venerdì 8 febbraio 2008

LA MISURAZIONE DELLA FUNZIONE RIFLESSIVA:

II manuale di P. Fonagy, M. Steele, H. Steele e M. Target


Abstract

This paper begins to examine the topic of the measuring of the "near-

unmeasurable objects", which is one of the most important treated particu-

larly in outcome and process empirical research. According to this, in order

to study accurately the outcomes of specific treatments, we must breakdown

these "general outcomes" into single elements and one of these elements could

significantly be the Reflective Function. In the wake of this, we then present

the Reflective-Functioning Manual, version 5, stressing that its roots are in

different theories, on this theme partially overlapped.

Questo scritto prende inizialmente in esame l'argomento della misurazione

degli "oggetti pressoché non-misurabili", che è uno dei più importanti per

l'effettuazione di ricerche empiriche sull'esito e sul processo. Data questa

situazione, al fine di studiare accuratamente gli esiti di specifici trattamenti, è

opportuno scomporre ogni riscontro "in toto" di un esito in singoli elementi,

uno dei quali potrebbe significativamente essere la Funzione Riflessiva. Viene

quindi presentata la versione 5 del Manuale della Funzione Riflessiva, sottoli-

neando come le sue origini siano da rintracciare in differenti teorie, su questo

tema parzialmente sovrapponibili.

Premessa

Recensendo un lavoro di John Bowlby (1951), Cure materne e igiene men-

tale del bambino,
così scriveva Winnicott (1953, p. 447): “[…] è qui che biso-

gna cercare il contributo specifico di Bowlby. Secondo lui, ci si deve sforzare

di presentare gli argomenti psicologici in forma statistica, perché chi si è abi-

tuato alle pubblicazioni scientifiche possa apprezzare le affermazioni di quelli

di noi che hanno una mentalità clinica” e pertanto “... sarebbe lui il primo ad

ammettere che le statistiche non hanno alcun valore se non sono basate su

dati indiscutibili [corsivi nostri, questo e i successivi], e in effetti proprio que-

sti sono i dati più difficili da raccogliere nella nostra professione”. Winnicott

{ibidem, p. 448) prosegue osservando che per quasi tutti i disturbi psicologici

“non vi è abbastanza accordo su ogni singola definizione dei fenomeni osservati

perché il metodo statistico possa funzionare”.

In queste riflessioni di Winnicott sull'impostazione bowlbiana, nettamente

caratterizzata già all'inizio degli anni cinquanta, si può dire che si trovi rap-

presentato in maniera esemplare quel confronto, che continua vivacemente

anche ai giorni nostri, tra le ragioni della ricerca empirica (che è solita conce-

dere lo statuto di scientificità solo a quelle asserzioni che si sostengono su una

determinata quantità di riscontri statisticamente significativi) e le ragioni del-

la mentalità cllnica, che nelle cifre non confida in special modo, ne pertanto

vi si affida.

In particolare vediamo che Winnicott, con grande precisione, coglie i due

punti salienti, e talora dolenti..., per ogni impostazione di ricerca che non

voglia essere esclusivamente cllnica: il primo punto è quello della difficoltà di

raccogliere i dati indiscutibili necessari perché possano essere fatte osservazio-

ni su numeri sufficientemente grandi da permettere elaborazioni di significa-

tività, il secondo punto riguarda la riflessione che tale diffìcile raccolta di dati

è conseguente alla
mancata condivisione di una chiara e univoca definizione dei

concetti utilizzati.

Si può quindi ribadire che, per una raccolta di dati sufficienti, per qualità e

quantità, a permettere rimpianto di progetti di ricerca empiricamente orien-

tati, il passaggio obbligato è quello di stabilire prioritariamente definizioni

operative dei concetti utilizzati, definizioni cioè che prevedano la precisa spe-

cificazione di quali passaggi vadano seguiti e quali operazioni vadano com-

piute per arrivare a ritrovare e isolare, in modo riproducibile, i concetti stessi.

Solo seguendo tali prassi manualizzate possiamo dunque arrivare a
descrizioni

riproducibili
e misurazioni attendibili dei fenomeni che si vogliono osservare e

studiare, e dunque finalmente anche degli oggetti mentali, campo privilegiato

per i ricercatori dell'area psicoterapeutica. Peraltro "la consistenza pressoché non-misurabile"

di tali oggetti (Bateman,Holmes, 1995, p. 245) ha da tempo impegnato i ricercatori a sviluppare strumenti

di misurazione nelle forme più svariate: per ricordarne qualcuna, le

"rating-scales"'di compilazione da parte del terapeuta, i "self-reports" che è inve-

ce il paziente a dover compilare, le "carte" della cosiddetta procedura
"Q-sort",

i dizionari per l'analisi computerizzata dei testi e soprattutto le svariate
metodi-

che per misurazione guidate da manuali.
Mentre i "dizionari" partono dalla

definizione di specifiche categorie di ascolto (per esempio parole emozionali)

e si indirizzano allo studio di "singole parole", è invece il "testo intero" quello

preso in esame dalle metodiche di misurazione guidate da manuali, per stu-

diare all'interno della totalità del testo in questione le variazioni di una speci-

fica misura di base, precedentemente definita operazionalmente. Quest'ultima

forma di metodica misurativa, che parte dall'assunto che le narrazioni pro-

dotte da una persona siano affidabili mappe del suo mondo interno, ha avuto uno

 straordinario sviluppo sia quando viene applicata direttamente ai testi

delle sedute, per esempio negli studi di processo, sia quando viene usata sui

testi dei cosiddetti artefatti rappresentazionali, quali si considerano, per esem-

pio, i trascritti di interviste strutturate a fini di ricerca. Dai pionieristici lavori

di Gottschalk (1955, 1969) a quelli di Merton Gill (1982) sulle "esperienze

del paziente correlate al terapeuta" (PERI"), molti ricercatori si sono cimentati

con la misurazione di funzioni squisitamente mentali, di concetti clinici, di

processi interni, assumendo come dati di base i testi di trascrizioni (di sedute,

o di altre situazioni cllniche, comunque almeno audioregistrate) che pertanto

sono stati ritenuti in grado di essere efficacemente rappresentativi di quelle

funzioni, concetti o processi psichici. Come detto, fondo comune di tale

impostazione è il presupposto che esista, come scrive Seganti (1995, p.l4),

“un'esperienza di vitalità intrapsichica che ha un'influenza nella produzione

delle parole” e quindi conscguentemente che “lo studio delle parole possa

rendere riconoscibili le regole di produzione che a esse sono sottostanti”.

In questa forma di misurazione, uno dei principali interessi dei ricercatori

è stato quello di mettere a punto misurazioni correlabili al transfert-, nel nume-

ro 3&4 del 1994 di Psychotherapy Research vengono elencate addirittura sette

"tranference related measures", tra le quali il CCRT di Lester Luborsky e il

SASB-CMP, presentato da Schacht e Henry. Anche l'impresa di misurare le flut-

tuazioni dell'alleanza terapeutica direttamente dal dialogo della seduta psico-

terapica ha visto convergere gli sforzi di differenti gruppi di ricerca, tra cui

quello del gruppo della Menninger (Horwitz et al., 1996). Rivolto allo studio

del grado con cui una persona dimostra di possedere la capacità di
"mastery",

o
padroneggiamento relazionale, assunto come indice particolarmente utile

per studi di esito, è il rigoroso e brillante lavoro di Grenyer (1994), che per

tale fine utilizza le stesse unità osservazionali di base del CCRT, cioè gli "episo-

di relazionali". Vanno poi ricordati le ricerche di Mary Main, eccezionali per

originalità e qualità scientifica, orientate, tra l'altro, a ottenere una attendibile

classificazione degli stili di attaccamento degli adulti (Main, Goldwyn, in cor-

so di stampa) a partire dalle risposte fornite durante la Adult Attachment

Interview. Quest'elenco, necessariamente sommario, non può però tralasciare

di far almeno menzione degli studi di Wilma Bucci (1998), orientali a inda-

gare, all'interno di un determinato testo (clinico o no) preso in considerazio-

ne, come variano i livelli di attività referenziale, definita dalla Bucci come la

capacità, di colui che ha prodotto quel testo, di dar espressione nel sistema

verbale a elementi non verbali, mentali o somatici.

Le intuibili difficoltà di tali studi, al crocevia tra filosofi, informatici, psico-

logi sperimentali e psicoanalisti, sono evidenti e la quantità dei problemi aper-

ti è per esempio ben rappresenta dalla condivisa convinzione che “la forma

assunta dalla rappresentazione interna continua a essere sconosciuta” (Main,

1991, p. 134). Ciò nondimeno, dobbiamo ammettere il fascino di queste for-
me di misurazione

che mirano a raccogliere, con modalità standardizzate,

informazioni significative sul "mondo interno" a partire dalla concretezza

fenomenica delle parole del "mondo esterno". Tutto ciò si fa particolarmente

diffìcile, e dunque particolarmente interessante, ornando l'oggetto di siffatte

metodiche di misura è la funzione riflessiva, ossia quell'insieme di “processi

psicologici sottostanti la capacità di mentalizzare” (Fonagy et al., 1997, p. 6),

intesa anche come capacità di astrazione e di consapevolezza riflessiva, che è

al centro di molte formulazioni psicoanalitiche e della psicologia cognitiva e

dello sviluppo. Il manuale che verrà presentato tra breve deriva dall'evoluzio-

ne di una delle scale che partecipano a comporre la complessa valutazione

dell'Adult Attachment Interview e rappresenta attualmente il più sofisticato

sforzo in una direzione di studi sulla Funzione Riflessiva che da tempo vede

impegnati ricercatori di differenti orientamenti teorici, in Italia e all'estero: mi riferisco

agli studi del Psychoanalytic Research Consortium di Sherwood

Waldron (1997) a New York (che ha messo a punto, in modo finemente

manualizzato, un apparato valutativo del processo psicoterapico, analitico e

non, basato su diverse scale, alcune delle quale specificatamente orientale a

misurare la Funzione Riflessiva del paziente) e ci riferiamo anche al lavoro di

Blatt e Auerbach (1998), che, per lo studio delle rappresentazioni mentali se-

altro, hanno realizzato due complesse scale come Strumenti per analizzare

interviste di ricerca: una di queste scale contiene appunto al suo interno una

pane specificatamente dedicata allo studio della "capacità di riflettere su di

se", "self-reflexivity". Su questo tema, per quanto riguarda 1 Italia, bisogna

ricordare il progetto di Antonio Semerari e del III Centro di Psicoterapia

Cognitiva a Roma, che ha messo a punto una Scala di Valutazione della Mera-

cognizione (S.Va.M.) suddivisa per quei contenuti che gli autori (Carcione et

al., 1997) ritengono costitutivi della funzione stessa, cioè "Autoriflessività ,

"Comprensione della mente altrui/Decentramento" e " Mastery", da intendersi

come la capacità di rappresentarsi problemi psicologici in termini di problemi

da risolvere e di elaborare strategie adeguate alla loro risoluzione. Quest'ulti-

mo contenuto sembra legare maggiormente, rispetto ali impostazione di

Fonagy, le conoscenze metacognitive al conseguente sviluppo di strategie e

processi esecutivi, dunque con un'accentuazione oltre che sulle funzioni men-

tali anche sulle conseguenze "nel mondo esterno" di uno sviluppo di tali

funzioni dovrebbe avere sul padroneggiamento relazionale. Di farro gli autori

della Scala intendono specificatamente la Funzione Metacognitiva “come la

capacità dell'individuo di compiere operazioni cognitive euristiche sulle pro-

prie e altrui condotte psicologiche, nonché la capacità di utilizzare tali cono-

scenze a lini strategici per la soluzione di compiti e per padroneggiare specifi-

ci stati mentali fonte di sofferenza soggettiva”.

La convergenza di interessi su questa area rivela la diffusa opinione che essa

rivesta un'importanza strategica per gli studi di esito e di processo. Inoltre ciò
potrebbe far ben

 sperare circa l'eventualità, quanto mai opportuna, che uno

stesso strumento
per la misurazione della Funzione Riflessiva possa essere adot-

tato da ricercatori diversi per orientamento e appartenenza: ciò darebbe un

importante contributo alla aperta questione se sia ancora vero il famoso ver-

detto dell'uccello Dodo circa l'equivalenza degli esiti di differenti trattamenti

("tutti hanno partecipato, tutti hanno diritto a un premio") o se sia invece

ormai dimostrato che, per indicazioni ed esiti, esistono specifiche e significa-

tive differenze tra i trattamenti, indipendentemente dalle (o in aggiunta alle)

variabili correlate al paziente, al terapeuta e dai fattori comuni a ogni forma

di trattamento (vedi Chambless, 1996). L'urgenza di affrontare tale questione

con nuovi dati non ha certo lo scopo di stabilire generiche classifiche di effi-

cacia tra le diverse psicoterapie, ma quello di aumentare le nostre conoscenze

a riguardo delle effettive e specifiche capacità dei diversi tipi di psicoterapia: a

questo obiettivo si potrebbe giungere anche con la scomposizione in determi-

nati elementi (e, per esempio, un elemento porrebbe essere proprio la Funzio-

ne Riflessiva) di quelli che all'apparenza sono equivalenti risultati d'esito.

Questo peraltro non è che uno degli obiettivi che si possono perseguire utiliz-

zando tale tipo di misurazione: un altro può essere quello di valutare se il

livello di Funzione Riflessiva possa assumere valore predittivo rispetto all'esito

o se addirittura possa fornire qualche indicazione per formulare la proposta

psicoterapica più idonea. Tutti questi obiettivi fanno parte di un progetto di

ricerca avviato nei servizi psichiatrici territoriali afferenti alla I Clinica Psi-

chiatrica dell'Università di Milano (diretta dal prof. Giordano
Invernizzi),

all'interno della quale è stata curata la traduzione italiana dell'ultima versione,

la quinta, del manuale che verrà presentato.

Al di là dall'area più specificamente cllnica, vi sono poi ovviamente ulteriori svariate possibilità

di applicare tale metodica, in primis per esempio nell'a

rea dove essa è generata, cioè quella degli studi sull'attaccamento, la cui qua-

lità può risultare determinante per il tipo di sviluppo della capacità riflessiva

(FonagyetaL, 1995).

Il Manuale della Funzione Riflessiva (versione quinta)

Assieme a Howard Steele, Miriam Steele e Mary Target, Pefer Fonagy ha di

recente predisposto (luglio 1998) un ulteriore aggiornamento, la quinta ver-

sione, di un manuale per riconoscere e valutare i livelli di Funzione Riflessiva

(che era stato originariamente predisposto per essere applicato alle risposte

fornite durante una Adult Attachment Interview). Bisogna ricordare che l'in-

teresse ad approfondire questi aspetti della personalità umana era già presente

in Fonagy in diversi suoi scritti precedenti, del 1989 e del 1991, quando trattò

della teoria della mente nei soggetti borderline.

Con il termine di Funzione Riflessiva ci si riferisce a quei processi psicolo-

gici sottostanti la capacità di mentalizzare, ed è dunque da intendersi come la capacità

di vedere e capire se stessi e gli altri in termini di stati mentali, cioè

sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri. Riguarda quindi la capacità di

pensare, di compiere riflessioni sul proprio e altrui comportamento.

La scala di valutazione presentata nel manuale deriva in parte dalle consi-

derazioni presenti nel lavoro della Main (1991) su
II monitoraggio metacogni-

tivo
e i modelli singoli d'attaccamento contrapposti a quelli multipli.
Come pre-

cisano gli autori del manuale, la scala in esso contenuta “fornisce delle defini-

zioni operazionali in merito alle differenze individuali nelle capacità
metaco-

gnitive
degli adulti. Metacognizione, mentalizzazione e funzionamento rifles-

sivo sono considerati espressione della funzione riflessiva da cui in gran parte

dipende lo sviluppo del sé che pensa e che sente” (Fonagy et al., 1997, p. 5).

Oltre a ricondurre la matrice del loro pensiero all'ambito psicoanalitico

(ove si possono ritrovare molti concetti che sono stati introdotti “per indicare

i processi mentali che in parte coincidono con il costrutto della mentalizza-

zione, sostenuta dalla funzione riflessiva”), gli autori riconoscono il debito del

proprio pensiero nei confronti della psicologia cognitiva (Morton e
Frith,

1995) e della psicologia dello sviluppo, ove la capacità riflessiva, in termini di

teoria della mente (Premack e Woodruff, 1978), è definita come la concezio-

ne che l'individuo ha dei sentimenti, delle attitudini, delle speranze, delle

intenzioni, delle modalità di comprensione dell'altro (Baron-Cohen,
Tager-

Flusberge
e Cohen, 1993).

Secondo la descrizione presente nel manuale la funzione riflessiva compren-

de ^
una componente autoriflessiva, sia una componente interpersonale, le

quali idealmente forniscono all'individuo una capacità di distinguere sia la

realtà interna da quella esterna, sia i processi intrapsichici da quelli
interpsi-

chici;
per quanto riguarda invece la genesi di tale funzione, viene osservato che

“la mentalizzazione avviene attraverso l'esperienza che il bambino fa di quan-

to i propri stati mentali siano stati "capiti e pensati" grazie a interazioni cari-

che di affetto con il genitore”: dunque “... l'emergere e il completo sviluppo

della funzione riflessiva dipende dalla capacità del genitore di percepire più o

meno accuratamente l'intenzionalità del bambino” (Fonagy et al., 1997, p.

6). Date queste ultime osservazioni, risulta evidente che le capacità conse-

guenti allo sviluppo di tale funzione, nelle sue diverse componenti, hanno

origine, sviluppo ed espressione interpersonale: a questo proposito infatti l'o-

riginaria dizione di "Reflecrive-SeIfFunctioning" è stara murata, già dalla ver-

sione 4.1 del manuale (del giugno 1997), nell'attuale dizione di
"Reflective

Functioning",
proprio per evitare interpretazioni riduttive che equiparassero

erroneamente tale funzione alla autoriflessione, che è, come detto, solo una

componente di quel che si intende con il concetto di "Funzione Riflessiva".

Tale sottolineatura della natura "inerentemente interpersonale" (ibidem, p.

5) della Funzione Riflessiva rinvia fortemente al pensiero di Bowlby (secondo

il quale, come ricorda anche Lorna Benjamin (1996, p. 186), “gli eventi mentali sono

di natura primariamente interpersonale” e sono modellati dalle espe-

rienze precoci con le persone che hanno provveduto a instaurare gli
originari

legami di attaccamento), come pure alle numerose riflessioni di
Winnicott

circa l'importanza che ha, per lo sviluppo psicologico, la percezione di sé nella

mente dell'altro.

Ma oltre a tali matrici, gli autori segnalano che il loro retroterra, per quan-

to riguarda l'area psicoanalitica, risale fino a Freud e alla sua originaria teoriz-

zazione del concetto di "Bindung" o legame, a proposito del quale egli, distin-

guendo tra processi primari e secondari, sottolineava che "Bindung" era al

contempo un cambio di qualità da uno stato fisico (immediato) di legame a

uno stato psichico e che la capacità di funzionamento psichico o la rappresen-

tazione psichica di avvenimenti interni poteva fallire in svariati modi (vedi

Fonagy et al., 1997, p. 44). Anche l'acquisizione della "posizione depressiva",

secondo il modello kleiniano, come pure, secondo quello bioniano, lo svilup-

po della "funzione alfa" (come il necessario passaggio per rendere pensabili

eventi interni altrimenti sperimentati come concreti, gli "elementi beta") pos-

sono essere considerate analoghe all'acquisizione della funzione riflessiva.

Dopo aver anche riconosciuto il loro debito nei confronti del lavoro di nume-

rosi altri psicoanalisti, tra i quali in particolare Pierre Marty (1968) e Pierre

Luquet (1988), gli autori ribadiscono che, oltre a essere al centro di molte

formulazioni psicoanalitiche, “il concetto di una crescente capacità di astra-

zione e di una consapevolezza riflessiva degli stati mentali [...] è anche il ful-

cro della concettualizzazione e del lavoro empirico della psicologia cognitiva e

dello sviluppo”, ove, come detto, la capacità riflessiva è spesso riferita come

"teoria della mente": rispetto a tali ambiti, Fonagy e colleghi ritengono però

che la funzione riflessiva, pur essendo un'acquisizione legata allo sviluppo,

tuttavia non sia mai completamente raggiunta e stabilizzata. Conseguente-

mente a ciò, lo studio delle differenze individuali in quanto al livello di capa-

cità riflessiva raggiunto, può concorrere alla comprensione della complessa

natura dei disturbi psicologici.

L'assenza, o i diversi livelli, della capacità riflessiva sono stari originaria-

mente indagati a partire dalle risposte fornite durante la somministrazione

dell'Adult Attachment Interview, ma le procedure di valurazione sono ora

anche considerate applicabili ad altri tipi di interviste di ricerca che conduca-

no alla identificazione, o meno, della capacità di riflessione.

Gli autori del manuale hanno proposto di suddividere le domande

dell'A.A.l. (come pure quelle di altre interviste atte a sollecitare dimostrazioni

circa la funzione in questione) in due categorie: la prima è quella delle cosid-

dette permit questiom, che sono quelle domande che permettono all'intervi-

stato di dimostrare di possedere un certo grado di funzione riflessiva, e la

seconda è quella delle cosiddette "demand questions", che sono quelle

domande dell'intervista che esigono che l'intervistato mostri la qualità delle proprie

capacità riflessive. Per quanto riguarda quest'ultima categoria di

domande, quello che segue è un elenco esaustivo di quelle dell'A.A.l.:

— Secondo lei perché i suoi genitori si sono comportati così come si sono

comportati, quando lei era bambino?

— Pensa che le sue esperienze infantili abbiano avuto qualche influenza su

quello che lei è oggi?

— Vi sono stati ostacoli o momenti di regressione nella sua crescita?

Si è mai sentito respinto da bambino?

— A proposito di perdite o lutti, come si è sentito al momento, e come sono

cambiati i suoi sentimenti nel corso del tempo?

— Ci sono stari dei cambiamenti nei rapporti con i suoi genitori da quando

era bambino?

In altre interviste di ricerca (Fonagy et al., 1998, p. 36), oltre a questo set

di domande, l'intervistatore può usare anche altre formulazioni verbali, che

hanno il medesimo valore di una "demand question", per "esigere"
nell'inrer-

vistato
risposte in termini di funzione riflessiva, come per esempio: “e perché

pensa che loro hanno fatto questo?”.

Anche ricorrendo a esempi tratti da brani di interviste (che solo parzial-

mente saranno riportati in questo articolo), nel manuale vengono fornire tut-

te le indicazioni occorrenti per valutare se una risposta è indicativa di capacità

riflessiva e quale è il punteggio da attribuirle: infatti le risposte vengono valu-

tate rispetto all'essere caratterizzate da brani marcatamente anri-riflessivi (in

cui si riscontra ostilità ed evasività in risposta alla richiesta di riflessione: in

tali casi il punteggio da attribuire può essere addirittura negativo: -1, 0) o da

brani in cui la funzione riflessiva può risultare assente ma non disconosciuta

oppure dubbia o bassa (ai quali viene attribuito un punteggio basso: da 1 a 4)

o da brani che dimostrano una chiara o comune funzione riflessiva (che meri-

tano un punteggio medio di 5 o 6) o ancora da brani che rivelano un funzio-

namento riflessivo notevole o eccezionale ( che si situano ai livelli più alti del-

la scala dei punteggi, da 7 a 9).

Quando la riflessività è assente tendono a emergere schemi di risposta ben

distinti, che possono essere ulteriormente organizzati in sotto-categorie, quali:

risposte di rifiuto, non integrate, bizzarre o inadeguare, risposte di diniego,

distorte o al servizio del Sé, risposte ingenue o semplicistiche, riposte
iperana-

litiche
o iperattive. Per esempio, quando siamo in presenza di una risposta di

rifiuto si ha l'impressione che l'intervistato abbia percepito le domande come

un attacco o una violenza, come nell'esempio riportato nel manuale: Intervi-

statore: “Perché pensa che i suoi genitori si sono comportati così come si sono

comportati?”. Intervistato: “Come crede che possa saperlo? Me lo dica lei che

è psicologo!”.

Una categoria rara ma interessante è rappresentata da risposte che rifletto-

no assenza di integrazione e di elaborazione: gli stati mentali possono essere dichiarati

esplicitamente, ma le implicazioni in termini di idee, sentimenti e

motivazioni non vengono spiegate. A volte invece prevale una difficoltà di

comprensione delle parole dell'intervistato a causa di attribuizioni bizzarre o

inadeguate di stati mentali. In uno degli esempi riportati nel Manuale, a un

intervistatore che pone la domanda di prima, sul perché, a giudizio dell'inter-

vistata, i suoi genitori si sono comportati così come si sono comportati, la

risposta fu: “Hanno risentito in modo eccessivo dell'influenza dei massmedia,

particolarmente della televisione”. Intervistatore: “Mi può dire qualcosa di

più su questo punto?”. Intervistata: “II canale commerciale è cominciato giu-

sto quando avevo quattro anni e mezzo!”.

Quando è presente il diniego della funzione riflessiva, allora l'assenza di

menralizzazione è simile a quella di chi la rifiuta, ma il ripudio di una posizio-

ne riflessiva è accompagnato da poca o nessuna ostilità manifesta: Intervista-

tore: “Si è mai sentito respinto da bambino?”. Intervistato: “Non so, non

saprei proprio dirlo”. Questo esempio indica che tale scotomizzazione non

porta il paziente a sentire il compito come un attacco: anche qui risalta la

carenza di informazioni sugli stati mentali, ma la strategia è tendenzialmente

passiva ed evasiva. Altre risposte di questo tipo possono includere generalizza-

zioni, che evitano di affrontare la specificità di una storia personale, o spiega-

zioni puramente concrete di un comportamento, attribuito magari a circo-

stanze esterne.

La distorsione al servizio del sé si ha quando il ricordo dello stato mentale

può essere altamente egocentrico e l'Io del soggetto assume un ruolo domi-

nante e sproporzionato rispetto alla capacità di indurre negli altri di un deter-

minato comportamento: Intervistata: “Mi ricordo di una volta che i miei sono

usciti per passare fuori la serata e come al solito ero molto sconvolta per il fat-

to che mi lasciassero sola e sono andata avanti a piangere e piangere. Loro

sono ritornati indietro in fretta... qualcosa come venti minuti... mia madre

ha detto che la macchina aveva avuto un guasto lungo il viottolo e che l'ave-

vano dovuta lasciare lì, come effettivamente hanno fatto, ma credo che sem-

plicemente non volessero lasciarmi da sola e che abbiano messo su tutta que-

sta farsa... di far riparare l'auto e tutto il resto...”. Intervistatore: “Cosa le fa

pensare che sia stato per lei e non per l'auto?”. Intervistata: “Lo so e basta. E

mi ricordo di averlo pensato allora”. A volte anche le supposizioni che riguar-

dano gli stati mentali degli altri sono tese a ingrandire il sé al fine di potenzia-

re l'autostima, con talora anche una tendenza a minimizzare i possibili effetti

negativi degli altri nei propri confronti: Intervistata: “Ero la cocca del papa e

mia mamma non è mai stata assolutamente gelosa di questo”.

Una categoria estremamente comune di bassa capacità riflessiva è data dalle

risposte ingenue o semplicistiche, caratterizzare dalla rappresentazione unidi-

mensionale dello stato mentale altrui, che perciò non comprende mai emo-

zioni miste, conflitti o incertezze. Si tratta di risposte connotate da superfìcialità e

talvolta da scissioni, e in questo caso le figure di attaccamento vengono

descritte o come totalmente buone o come totalmente cattive, come nel

seguente esempio: Intervistato: “Mio padre non si faceva mai vedere, non se

ne curava e non era mai a disposizione, mentre mia madre si prendeva sempre

cura ed era tutta per noi”. Può esser presente la tendenza alla banalizzazione e

all'utilizzo di affermazioni stereotipate e preconfezionate: Intervistato: “Tutti i

genitori vogliono il meglio per i loro figli”.

Se le risposte presentano invece solo in apparenza i caratteri distintivi della

mentalizzazione, ma in realtà le riflessioni che contengono sono irrilevanti,

allora siamo in presenza di risposte cosiddette iperanaliriche. In questo caso la

capacità metarappresentariva non ha un vero e proprio impatto con la realtà

in quanto il soggetto fa un eccessivo ricorso alla intellettualizzazione e le sue

risposte possono apparire molto parricolareggiate, ma sono poco convincenti

e dispersive: Intervistatore: “Direbbe che la sua infanzia abbia avuto molta

influenza su chi lei è oggi?”. Intervistato: “Ecco, è difficile rispondere a questo

perché, sa, allevato nel contesto socioculturale in cui si è, mm, sa, lo si
assorbe

quasi appena si impara a leggere, che il bambino è il padre dell'uomo, e tutto

quanto... Chi era? Wbrdsworth, non è vero?”. Intervistatore: “Può aggiungere

qualcosa in particolare di più specifico?”. Intervistato: “Intendo dire, di nuovo

immagino logicamente, voglio dire... Non si deve dare tutta la colpa alle cul-

ture post-psicoanaliriche e cosi via... sembra che ci sia una cena logica inevi-

tabile nel fatto che si debba passare attraverso una fase formativa necessaria,

non, fasi, presumibilmente è inevitabile che influenzino gli sviluppi successi-

vi”. Intervistatore: “C'è stato qualcosa che considera un freno o un regresso

nel suo sviluppo?”. Intervistato: (con un sospiro) “Bene, è interessante che lei

mi chieda questo... voglio dire, fin da quando il concetto di maturità, vede, si

è formato nella mia coscienza, sono sempre stato consapevole di trovarmi a

una certa distanza da esso. E talmente facile razionalizzare' si viene fuori con

frasi, mm, trite, mm, mezzo cotte, mm, interpretazioni psicologiche”.

Quest'ultimo brano, con le sue caratteristiche di pseudo-mentalizzazione,

può essere utilizzato come uno degli esempi per la categoria di capacità rifles
-

siva dubbia, alla quale si attribuisce il punteggio di 3 (sulla scala compresa tra

-1 e 9). Tale categoria è considerata di confine in quanto, anche se viene uti-

lizzato il linguaggio degli stati mentali, emerge un'assenza di materiale che

giustifichi il presupposto che il soggetto capisca le implicazioni delle proprie

affermazioni, che il più delle volte risultano di fatto essere o semplicistiche e

banali o iperanaliriche o stereotipate.

I brani che ricadono sotto la categoria di funzione riflessiva chiara o comu-

ne, alla quale si attribuisce il punteggio di 5, sono caratterizzati da riferimenti

chiari ed espliciti alla natura degli stati mentali e a come essi si rapportano al

comportamento.

Le interviste classificate come caratterizzate da capacità riflessiva notevole,

 il cui punteggio è 7, sono in genere più complete e contengono affermazioni

non solo chiare ed esplicite di comprensione degli stati mentali, ma possiedo-

no anche originalità ed elaborazioni personali, come pure consapevolezza di

nessi causali.

Infine, nella categoria di capacità riflessiva eccezionale, di punteggio 9,

rientrano quelle interviste in cui le caratteristiche appena descritte appaiono

eccezionalmente rappresentate, sia in senso qualitativo che quantitativo: l'in-

tervistato offre un quadro talmente completo e originale che testimoniano un

elevatissimo livello di insight.

Per quanto riguarda infine l'aggregazione delle diverse valutazioni effettua-

te sui brani individuati (specialmente le risposte alle "demand questions"/), gli

autori precisano che non esiste una formula semplice per arrivare alla valuta-

zione globale finale: sebbene vengano indicate delle linee guida per far rien-

trare il colloquio in una categoria piuttosto che in un'altra, "nessuna dovrà

essere usata ciecamente", o dovrà prevalere sull'impressione che il valutatore

ha del colloquio nel suo insieme in base alle sue precedenti esperienze di altre

narrazioni valutate in precedenza.

Alla fine della quinta versione del manuale (l'acquisizione conoscitiva del

quale non può prescindere, ai fini del suo uso, dal seguire una formazione

diretta dagli autori, o da persone da loro formate) viene dunque presentata la

seguente classificazione globale:

FUNZIONE RIFLESSIVA NEGATIVA                      Punteggio -1

Tipologie:           -1A (rifiuto della F.R.)

-1B (F.R. non integrata, bizzarra o impropria)

ASSENZA DI FUNZIONE RIFEESS1VA                   Punteggio 1

Tipologie:           1A (diniego della F.R.)

1 B (distorsione al servizio del sé)

FUNZIONE RIFLESSIVA DUBBIA O BASSA          Punteggio 3

Tipologie             3A (F.R. ingenua o semplicistica)

3B (F.R. iperanalitica o "iperattiva")

3C (F.R. bassa mista)

FUNZIONE RIFLESSIVA CHIARA O COMUNE      Punteggio 5

Tipologie            5A (comprensione ordinaria e costante)

5B (comprensione ordinaria ma incostante)

FUNZIONE RIFLESSIVA NOTEVOLE                       Punteggio7

FUNZIONE RIFLESSIVA ECCEZIONALE                 Punteggio 9

Conclusioni

Secondo la teoria della definizione dei concetti scientifici avanzata da Percy

Bridgman
(1959), un termine concettuale deve essere considerato sinonimo

di una serie di operazioni empiricamente eseguibili e pertanto può essere

legittimamente acquisito come scientifico solo se tali operazioni vengono

rese esplicite: questo permetterebbe di discriminare, con accettabile approssi-

mazione, i concetti genuinamente scientifici da quelli assimilabili a idee

metafìsiche o ad asserzioni di natura puramente verbale. Tale impostazione

"operazionalista" (che, tra gli altri, influenzò profondamente il pensiero di

Harry Sullivan, nella sua critica al linguaggio e alla metodologia psicoanaliti-

ca) sembra potersi pienamente ritrovare nel progetto scientifico sotteso alla

struttura del manuale, a proposito del quale, come osserva Jeremy
Holmes

(1998), la rilevanza sta proprio nell'uso del termine "funzione", in quanto

questo modo di intendere le finalità di un trattamento aiuterebbe a
ridefìni-

re
gli obiettivi delle terapie psicoanalitiche, orientate così allo sviluppo di

specifiche capacità e non più al raggiungimento di generici "insights" o d
i

cambiamenti strutturali, concetti appesantiti di indimostrati riferimenti

metapsicologici. Questo alleggerimento delle premesse teoriche aumenta di

conseguenza l'area comune a studi originati da differenti orientamenti, e

comporta pertanto una evidente ricaduta positiva per tutta l'area della ricer-

ca applicata alla cllnica, al fine di comprendere, con sempre maggiore finez-

za, "chi fa cosa e come".

In conclusione, ci sembra anche importante segnalare che la crescente

maturità di tale impostazione è testimoniata dal fatto che queste procedure

manualizzate arrivano a determinare misurazioni la cui validità è sostenuta

ora da un sempre maggior numero di convincenti riscontri, provenienti da

studi compiuti in svariati ambiti (Fonagy et al., 1998).

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