenti alla transazione relazionale problematica), ma anche l’altra persona contribuisce (per es., una risposta controtransferale dal terapeuta). In una variante di questa possibilità, un dato terapeuta può avere un atteggiamento leggermente rifiutante (o quantomeno separante) con tutti i pazienti, e questo conduce all’attivazione di cliché di transfert nella relazione terapeutica per quei pazienti che sono sensibili al rifiuto (questo vuole essere un esempio di una scarsa armonia paziente-terapeuta).
Un altro modo in cui può verificarsi la somiglianza tra gli episodi con il terapeuta e gli altri episodi è quando il paziente presenta un tema interpersonale ripetitivo manifestato nelle relazioni fuori-della-terapia, e il terapeuta interpreta questo tema come rilevante per la relazione terapeutica anche se in realtà non c’è evidenza di questo tema nella relazione paziente-terapeuta (per es., non si è verificato transfert verso il terapeuta). I terapeuti psicodinamici che sono portati a iper interpretare il transfert possono evidenziare questo tipo di formulazione inaccurata della natura della relazione paziente-terapeuta e possono convincere il paziente di questa formulazione. Il paziente può quindi sentirsi portato a raccontare una storia sul terapeuta che appare aderire alla conclusione di questi, quindi producendo delle somiglianze nelle narrative al di fuori della terapia con gli episodi relazionali con il terapeuta. In un altro esempio estremo un terapeuta può evocare una intera serie di narrative riguardanti altre persone che contengono materiale che sembra confermare la formulazione inaccurata del terapeuta. Né il tema nella narrativa paziente-terapeuta, né il tema nelle narrative altre-persone è accurato in questo scenario, ma i temi si assomigliano per il potere persuasivo del terapeuta nel convincere il paziente che la formulazione è corretta.
Negli studi di Connolly et al. (1996) si è trovato un equivalente grado di correlazione del profilo del "cluster principale" con il profilo del terapeuta per la terapia cognitiva e la terapia psicodinamica. Comunque, la terapia psicodinamica ha rivelato correlazioni significativamente alte del cluster secondario con le narrative del terapeuta, mentre la terapia cognitiva ha rivelato correlazioni significativamente alte tra le singole narrative (non collegate ad altre narrative nel loro contenuto) e gli episodi relazionali del terapeuta. Quanto questi risultati indichino che il terapeuta riformula in modo inaccurato ciò che sta accadendo nella relazione paziente-terapeuta, e di conseguenza evochi narrative che appaiono in linea con questa formulazione, piuttosto che differenti abilità dei terapeuti dinamici o cognitivi alla presa in esame di temi ripetitivi (dinamici) o di specificità situazionali (cognitivo-comportamentale), può non essere rivelato dai dati, ma solleva interessanti possibilità per quanto riguarda ulteriori approfondimenti.
Mentre nessuna di queste spiegazioni alternative è facile da escludere, abbiamo condotto un terzo studio sulla somiglianza delle narrative con il terapeuta e le narrative con altre persone tentando di eliminare l’influenza del terapeuta. In questo studio (Connolly, Crits-Christoph, Barber & Luborsky, 1997), le narrative riguardo alle altre persone erano ottenute, prima che la terapia cominciasse, attraverso l’uso di una intervista semi-strutturata, e le narrative del terapeuta erano ottenute dalle sedute di trattamento. Questi dati erano parte di uno studio più grande (Diguer, Barber & Luborsky, 1993) sulla terapia dinamica breve per la depressione maggiore. Per 18 pazienti che hanno avuto almeno un episodio relazionale col terapeuta, le valutazioni col metodo quaint erano formulate sulle narrative ottenute prima della terapia, e un secondo set di giudici per la quaint ha valutato le narrative del terapeuta ottenute dalle sedute di trattamento. I risultati erano molto concordanti con i primi studi (Connolly et al., 1996), con il 50% dei pazienti che mostravano un moderato o elevato grado di somiglianza tra un cluster narrativo multiplo e il profilo tematico del terapeuta, e il "cluster principale" che mostrava questa somiglianza nel 33% dei pazienti.
I risultati generali di questi tre studi della relazione terapeutica come rivelato nelle narrative sono che: 1) il "transfert" verso il terapeuta si verifica, ma non è rilevabile con i nostri metodi per tutti i pazienti (solo per metà); 2) il tema "trasferito" alla relazione con il terapeuta non è sempre il tema interpersonale più pervasivo; 3) il terapeuta non sembra "creare" i temi nella relazione terapeutica. Questi studi, comunque, sono tutti limitati dall’uso delle prime sedute di terapia (generalmente le sedute 3-6) per esaminare la relazione paziente-terapeuta. Le prime sedute di terapia sono state usate in questi studi per l’enfasi data dalla terapia breve alla formulazione rapida e all’intervento. Comunque, uno studio (Crits-Christoph, Demorest & Connolly, 1990) su di un singolo paziente usando una versione preliminare del metodo quaint ha trovato che, effettivamente, la somiglianza tra i temi con altre persone e con il terapeuta non si verificava entro la prima metà di un trattamento di 31 sedute, ma emergeva nella seconda. Nei nostri studi attuali delle sedute tdcrp saremo in grado di esaminare se il transfert verso il terapeuta emerge abitualmente più spesso durante la seconda metà delle terapie brevi.
Interventi del terapeuta basati sulle formulazioni delle narrative
Se si verifica il transfert verso il terapeuta, questo suggerisce che la tecnica psicodinamica spesso raccomandata dell’interpretazione dei temi del transfert nella relazione paziente-terapeuta è il modo più efficace di indurre un cambiamento nel corso del trattamento? La letteratura sulla frequenza delle interpretazioni del transfert è stata rivista da Henry, Strupp, Schacht & Gaston (1994), i quali hanno trovato poco supporto alla nozione che più interpretazioni della relazione paziente-terapeuta hanno prodotto migliori esiti. Infatti, diversi studi recenti (Connolly, Crits-Christoph, Shappell, Barber & Luborsky, 1997; Hoglend, 1993; Piper, Joyce, McCallum & Azim, 1993) in realtà hanno scoperto che elevate percentuali di interpretazioni della relazione paziente-terapeuta sono associate a limitati risultati, almeno per alcuni sottogruppi significativi di pazienti. Questi risultati negativi forse non sorprendono, alla luce dei nostri dati, che indicano che circa metà dei pazienti in terapia breve non mostrano un evidente effetto del "transfert verso il terapeuta", almeno durante le prime sedute del trattamento. I terapeuti che si focalizzano in larga parte sulla relazione terapeutica probabilmente evocano una reazione negativa o almeno confusa riguardo alla terapia. Comunque, nonostante la mancanza di effetti del transfert trovati nella relazione terapeutica e la letteratura emergente degli effetti negativi di alte percentuali di interpretazione del transfert, ci sono diverse ragioni che dimostrano come sia prematuro l’abbandono dell’attenzione della ricerca sul ruolo del transfert nella relazione terapeutica. Può essere che l’attenzione a questo tipo di transfert sia particolarmente rilevante per un sottogruppo di pazienti (per es. pazienti con disturbi borderline di personalità), mentre invece sia meno rilevante per molti altri pazienti. Può essere inoltre che mentre elevate percentuali di interpretazione del transfert sono problematiche, una sola interpretazione fornita al momento opportuno riguardo la relazione terapeutica possa avere un impatto significativo.
Invece che focalizzarsi sulla frequenza di un certo tipo di intervento (per es., quelli collegati alla relazione paziente-terapeuta), la nostra ricerca sui temi interpersonali nelle narrative ci ha portato a esaminare l’accuratezza degli interventi del terapeuta. L’accuratezza è giudicata in base al grado in cui il terapeuta indirizza i temi interpersonali che sono contenuti nelle narrative. La valutazione dell’accuratezza rispecchia il processo nel quale i terapeuti sono impegnati mentre conducono la terapia dinamica supportivo-espressiva di Luborsky (1984): i terapeuti dapprima ascoltano le descrizioni dei pazienti delle loro interazioni con gli altri, quindi formulano un modello di ccrt e interpretano questo modello al paziente, mantenendo questo focus in una terapia dinamica breve. È da notare che l’accuratezza si riferisce alle risposte del terapeuta verso i temi interpersonali generali del paziente (per es., le relazioni fuori della terapia), non specificatamente verso i temi nella relazione col terapeuta.
Il nostro metodo di ricerca per valutare l’accuratezza comprende i seguenti punti: 1) localizzare le narrative nelle sedute; 2) valutare i temi interpersonali in queste narrative usando sia il metodo originale del ccrt sia il metodo quaint; 3) identificare ed estrapolare gli interventi principali del terapeuta durante le sedute (per es., le interpretazioni); 4) valutare il grado in cui ciascun intervento è rivolto a ciascuna componente del ccrt (per es., desideri, risposte dagli altri, risposte dal sé). Ciascuno di questi compiti di valutazione è svolto da gruppi separati di giudici che lavorano in modo indipendente.
Un esempio, preso da Crits-Christoph, Barber & Kurcias (1993), può servire a illustrare il nostro concetto di accuratezza. Il ccrt (usando il metodo originale) formulato da giudici clinici su un paziente contiene un desiderio (di essere in contatto con gli altri, di essere vicino), due risposte negative dagli altri (critico, non utile) e due risposte dal sé (non coinvolto con le persone, ansioso). Il terapeuta ha dato la seguente interpretazione al paziente in una seduta: «I miei pensieri riguardo a ciò sono di questo tipo: se lei si avvicina a qualcun altro, la sua percezione è che la possa controllare e farle fare cose e dirle di fare delle cose e... il fatto di non voler essere controllato potrebbe mettere una distanza tra lei e gli altri». Questa dichiarazione del terapeuta è stata valutata come accurata sul desiderio (di essere vicino) e sulla prima risposta dal sé (non coinvolto con la persona), ma non accurata nelle risposte dagli altri o sulla seconda risposta dal sé (ansioso).
Usando questa metodologia, abbiamo esaminato il rapporto tra accuratezza e risultati, contrasto e alleanza. Nel primo studio sull’accuratezza, Crits-Christoph, Cooper e Luborsky (1988) hanno valutato l’accuratezza delle interpretazioni tratte da due sedute all’inizio del trattamento per 45 pazienti in psicoterapia dinamica moderatamente lunga (circa un anno). È stato scoperto che l’accuratezza sui desideri principali e le risposte dagli altri era correlata in modo significativo (r = .44, p < .01) ai risultati del trattamento, anche dopo aver controllato gli effetti di errori generali nella tecnica e la qualità dell’alleanza terapeutica. L’accuratezza relativa alle risposte negative del sé non è collegata ai risultati. Queste scoperte suggeriscono che quando i terapeuti si rivolgono con accuratezza agli aspetti interpersonali del materiale del paziente (per es., i desideri verso gli altri e le loro risposte attese o effettive), invece che agli stati emotivi dei pazienti (per es., la risposta del sé del ccrt), si verificano grandi progressi.
Uno studio successivo ha investigato la relazione dell’accuratezza dell’intervento con lo sviluppo dell’alleanza terapeutica (Crits-Christoph, Barber & Kurcias, 1993). I risultati dello studio indicavano che l’accuratezza composta dal desiderio e dalla risposta dall’altro del ccrt correlavano in modo significativo con il cambiamento nell’alleanza precoce e tardiva (circa 9 mesi) nel trattamento. Questo risultato è indipendente dall’impatto del grado di salute-malattia psicologica sull’alleanza. Quando l’accuratezza era bassa, l’alleanza positiva iniziale si deteriorava e la scarsa alleanza iniziale non migliorava.
Quindi, la qualità della relazione con il terapeuta non è semplicemente una funzione di ciò che il paziente porta in terapia, ma appare influenzata dagli interventi tecnici del terapeuta.
Il concetto di accuratezza dell’intervento è stato anche esaminato da altri studiosi. Piper, Joyce, McCallum & Azim (1993) trovarono che la corrispondenza delle interpretazioni con l’iniziale formulazione dinamica del terapeuta era correlata significativamente con i risultati di un campione di 64 pazienti trattati con terapia dinamica breve. Silberschatz, Fretter e Curtis (1986) hanno trovato che, per ciascuno dei tre pazienti osservati, il grado in cui le interpretazioni dei terapeuti erano rivolte in modo accurato a una formulazione del paziente dedotta indipendentemente aveva un valore predittivo di una risposta più immediatamente positiva alle interpretazioni. Proseguendo lo studio di Silberschatz et al. (1986), Norville, Sampson e Weiss (1996) aggiunsero quattro pazienti in più per un totale di sette e trovarono che l’accuratezza media del terapeuta era altamente correlata con il risultato del trattamento. Sebbene il concetto di accuratezza sia emerso da una tradizione psicodinamica, eravamo anche interessati al grado in cui questo è applicato ad altre forme di terapia. Può essere, per esempio, che efficaci terapeuti cognitivi-comportamentali si focalizzino anche sui temi relazionali ripetitivi maladattivi dei loro pazienti, pur usando i modelli e il linguaggio di una prospettiva cognitivo-comportamentale. Abbiamo esaminato l’accuratezza in relazione ai drop-out dalla terapia in un campione di 34 pazienti dipendenti da oppiacei trattati con terapia cognitiva tratti dal trial clinico di Woody et al. (1983). I risultati indicarono che l’accuratezza dell’interpretazione è correlata significativamente alla durata del trattamento nella terapia cognitiva (Crits-Christoph & Baranackie, 1991). Tra i casi dove si verificava un basso livello di accuratezza (sotto la mediana), nessuno dei pazienti era rimasto in trattamento più a lungo di 10 sedute. Dove c’era un elevato livello di accuratezza, il 39% dei pazienti era stato in trattamento più a lungo di 10 sedute. La ricerca attuale esaminerà la relazione dell’accuratezza con i risultati, includendo le ricadute e il ripresentarsi dei sintomi, seguendo sia la terapia cognitiva che quella interpersonale.
La possibilità che l’accuratezza nel focalizzare i temi interpersonali sia un concetto teoricamente trasversale solleva la questione di quanto ciò sia simile al concetto clinico di empatia che è importante per molte scuole di psicoterapia. Comunque, la nostra misura dell’accuratezza si riferisce più specificamente a un modello interpersonale, gli elementi del ccrt (desideri, risposte degli altri, risposte del sé), piuttosto che a una comprensione di ciò che il paziente sta esprimendo o sentendo in quel momento. Abbiamo esaminato questa relazione direttamente, correlando una misura delle qualità Rogeriane (la Facilitative Conditions subscale of the Collaborative Study Psychotherapy Rating Scale, Hill, O’Grady & Elkin, 1992) con l’accuratezza dell’intervento. Per pazienti sia in terapia dinamica (r=.08, p>.10) che cognitiva (r= - .26, p > .10), non era evidente una relazione statistica significativa tra queste misure.
Conclusioni e raccomandazioni
Le narrative riguardanti le interazioni con gli altri forniscono una finestra sulla comprensione dei temi interpersonali (relazionali) ripetitivi. Il nostro approccio allo studio delle narrative ha unito un metodo ideografico (analisi a cluster dei dati di un singolo paziente) con un metodo nomotetico (le categorie standard del comportamento interpersonale basate sulla sasb). Questo metodo combinato ideografico e nomotetico possiede il potenziale per catturare importanti fenomeni clinici a livello individuale, ma non in termini generalizzabili per gruppi più ampi di pazienti. Ciò nonostante questo contributo metodologico può essere utile per migliorare la ricerca sul processo interpersonale in psicoterapia.
A un livello pratico i risultati dei nostri studi sulla natura dei temi interpersonali in psicoterapia sono più coerenti con i modelli che pongono enfasi su patterns multipli piuttosto che su di un singolo tema. L’estensione rispetto alla quale ciascuno dei temi di un paziente appare differentemente correlato al processo terapeutico (es. alleanza) e al risultato della terapia rimane una domanda interessante per ulteriori ricerche. Studi sull’accuratezza del terapeuta rispetto ai temi interpersonali dovranno tenere conto della molteplicità dei temi che compaiono.
Ci si può anche interrogare sulle numerose implicazioni dei nostri risultati nella pratica clinica. Se un terapeuta è interessato a porre l’attenzione sui processi interpersonali in terapia, i nostri dati suggeriscono che nel modificare il proprio modello di trattamento e porre attenzione alla qualità dell’alleanza il terapeuta può incoraggiare l’articolazione da parte del paziente di narrative più numerose e di migliore qualità, in questo modo ottenendo un ampio materiale clinico per la formulazione di tali dinamiche interpersonali. Un’altra implicazione dei nostri risultati per la pratica si riferisce al grado di attenzione alla relazione paziente-terapeuta. Mentre i nostri studi suggeriscono che si verifichi il transfert nei confronti del terapeuta, ciò non è evidente per tutti i pazienti (almeno nelle prime fasi del trattamento). La conseguenza nella pratica della terapia breve è che un alto livello di attenzione alla relazione terapeutica non è probabilmente indicato per molti pazienti. L’attenzione, durante la terapia, ai temi interpersonali al-di-fuori della relazione terapeutica (cioè il transfert nella vita quotidiana) potrebbe essere un metodo sufficiente, se non migliore, per produrre il cambiamento.
Lo studio dei processi interpersonali in psicoterapia è un compito difficile e complesso, ed è difficile stabilire delle sicure connessioni causali. Ciò non di meno finora la ricerca del nostro gruppo e di altri suggerisce che sia possibile studiare questi fenomeni e che una parte dell’azione terapeutica della terapia psicodinamica, come di quella cognitivo-comportamentale, probabilmente include processi interpersonali in seduta e fuori da questa. Svelare i meccanismi interpersonali di cambiamento in psicoterapia può esserci di aiuto nel costruire trattamenti più efficaci, insegnare la psicoterapia in modo più efficace e forse fornire informazioni sulla natura della psicopatologia e delle relazioni umane in generale.
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* Questo articolo è basato sul Presidential Address dell’incontro annuale della Society for Psychotherapy Research, Geilo, Norvegia, giugno 1997. Per gentile concessione della Guilford Publications, Inc., New York.
La ricerca presentata in questo articolo è stata finanziata dai fondi P50-MH-45178, K02-MH00756 e RO1-MH40472 del National Institute of Mental Health.
Traduzione italiana a cura di Monica Romanengo e Marina Verga, per gentile concessione della Giulford Press, Inc. New York.
Corrispondenza con l’autore: Paul Crits-Cristoph, Ph.D., Department of Psychiatry, University of Pennsylvania, Room 700, 3600 Market St. Philadelphia, PA 19014. E-mail: crits@landru.cpr.upenn.edu.
Drop out in psicoterapie psicodinamicamente orientate:
Uno studio con il metodo del ccrt
C. Masserini, E. Fava, L. Arduini, S. Borghetti, P. Calini, G. Corbellini, A. Ferri, M. Fontolan, S. Gatta, M. Mazzariol, E. Pazzi, E. Spoletini*, P. Pazzaglia.
Riassunto
Il fenomeno delle interruzioni non concordate del trattamento (drop out) costituisce un evento frequente nella pratica psichiatrica. Nel presente lavoro sono analizzate le interruzioni precoci di psicoterapie psicodinamicamente orientate dal punto di vista dei modelli relazionali dei pazienti e delle loro modificazioni nelle prime fasi della terapia. Utilizzando il metodo ccrt di Luborsky, sono stati studiati 16 trattamenti audioregistrati effettuati in ambito pubblico da sette differenti terapeuti. Otto pazienti avevano interrotto il trattamento, mentre altri otto l’avevano continuato. L’evoluzione nel tempo del ccrt nei due gruppi ha mostrato differenze significative. Mentre nei drop outs il modello maladattativo delle relazioni resta invariato, nei pazienti che proseguono la psicoterapia si osserva la comparsa di componenti a valenza positiva nel ccrt. A sei mesi di trattamento, i pazienti drop out hanno un aumento delle risposte positive d’oggetto, ma non delle risposte positive dal sé, mentre i pazienti di controllo mostrano un aumento delle risposte positive dal sé, in assenza di un aumento significativo delle risposte d’oggetto. I risultati sono discussi alla luce dei risvolti nella pratica clinica e nello sviluppo di ulteriori linee di ricerca.
Abstract
Sixteen patients newly admitted in a psychodynamic psychotherapy treatment were studied using the Luborsky’s ccrt method. They represent a tape-recorded sample of a broader population of subjects requesting psychotherapy at the Psychotherapy Service of the University of Milan. Eight patients discontinued their therapy within 12 months. Eight patients continued. At the initial time of the treatment and six months later, the ccrt patterns were compared among the two groups. No difference could be seen at the beginning. Significant differences were found at the six months post baseline ccrt between dropouts and continuers. While the continuers change their maladaptative ccrt pattern, the drop out patients do not. While the continuers show an increase of positive responses from the others and from self, the drop outs show an increase of positive responses from the others without an increase of positive responses from self.
The data seem to suggest that drop outs in our sample are incapable of making use of the "good object" to get better.
Introduzione
Le interruzioni non concordate del trattamento (drop out) costituiscono un evento frequente in tutte le forme di terapia psichiatrica.
In letteratura è segnalato un tasso dei casi di drop out che ha valori variabili in funzione del contesto del trattamento, del tipo di terapia e della diagnosi. I tassi più bassi ovviamente compaiono in quei contesti in cui i pazienti sono stati selezionati e hanno accettato l’invio a specifiche forme di trattamento. Per esempio, Hunt e Andrews (1992) segnalano un tasso del 17% in un gruppo di pazienti con disturbi d’ansia in psicoterapia cognitivo-comportamentale, Wexler e Cicchetti (1992) segnalano tassi dal 19% al 35 % nei disturbi depressivi in funzione del tipo di trattamento ricevuto e Yeomans et al. (1994) segnalano un tasso del 36 % in un gruppo di pazienti borderline in trattamento psicodinamico. Se si considerano invece i primi contatti avvenuti nei servizi pubblici (Baekeland e Lundwall, 1975; Taube, Burns e Kessler, 1984; Morlino, Martucci, Musella, Bolzan, de Girolamo, 1995) e anche nel privato (Pekarik, 1986; Garfield, 1994) i valori salgono frequentemente oltre il 50% dei casi.
Il tasso dei drop out sembra scarsamente correlato a variabili di ordine diagnostico e socio-demografico (Phillips, 1985; Beckham, 1992; Hunt et al., 1992; Pollack, Mordecai e Gumpert, 1992), mentre su di esso inciderebbero più significativamente variabili connesse con la motivazione e le attese del paziente e, in modo meno costante, con alcune caratteristiche del paziente (Frayn e Adams, 1992; Hilsenroth, Handler, Toman, Padawer, 1995; Calini et al., 1998).
La maggior parte dei ricercatori insiste sull’importanza delle relazioni che precocemente s’instaurano tra paziente e terapeuta e sulla percezione che il paziente ha del terapeuta e del tipo di aiuto che questi gli sta fornendo (Fiester, 1977; Mohl, Martinez, Ticknor, Huang, Cordell, 1991; Beckham, 1992).
Partendo da queste ultime considerazioni, è stato suggerito che il tasso dei drop out sia un indicatore della performance di un servizio (Phillip, 1985).
Questi studi hanno avuto finora il limite di non poter contare su strumenti in grado di fornire dati affidabili e riproducibili su quanto avviene tra terapeuta e paziente sin dalle prime fasi della terapia.
Lo sviluppo di metodi di ricerca che, a partire dalla registrazione dei colloqui, analizzano in modo affidabile le interazioni tra paziente e terapeuta, come, per esempio, il ccrt (Core Conflictual Relationship Theme) di Luborsky (Luborsky, 1977) e la sasb (Structural Analysis of Social Behavior) di Benjamin (Benjamin, 1974; Henry, 1996), rendono ora possibile un’analisi sistematica di alcuni aspetti di queste relazioni.
Non è inoltre chiarito, nei diversi contesti, il significato clinico dei drop out, cioè le implicazioni che il fenomeno dell’interruzione del trattamento può avere rispetto all’evoluzione della storia clinica del paziente.
Ricerche recenti hanno portato al superamento della concezione secondo la quale drop out equivale semplicemente a fallimento terapeutico.
Una parte importante dei pazienti drop out, specie i drop out tardivi, avrebbe esiti paragonabili a quelli dei pazienti che continuano la terapia (Pekarik, 1992a, 1992b).
La notevole rilevanza del fenomeno del drop out, l’ambiguità del suo significato clinico, la sua implicazione rispetto alla valutazione del funzionamento dei servizi e dell’efficacia dei trattamenti suggeriscono l’opportunità di un approfondimento di studi in questo ambito.
In questo lavoro analizzeremo le interruzioni precoci di psicoterapie psicodinamicamente orientate dal punto di vista dei modelli relazionali dei pazienti (che interrompono e che continuano) e delle loro modificazioni nelle prime fasi della terapia. L’obiettivo è quello di cogliere assetti relazionali a rischio e la loro evoluzione nelle prime fasi della terapia.
I modelli relazionali e la loro evoluzione nel tempo sono stati valutati con il metodo ccrt di Luborsky e Crits-Cristoph (1990).
Materiali e metodi
Pazienti
I pazienti considerati nello studio appartengono alla popolazione dei pazienti che sono seguiti ambulatoriamente nel servizio di psicoterapia della IV Cattedra di Psichiatria della Università di Milano. La tipologia di questa popolazione è ampiamente descritta nel lavoro di Calini et al. (1998) e corrisponde alla tipologia trovata negli utenti dei servizi ambulatoriali della Regione Lombardia nello studio di Pazzi et al. (1997).
Sono stati inclusi nello studio i primi otto pazienti che hanno abbandonato la psicoterapia, con modalità di drop out; il gruppo di controllo è costituito da otto pazienti in psicoterapia trattati contemporaneamente ai precedenti, scelti in modo da essere omogenei nei confronti dei primi rispetto ai principali parametri anagrafici, diagnostici e ai trattamenti farmacologici eventualmente associati.
Tutti i pazienti erano seguiti in un setting istituzionale con sedute di psicoterapia psicodinamicamente orientata (supportivo-espressiva), da sette terapeuti, di cui cinque esperti (più di 10 anni di esperienza) e due in formazione (da 2 a 5 anni di esperienza).
I terapeuti avevano diversi orientamenti teorici, ma erano abituati a lavorare insieme e a discutere in gruppo i casi clinici.
I pazienti, prima di iniziare il trattamento psicoterapico, avevano usufruito di colloqui di valutazione diagnostica presso il nostro servizio ambulatoriale di consultazione, attuati da psichiatri diversi dai successivi terapeuti.
Le caratteristiche anagrafiche e la diagnosi clinica secondo i codici icd-10 dei pazienti sono descritte nella tabella 1.
Degli otto pazienti che hanno attuato il drop out, quattro hanno interrotto dopo almeno sei mesi di trattamento (casi 1, 2, 4, 5), un paziente ha interrotto dopo un anno (caso 3) (late drop out o tardivi) e tre (casi 6, 7, 8) hanno interrotto prima di sei mesi (early drop out o precoci). In particolare il caso 6 ha interrotto dopo quattro sedute, il caso 7 dopo cinque sedute e il caso 8 dopo dieci sedute.

Nei casi di controllo che non hanno interrotto il trattamento, il caso 15 ha concluso la terapia dopo due anni e gli altri sette sono ancora in trattamento a distanza di più di due anni dalla presa in carico psicoterapica.
La frequenza delle sedute era di una seduta alla settimana per la maggioranza dei pazienti, soltanto in due casi (caso 9 e caso 14) è stata di due sedute alla settimana.
Materiale
Tutte le terapie sono state integralmente registrate, previo consenso informato sottoscritto dal paziente. Tre sedute all’inizio del trattamento (la II, III, IV) sono state scelte per la ratificazione e contrassegnate come tempo T0. Tre sedute a distanza di sei mesi dalle precedenti sono state ratificate e contrassegnate come tempo T1.
Sono stati ratificati tutti gli episodi relazionali presenti nelle tre sedute considerate.
L’insieme delle sedute doveva contenere, come indicato dal manuale di Luborsky, un minimo di dieci episodi relazionali, in caso contrario si è proceduto alla trascrizione di una ulteriore seduta successiva alle prime tre.
Metodo
Il metodo ccrt (Core Conflictual Relationship Theme) di Luborsky è stato utilizzato in questo studio. Il ccrt è basato sull’individuazione di unità narrative tratte dalle trascrizioni dei colloqui audioregistrati delle sedute di psicoterapia.
Queste unità narrative contengono la descrizione di episodi relazionali (er) che il paziente liberamente racconta nel corso delle sedute e che descrivono la interazione del paziente con diversi personaggi (oggetti) della sua vita passata e presente, terapeuta compreso.
In generale gli episodi relazionali contengono tre componenti: i desideri, cioè l’espressione di bisogni, intenzioni e desideri del soggetto (W = wish), le risposte ricevute o attese dagli altri (ro = Response from the others o risposta dall’oggetto), e le risposte del Sé, cioè le reazioni del soggetto stesso nell’interazione con l’altro (rs = Response from self = risposta dal Sé).
La procedura del ccrt prevede la trascrizione e la lettura del testo delle sedute psicoterapiche, la individuazione degli episodi relazionali e, all’interno di questi, l’individuazione dei desideri espressi, delle risposte dagli altri e delle risposte dal sé, utilizzando le regole enunciate nel manuale di L. Luborsky e P. Crits-Christoph (1990).
Le proprietà psicometriche del metodo ccrt sono state oggetto di accurate ricerche condotte presso l’Università della Pennsylvania da L. Luborsky e collaboratori.
L’attendibilità del metodo è risultata soddisfacente (Luborsky e Diguer, 1995; Barber, Luborsky e Crits-Christoph, 1995; Popp et al., 1996).
L’attendibilità è stata replicata in Italia presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Milano da Freni, Azzone, Gigli (1993) e presso la Facoltà di Psicologia dell’Università "La Sapienza" di Roma dal gruppo di Dazzi (Dazzi et al., 1997).
Anche all’interno del nostro gruppo, dopo un iter di formazione in comune, è stata testata l’attendibilità del metodo, raggiungendo una concordanza finale interna nelle ratifiche del 60% per la componente desiderio, del 90% per la componente ro e del 70% per la componente rs. La concordanza è stata testata tramite i raggruppamenti a clusters1 (Barber, Crits-Christoph, Luborsky, 1992).
Le ratifiche delle sedute sono state eseguite da coppie di ratificatori diversamente assortite e successivamente ricontrollate da altri ratificatori, in cieco rispetto ai risultati dei trattamenti.
Tutti gli episodi relazionali, la cui completezza era uguale o superiore al punteggio di 2,5, presenti nelle tre sedute sono stati ratificati. In totale sono stati ratificati 435 episodi relazionali.
Gli elementi che compongono gli episodi relazionali (w, ro, rs) delle sedute sono dapprima espressi in categorie "su misura", che corrispondono alla verbalizzazione del paziente, e successivamente tradotti in categorie standard, secondo il manuale di Luborsky e disposti in ordine di frequenza. Si procede poi a calcolare la pervasività di ogni componente secondo la formula:
"Pervasività di una componente del ccrt = N° di episodi in cui è presente la componente analizzata diviso per il N° totale degli episodi presenti nelle sedute considerate".
Prendendo in considerazione le componenti a pervasività più alta di Wish, ro e rs, è possibile formulare il ccrt di ogni singolo paziente sia espresso per categorie standard sia espresso per raggruppamento in clusters.
Analisi dei risultati
Dal momento che il numero degli episodi relazionali nel gruppo delle tre sedute che costituiscono i due tempi d’osservazione (T0 e T1) non è sempre uguale a dieci episodi (vedi tabella 1), per rendere confrontabili i dati tra i pazienti si è proceduto a esprimerli in pervasività normalizzata.
Pervasività normalizzata = pervasività di ciascuna categoria (o cluster) presente nella ratifica diviso la somma delle pervasività di tutte le categorie (o clusters) espresse nella ratifica di quella componente (w, ro, rs) del ccrt.
Per ogni paziente è stato formulato il ccrt espresso per categorie standard e il ccrt espresso per clusters: il ccrt di un paziente è costituito dall’insieme delle componenti w, ro e rs che ha ottenuto la pervasività più alta.
I risultati sono stati analizzati da un punto di vista prevalentemente descrittivo per quanto riguarda il modello di ccrt emerso nei singoli casi.
Successivamente si sono analizzate le singole componenti del ccrt, espresse in raggruppamenti a clusters, e si è analizzato quantitativamente, a diversi livelli, come si distribuivano gli otto clusters di Desideri, ro e rs nel gruppo dei pazienti drop out e nel gruppo dei controlli, applicando il "t" di Student sulle medie per campioni appaiati e per campioni non appaiati, a seconda dei confronti da effettuare.
Risultati
Analisi della formulazione del ccrt nei due gruppi
L’analisi dei risultati parte dalla formulazione del ccrt per ogni paziente, vale a dire dall’insieme delle tre componenti che ha raggiunto la più alta pervasività e che costituisce il tema relazionale conflittuale centrale per il paziente, in quel determinato momento di osservazione.
Il dato descrittivo che ci sembra più evidente è la diversità di comparsa di risposte positive2 dall’oggetto e dal sé nel gruppo dei pazienti drop out rispetto ai controlli nel ccrt al tempo T1: nessuna risposta positiva è presente nel ccrt, espresso in clusters, dei drop out al tempo T1, mentre sono presenti tre risposte ro positive e tre risposte rs positive nei pazienti di controllo a T1, che non erano presenti all’inizio del trattamento (T0).
Nelle tabelle 2 e 3 sono indicate le categorie standard del ccrt che si sono espresse con maggiore pervasività nel gruppo dei drop out e dei pazienti di controllo.
I pazienti che proseguono il trattamento manifestano al tempo T1 dei modelli relazionali prevalenti (ccrt) più adattativi rispetto all’inizio della terapia. Infatti in quattro pazienti su otto compaiono risposte positive sia nelle ro che nelle rs e in due su otto compaiono risposte positive nelle ro. In totale quindi in sei pazienti su otto si vede una modificazione in senso positivo del ccrt rispetto alla formulazione iniziale.
I cinque pazienti drop out tardivi conservano al tempo T1 un ccrt sostanzialmente invariato rispetto all’inizio del trattamento.
Se sottoponiamo questa distribuzione di frequenza al test esatto di Fisher (1934), otteniamo un valore di p < 0.02, che ci permette di concludere che esiste una differenza significativa tra i due gruppi per quanto riguarda l’andamento del tema relazionale centrale conflittuale.

Analisi di tutte le componenti presenti nella ratifica del ccrt dei due gruppi
Un secondo livello di analisi quantitativa dei risultati è stato ottenuto tenendo conto di tutti gli elementi emersi nelle ratifiche e non soltanto di quelli più pervasivi che entrano nella formulazione del tema relazionale conflittuale centrale secondo Luborsky.
In questo modo vengono utilizzati e pesati tutti i dati raccolti dalle ratifiche, senza privilegiare quelli a pervasività più alta.
Confronto all’inizio del trattamento tra drop out e controlli (tempo T0)
Il primo confronto effettuato riguarda le differenze tra i due gruppi di pazienti all’inizio del trattamento. Ci si chiede cioè se alcune caratteristiche relative ai desideri, alle risposte dall’altro e alle risposte dal sé caratterizzino maggiormente un gruppo rispetto all’altro. In questo caso le configurazioni assunte dalle distribuzioni delle categorie del ccrt si porrebbero come possibili predittori di drop out.
A questo proposito non è emersa nei pazienti che attuano drop out alcuna configurazione nelle distribuzioni delle categorie del ccrt al tempo T0 che sia statisticamente correlabile a una maggiore evenienza di drop out.
Appaiono comunque delle indicazioni di possibili tendenze: i pazienti che interrompono il trattamento tendono ad avere all’inizio una minore pervasività del desiderio di "contrastare, ferire e controllare gli altri" (cluster 2, p = 0,22) e una maggiore pervasività del desiderio di "riuscire e aiutare gli altri" (cluster 8, p = 0,19) rispetto ai pazienti di controllo. I pazienti che interrompono hanno inoltre una minore pervasività della risposta d’oggetto ro "cattivo" (cluster 4, p = 0,25), una minore pervasività della risposta dal sé rs "dotato di autocontrollo e sicuro di sé" (cluster 5, p = 0,16) e di "sintomi somatici" (categoria 31, p = 0,18).
Confronto all’interno dei controlli e all’interno dei drop out tra T0 e T1.
Il secondo confronto riguarda come i gruppi di pazienti cambiano nel tempo al loro interno, cioè i valori al tempo T0 sono stati confrontati con i valori raggiunti al tempo T1.
Nei pazienti drop out, che hanno i due tempi di osservazione (i cinque drop out tardivi), la pervasività dei desideri e delle risposte dal Sé non cambia significativamente nel tempo considerato. Si può soltanto notare un trend di aumento a T1 del desiderio del cluster 5 (p = 0,21) "essere vicino e accettare gli altri" rispetto ai valori al tempo T0.
Per quanto riguarda invece le risposte dall’altro (Fig.1): aumentano in modo significativo le pervasività del cluster 1 "forte", indipendente, felice (p = 0,02) e del cluster 8 "comprensivo", aperto, accogliente (p = 0,016), mentre si abbassa la pervasività del cluster 6 "disposto ad aiutare", collabora (p = 0,05).
Nei controlli le pervasività dei desideri e delle risposte dall’altro non cambiano significativamente nel tempo. Si può soltanto notare un tendenza di aumento a T1 del desiderio del cluster 8 (p = 0,18) "riuscire".


Riguardo le risposte del Sé (Fig.2), aumentano significativamente al tempo T1 le pervasività delle categorie appartenenti al cluster 1 "disposto ad aiutare", capisco, sono aperto (p < 0,05) e al cluster 3 "rispettato e accettato", mi sento a mio agio, felice, amato, mi piacciono gli altri (trend p < 0,07). Diminuisce significativamente la pervasività delle categorie appartenenti al cluster 6 "mi sento impotente", incapace di controllarmi, insicuro, dipendente (p < 0,03).
Confronto a sei mesi tra drop out e controlli ( tempo T1)
Il terzo confronto riguarda le configurazioni assunte dai due gruppi dopo sei mesi di trattamento. Il confronto è a questo punto effettuato tra gli otto pazienti che continuano il trattamento e i cinque pazienti che hanno interrotto la terapia nei sei mesi successivi al primo retest (drop out tardivi).
Nei due gruppi di pazienti, dopo sei mesi di trattamento, si riscontrano sia differenze significative che trends di significatività relativamente alla pervasività di alcune categorie delle ro e delle rs (Fig.1 e 2). Tali differenze sono probabilmente la conseguenza del diverso modo di modificarsi dei pazienti come visto nel paragrafo precedente.
Infatti i drop out, a sei mesi, presentano rispetto ai valori dei controlli una pervasività più alta nelle categorie ro "forte" (cluster 1, p = 0.02) e una pervasività più bassa delle categorie ro "dominatore" (cluster 2, p = 0.03) e ro "disposto ad aiutare" (cluster 6, trend p = 0.08).
Inoltre a sei mesi si osserva una differenza per le categorie rs cluster 1 "disposto ad aiutare", capisco, sono aperto, che è significativamente più basso nei drop out rispetto ai controlli (p < 0.05).
Considerazione sui pazienti drop out precoci
Per quanto non sia possibile un’analisi statistica per l’esiguità dei casi, vogliamo osservare che i tre pazienti che interrompono precocemente la terapia hanno i valori di pervasività in assoluto più alti delle risposte rs dei cluster 6 "impotente" e del cluster 7 "deluso e depresso".
Lettura clinica dei risultati
Un ultimo livello d’analisi ci porta a considerare, caso per caso, le caratteristiche del modello relazionale centrale, che si è instaurato nella prima fase del trattamento dei pazienti che interrompono la terapia, integrando questo dato con considerazioni di ordine clinico, nate dalla discussione sui casi.
Pensiamo che questo livello d’analisi, che esula in parte dal modello dello studio, ci possa dare un’idea del vissuto che corrisponde all’abbandono della terapia e di ciò che il trattamento non è riuscito a modificare (vedi Tab. 2).
Nel caso 1 sembra prevalere la rabbia di non avere controllo e possesso di un oggetto dalle caratteristiche pregiate da cui il paziente desidera essere amato.
Nel caso 2 il soggetto sembra vivere la dipendenza dal terapeuta, percepito come disponibile, in termini depressivi e autosvalutativi.
Nel caso 3 l’oggetto permane a T1 rifiutante e ciò determina il permanere di sentimenti di ansia e impotenza. Questo è il solo caso in cui la terapia non modifica le qualità originarie della relazione con l’oggetto e assistiamo, secondo il terapeuta, al mantenimento difensivo di una relazione di rifiuto rispetto al rischio di una colpevole realizzazione istintuale.
Nel caso 4 sembra manifestarsi apertamente un conflitto autonomia-dipendenza. Se l’oggetto è vicino provoca un sentimento di ansia, se è lontano genera rabbia.
Nel caso 5 le caratteristiche attribuite all’oggetto a cui il paziente si lega, realizzando il proprio bisogno di dipendenza, sono tali da suscitare reazioni di ostilità e opposizione.
Nei casi che interrompono precocemente il trattamento non è osservabile l’evoluzione del transfert, ma soltanto la situazione iniziale. Tuttavia anche nel caso 7 e nel caso 8 sembrano individuabili difficoltà con un oggetto che possiede anche caratteristiche positive.
Discussione e conclusioni
Al tempo T0 non compaiono distribuzioni di categorie ccrt che possano essere considerate predittori di drop out: i pazienti che abbandonano il trattamento non sembrano essere diversi, rispetto alle categorie ccrt, dai pazienti che continuano.
A sei mesi (T1), i due gruppi invece si differenziano significativamente sia che venga considerato soltanto il tema relazionale conflittuale prevalente, sia che venga considerato l’insieme di tutte le categorie (o clusters) che compaiono nelle narrative del paziente.
L’esposizione al trattamento sembra dunque avere prodotto cambiamenti rilevabili e rilevanti nei due gruppi e tra i due gruppi. Non possiamo escludere che una "predisposizione" al drop out sia stata presente anche prima dell’inizio del trattamento, sotto soglia rispetto agli strumenti che abbiamo utilizzato, ma appare evidente che, con il passare del tempo, si manifestano fenomeni di una certa ampiezza che caratterizzano e distinguono i due gruppi.
Questi cambiamenti si sono dimostrati più significativi di quelli rilevati in uno studio del ccrt, in funzione degli esiti a sei mesi, in un campione più vasto di pazienti che hanno proseguito il trattamento (manoscritto non pubblicato).
Nei casi drop out quindi "accade qualcosa".
Innanzi tutto i pazienti che proseguono il trattamento tendono a muoversi nella stessa direzione dei pazienti che ottengono esiti positivi dal trattamento psicoterapico, come osservato da Luborsky, Crits-Cristoph, Mintz, Auerbach (1988), cioè tendono a positivizzarsi le componenti più pervasive dei loro ccrt, in particolare a livello di risposta dall’altro e di risposta dal sé. Nei drop out ciò non si osserva.
Utilizzando il metodo di considerare tutte le risposte date, nei pazienti drop out tardivi si osserva a T1 un cambiamento significativo nell’area delle risposte dall’oggetto, che appare più "forte" e "comprensivo" anche se tendenzialmente meno "disposto ad aiutare". Non cambiano le risposte dal sé, che sono caratterizzate come all’inizio da "impotenza" e "delusione".
Nei pazienti che invece continuano il trattamento le trasformazioni significative avvengono nell’area delle risposte dal sé: sono più "disposti ad aiutare, capire, essere aperti" e meno "impotenti" di quanto si sentissero all’inizio.
Quindi l’effetto del trattamento nei due gruppi presenta una fisionomia diversa, caratterizzata dalla incapacità dei pazienti drop out di reagire in modo più positivo a situazioni relazionali apparentemente migliorate nelle componenti ro.
L’inverso si realizza nel gruppo di controllo, dove si osserva una capacità di reagire meglio a situazioni in cui permangono frequenze elevate di risposte negative dall’oggetto.
Potremmo concludere che i pazienti drop out (o una parte di essi) sembrano avere una difficoltà a reagire positivamente alla presenza e disponibilità degli altri.
A una osservazione più accurata possiamo osservare che le migliorate qualità degli oggetti non sono considerate in termini di maggiore aiuto per il soggetto, che le vive con sentimenti di delusione e impotenza.
L’esame delle categorie ccrt, caso per caso, e la valutazione clinica ci aiutano a comprendere meglio questo apparente paradosso: l’altro "forte e comprensivo" suscita reazioni di rabbia, umiliazione e invidia oppure stimola un bisogno di dipendenza, altamente conflittuale, e questi pazienti sono incentivati a sentirsi "non aiutati", "impotenti" e a interrompere il rapporto con il terapeuta.
L’applicazione alla clinica dei dati ottenuti in un contesto sperimentale è una operazione non priva di pericoli come semplificazioni, approssimazioni, fraintendimenti e generalizzazioni scorrette.
Gli studi empirici, per loro natura, tendono a fondarsi su indicatori percepibili e misurabili di fenomeni più complessi, che quindi non sono colti nella loro interezza.
Il metodo ccrt di Luborsky non fa eccezione a questa regola, anche se è considerato uno dei migliori strumenti per analizzare gli stili relazionali prevalenti e le loro modificazioni nel tempo, cogliendo aspetti dei processi transferali e rappresentazionali che sottendono i modelli di comportamento relazionale osservabile.
È necessaria quindi grande cautela nel pensare di trarre dai nostri dati delle indicazioni utili alla clinica; tuttavia il suggerimento clinico che sembra emergere dal nostro studio è l’attenzione precoce allo sviluppo di queste forme di transfert e il loro tempestivo trattamento. Il terapeuta "buono" non è di per sé un buon terapeuta.
L’approfondimento della ricerca porterebbe quindi ad analizzare gli interventi del terapeuta e la loro adeguatezza nell’affrontare questo tipo di problemi, a partire dal fatto che il terapeuta se ne sia accorto o meno. In questo senso la ricerca è orientata a individuare risposte specifiche rispetto a problemi specifici posti dalla pratica clinica.
Rimane aperto il problema dell’estendibilità di queste osservazioni al di fuori del contesto dei trattamenti psicoanaliticamente orientati, cioè se questo tipo di assetto è caratteristico anche di pazienti che interrompono il trattamento in altri contesti terapeutici.
Possiamo infatti pensare che in differenti contesti di cura siano individuabili gruppi di pazienti drop out o a basso livello di compliance, che sviluppano particolari modelli relazionali, rilevabili al ccrt, la conoscenza dei quali potrebbe essere preziosa per migliorare la qualità dei trattamenti o per indirizzare i pazienti stessi a forme di trattamento più aderenti ai loro bisogni.
Appendice
Denominazione dei clusters secondo Barber et al.
Desideri: 1. Impormi ed essere indipendente. 2. Contrastare, ferire e controllare gli altri. 3. Essere controllato, ferito e non responsabile. 4. Tenermi a distanza ed evitare i conflitti. 5. Essere vicino e accettare gli altri. 6. Essere amato e capito. 7. Sentirmi bene e a mio agio. 8. Riuscire e aiutare gli altri.
Risposte d’oggetto: 1. Forte. 2. Dominatore. 3. Sconvolto. 4. Cattivo. 5. Rifiutante e contrastante. 6. Disposto ad aiutare. 7. Gli piaccio. 8. Comprensivo.
Risposte dal sé: 1. Disposto ad aiutare. 2. Poco recettivo. 3. Rispettato e accettato. 4. Ostacolo gli altri e li ferisco. 5. Dotato di autocontrollo e sicuro di sé. 6. Impotente. 7. Deluso e depresso. 8. Ansioso e pieno di vergogna.
Legenda
Tabella 1: dati anagrafici e diagnosi secondo i codici dell’icd – 10 della casistica. ER = numero di Episodi Relazionali. T0 = inizio della terapia. T1 = sei mesi dall’inizio della terapia.
Tabella 2: ccrt espresso per raggruppamenti in categorie standard3 nei pazienti drop out. Tra parentesi i valori della pervasività normalizzata. In grassetto le risposte a valenza positiva.
Tabella 3: ccrt espresso per raggruppamenti in categorie standard nei pazienti di controllo. Tra parentesi i valori della pervasività normalizzata. In grassetto le risposte a valenza positiva.
Figura 1: in ascissa il cluster di appartenenza delle risposte d’oggetto espresse nella ratifica del ccrt. In ordinata i valori di pervasività della media di ciascun gruppo. Il cluster 1 (forte) è più alto nei drop out a T1 sia rispetto al valore al T0 sia rispetto al valore dei controlli a T1. Il cluster 2 (dominatore) è più basso nei drop out a T1 rispetto al valore dei controlli. Il cluster 6 (disposto ad aiutare) è più basso e il cluster 8 (comprensivo) è più alto nei drop out a T1 rispetto ai valori a T0.
Figura 2: in ascissa il cluster di appartenenza delle risposte dal sé espresse nella ratifica del ccrt. In ordinata i valori di pervasività della media di ciascun gruppo. Il cluster 1 (disposto ad aiutare) e il cluster 3 (rispettato e accettato) aumentano nei controlli da T0 a T1. Il cluster 6 (impotente) si riduce nei controlli da T0 a T1.
Bibliografia
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Dr.ssa Cinzia Masserini, via G.F. Besta 1, 20161 Milano
Istituto di Clinica Psichiatrica, Università degli Studi di Milano, Sezione di Affori, UOP 48 a Direzione Universitaria.
*Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Milano.
La bibbia del ricercatore
HANDBOOK OF PSYCHOTERAPY AND BEHAVIOR CHANGE
A cura di Allen E. Bergin e Sol L. Garfield,
John Wiley & Sons, New York, 1994, pp. 864.
Recensione di P. Azzone
Anche la ricerca empirica in psicoterapia ha la sua bibbia. Dalla prima edizione del 1981 fino alla quarta del ’94 l’Handbook of Psychotherapy and behavior change di Bergin e Garfield si è via via imposto come il testo fondamentale della ricerca in psicoterapia. Gli psicologi americani lo considerano il testo più importante sulla psicoterapia, e nei dipartimenti di psicologia delle università americane è il secondo tra i testi più frequentemente consigliati nei corsi post-laurea.
Senza dubbio al successo del testo ha concorso in modo decisivo la sua ineccepibile completezza. Tutti gli argomenti sono trattati in modo estremamente analitico, le bibliografie sono ricchissime e assolutamente esaurienti, ogni capitolo rappresenta una fondamentale revisione di un determinato problema, steso da un esperto assoluto, con lunghissima esperienza in quello specifico settore di ricerca.
Altrettanto completa e attuale è l’organizzazione del testo. Gli autori hanno diviso il materiale in 4 parti. La prima parte è dedicata ai fondamenti metodologici, etici e concettuali. Qui il lettore sarà lieto di trovare due ricchissimi capitoli sulla metodologia della ricerca: uno sui fondamenti generali (Metodologia, disegno e valutazione nella ricerca in psicoterapia, di Alan E. Kazdin) e uno sulla Valutazione degli esiti e dei processi in psicoterapia, di Michael Lambert e Clara Hill. Il contributo di Kazdin esamina in modo articolato i disegni utilizzati nella ricerca empirica in psicoterapia, dallo studio single-case alla meta-analisi, le problematiche relative alla somministrazione e al controllo dei trattamenti e alla scelta dei terapeuti e le difficoltà insite nella elaborazione dei dati. Michael Lambert e Clara Hill analizzano in modo ricco e approfondito le strategie più adeguate per la misurazione e lo studio empirico del processo e dell’esito della psicoterapia, e delle loro reciproche interrelazioni.
La seconda parte del volume è dedicata all’efficacia della psicoterapia e agli specifici ingredienti che ne sono responsabili. Un capitolo tratta le variabili del paziente, uno le variabili del terapeuta e infine David Orlinsky, Klaus Grawe e Barbara Parks presentano i risultati delle ricerche sulle variabili di processo e sul loro impatto sugli esiti dei trattamenti.
La terza parte dell’opera si rivolge agli orientamenti teorico clinici predominanti nella pratica della psicoterapia e alle problematiche di ricerca specifiche di ciascuno di essi, con una grande mole di dati sulle terapie comportamentali, cognitivo-comportamentali, psicodinamiche ed esperienziali. La quarta parte del volume affronta i problemi relativi al trattamento di particolari gruppi di pazienti (bambini e adolescenti, minoranze etniche) o di particolari setting di trattamento (terapie della coppia o della famiglia, gruppi). Nella quarta parte del volume viene trattato anche il delicato problema dell’integrazione tra psicoterapia e terapie somatiche.
Senza dubbio il libro merita pienamente il prestigio che si è conquistato (e certamente conserverà nel futuro) tra tutti coloro che si occupano a qualsiasi livello (come studenti, ricercatori, clinici) della ricerca in psicoterapia e siamo convinti che gli autori colgano nel segno quando spiegano il grande favore incontrato dal testo con la loro scelta di assumere una "posizione eclettica di apertura alle diverse prospettive" insistendo "su una loro valutazione empirica".
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