domenica 28 marzo 2010

Freud sul sentimento oceanico

 


Freud sul sentimento oceanico



Non ci si può sottrarreall'impressione che gli uomini di solito misurino con falsi metri, cheaspirino al potere, al successo, alla ricchezza e ammirino queste cosenegli altri, ma sottovalutino i veri valori della vita. Pure, nelformulare un qualsiasi giudizio generale di questo tipo, si corre ilrischio di dimenticare la varietà del mondo umano e della vita dellapsiche. Vi sono taluni uomini a cui i contemporanei non neganol'ammirazione benché la loro grandezza poggi su doti e realizzazioniche sono completamente estranee agli scopi e agli ideali della massa.Potremmo facilmente essere indotti a credere che solo una minoranza,alla fin fine, apprezza questi grandi uomini, mentre la granmaggioranza non se ne cura affatto. Ma la cosa potrebbe non risultarecosì semplice, grazie alle discrepanze tra i pensieri e le azioni degliuomini e alla diversità dei desideri che li muovono. Uno di questiuomini eccezionali, per lettera, si definisce mio amico. Gli avevomandato il mio piccolo scritto che tratta della religione alla streguadi un'illusione, ed egli mi rispose di concordare in pieno con il miogiudizio sulla religione, ma di dolersi che non avessi giustamenteapprezzato la fonte autentica della religiosità. Essa consisterebbe inun particolare sentimento che, quanto a lui, non lo abbandonerebbe mai,che troverebbe attestato da molti altri e che supporrebbe presente inmilioni di uomini, ossia in un sentimento che vorrebbe chiamare sensodella 'eternità', un senso come di qualcosa di illimitato, disconfinato, per così dire di 'oceanico'. Tale sentimento sarebbe unfatto puramente soggettivo, non un articolo di fede; non comporterebbealcuna garanzia d'immortalità personale, ma sarebbe la fonte diquell'energia religiosa che viene captata, immessa in particolaricanali, e indubbiamente anche esaurita, dalle varie chiese e sistemireligiosi. Soltanto sulla base di questo sentimento oceanico potremmochiamarci religiosi, anche rifiutando ogni fede e ogni illusione. Leopinioni espresse dal mio stimato amico, che personalmente ha esaltatouna volta in una poesia la magia delle illusioni, mi hanno causato nonlievi difficoltà. Per quel che mi riguarda, non riesco a scoprire in mequesto sentimento 'oceanico'. Non è facile trattare scientificamente isentimenti. Si può tentare di descriverne gli indizi fisiologici. Doveciò non è possibile - e temo che anche il sentimento oceanico eluda unacaratterizzazione siffatta - non resta da far altro che attenersi alcontenuto rappresentativo che più immediatamente risulta associato alsentimento. Se ho ben compreso il mio amico, egli allude a ciò che undrammaturgo originale e piuttosto bizzarro offre al suo eroe comeconsolazione nella prospettiva della morte volontaria: 'Fuori di questomondo non possiamo cadere.' Si tratta dunque di un sentimento diindissolubile legame, di immedesimazione con la totalità del mondoesterno. Potrei dire che per me ciò ha piuttosto il carattere diun'intuizione intellettuale, non certo priva di una sua risonanzaemotiva, ma tale comunque da non dover risultare assente neanche daaltri atti di pensiero di analoga portata. Per quanto riguarda la miapersona non potrei convincermi della natura primaria di un talesentimento. Non per questo mi è però lecito negarne la presenzaeffettiva in altre persone. Occorre soltanto chiedersi se vengacorrettamente interpretato e se debba essere riconosciuto come fons etorigo di tutti i bisogni religiosi. Non ho nulla da proporre che possacontribuire in modo decisivo alla soluzione di questo problema. L'ideache l'uomo debba avere conoscenza della propria connessione con ilmondo circostante attraverso un sentimento immediato e fin dall'inizioorientato in tale direzione, appare così strana e si accorda così malecon la struttura della nostra psicologia da legittimare il tentativo diuna spiegazione psicoanalitica, ossia genetica, di tale sentimento.Possiamo quindi disporre della seguente linea di pensiero: Normalmentenulla è per noi più sicuro del senso di noi stessi, del nostro proprioIo. Questo Io ci appare autonomo, unitario, ben contrapposto a ognialtra cosa. Che tale apparenza sia fallace, che invece l'Io abbia versol'interno, senza alcuna delimitazione netta, la propria continuazionein una entità psichica inconscia, che noi designiamo come Es, e per laquale esso funge per così dire da facciata, lo abbiamo per la primavolta appreso dalla ricerca psicoanalitica, da cui ci attendiamo moltealtre informazioni circa il rapporto tra Io ed Es. Ma verso l'esternoalmeno l'Io sembra mantenere linee di demarcazione chiare e nette. Soloin uno stato, in uno stato insolito, è vero, ma non tale da potervenire condannato come patologico, le cose vanno diversamente. Alculmine dell'innamoramento, il confine tra Io e oggetto minaccia didissolversi. Contro ogni attestato dei sensi, l'innamorato afferma cheIo e Tu sono una cosa sola, ed è pronto a comportarsi come se le cosestessero così.


sabato 27 marzo 2010

L'attacco di panico


































 















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Dott. Marco Ventola >Sciogliere le simbiosi: dal panico all'autonomia



 


Uno degli elementi che caratterizza maggiormente il disturbo di ansia e di panico è la forte dipendenza che la persona sente rispetto alle relazioni affettive: Il legame diventa allora sinonimo di controllo, ricevuto ed offerto da entrambe le parti, nel vissuto di un restringimento dell’autonomia personale. E’ interessante notare quanto il richiamo alla legittimazione sia, per la maggior parte delle volte, un richiamo alla doverosità e a valori che appaiono indiscutibili sotto un’ottica morale.


Questo modus operandi risulta comprensibile solo se lo si legge in chiave psicologica. Il richiamo alla doverosità consente di giustificare e garantire, sotto la maschera del ruolo affettivo, le più svariate forme di violenza psicologica. Il ruolo assunto nelle relazioni affettive sembra poter giustificare, così, atteggiamenti ben lontani dalla legittimità.



Uno degli esempi più evidenti è il caso della madre intrusiva, invadente, che cerca di informarsi e di partecipare di tutto ciò che riguarda la vita del figlio; la madre giustifica questo atteggiamento con il ruolo da lei rivestito: nel nome della protezione e dell’amore incondizionato verso il figlio una madre avrebbe non solo il diritto ma, anzi, il dovere di sapere tutto di lui.



Un caso analogo è quello del marito possessivo e geloso che giustifica il controllo verso la moglie con la legittima tutela della relazione affettiva.



A qualcuno potrà sembrare eccessivo, citando questi comportamenti, parlare di forme di violenza; tuttavia è importante chiarire che le violenze cui mi riferisco fanno parte di tutte quelle situazioni che limitano l’autonomia personale, creando legami di dipendenza simbiotica.



Per dirla con le parole di una cliente, "non si tratta di legami, ma di legacci": ovvero di lacci che stringono e costringono nella obbligatorietà del rapporto.



Ed allora l’affermazione amorosa che l’altro "è suo", di sua proprietà diventa un fatto concreto che non ammette disconferme: i fatti di cronaca spesso vengono riempiti di accadimenti delittuosi, dettati dalla passione. L’amore inteso in questo senso è l’esercizio del potere verso l’altro, mascherato da sentimenti nobili.



Questo modo di costruire relazioni basandole sull’autorità esercitata sull’altro ha molto spesso radici profonde e si strutturano molto spesso su premesse svalutanti, premesse di insicurezza personale.



Chi esercita il controllo e l’autorità sta dicendo qualcosa di molto significativo riguardo a se stesso, sta affermando la propria paura ad impegnarsi nelle proprie sfide personali e si appoggia in una sorta di rapporto simbiotico per non confrontarsi con l’ immagine negativa di se stessi.



Di contro chi subisce l’autorità spesse volte pensa inconsciamente di non poter far nulla per cambiare la situazione.



Chi "subisce" il controllo, solitamente adduce come motivazioni la ricerca di protezione, la paura di correre rischi o la percezione di una incapacità personale.



È capitato almeno una volta nella vita di ognuno di noi di trovarsi in un particolare momento, in cui sente di non avere risorse per affrontare i problemi che si presentano quotidianamente.



Talvolta però questa mancanza di strumenti adatti a fronteggiare problemi sia grandi che piccoli viene avvertita come condizione di inadeguatezza personale; di fronte all’incapacità di trovare una soluzione, non ci si sente sufficientemente "preparati", e ci si blocca davanti a degli ostacoli che vengono percepiti come irrisolvibili.



Si è spinti allora ad una sorta di via protetta che ci eviti la paura e l’insicurezza del vivere, rifugiandosi nella protezione dell’altro, con la speranza di poter risolvere le proprie paure attraverso il supporto di chi ci ama.















 




 

narcisismoi


Tesi di Baccalaureato di Paolo Spagnol

Sentimento oceanico e Trascendenza nella relazione tra mistica e psicoanalisi
 


1 - L'Ateo Ebreo, l'Apostolo dell'Amore e il sentimento oceanico





Nel suo esteso corpus di opere, Freud non ha mai dedicato tanto spazio a un argomento - se si eccettua la sessualità - quanto a quello religioso.
Questo tema l'ha accompagnato lungo tutto il corso delle sue ricerche, cercando sempre il modo per ricondurre la religione ai conflitti della prima infanzia, relativi all'incesto e al parricidio, all'amore e all'odio, alla gelosia, ai desideri omosessuali ed eterossessuali, alle paure di castrazione, all'invidia del pene, al rimorso e all'autopunizione.1
La sua analisi critica ha condotto a una lunga e fruttuosa discussione anche da parte dei successivi psicoanalisti, e a un confronto tra psicoanalisi e studi religiosi attinenti la natura e la funzione della religione.
La posizione di Freud, nei confronti della religione, riflette la sua situazione personale: "Non può esserci dubbio che il punto di vista di Freud sulla religione [...] rifletteva, ad ogni passo, forze psicologiche e conflitti irrisolti nell'ambito della sua economia psichica".2
Malgrado fosse consapevole di questo, Freud accetta di buon grado la corrispondenza con Romain Rolland.
Sarà proprio Rolland a tentare ripetutamente di portare Freud a riconoscere la differenza tra l'istanza mistica, espressione del bisogno umano più profondo, e la religione, pratica sociale in cui l'autentico anelito spirituale è perduto e soffocato dall'appropriazione chiesastica.


Chi era Rolland, e come si è conquistato l'amicizia di Freud?
Romain Rolland (1866-1944) era uno scrittore francese, oltre che musicologo, drammaturgo e saggista, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1915.
Egli era, inoltre, un profondo conoscitore della cultura indiana (scrisse la biografia del Mahatma Gandhi, di Ramakrishna e di Vivekananda, e corrispose con Tagore).
Dopo gli studi in filosofia e storia, trascorse due anni alla Scuola di archeologia a Roma; tornato a Parigi, dal 1904 al 1912 insegnò storia dell'arte all'École Normale Supérieure e storia della musica alla Sorbona.
Convinto pacifista, allo scoppio della prima guerra mondiale andò in esilio volontario in Svizzera e scrisse il saggio "Al di sopra della mischia" che, nonostante le molte controversie suscitate, gli valse il premio Nobel.
Nell'ultima opera, "Viaggio interiore", scritto in forma di diario, traspare il suo grande interesse per i temi della libertà intellettuale e della pace universale.
Rolland, in un documento dal titolo "My confession" scrive: "Io non sono Cristiano... Non credo in una religione rivelata. Sono un uomo dell'Occidente che, con tutto l'amore e la sincerità, cerca la verità."3
In queste poche parole si manifesta con chiarezza l'onestà intellettuale con la quale egli si definisce un "viandante" in cerca della verità, la quale corrisponde alla ricerca del vero "istinto" religioso.
Rolland era, quindi, un intellettuale di fama mondiale.
Freud gli fece recapitare, tramite Edouard Monod-Hertzen, una lettera in cui esprimeva la sua ammirazione per lui; questo particolare lo si desume dalla risposta di Rolland, nella lettera del 22 Febbraio 1923, dove si legge: "Edouard Monod-Hertzen mi ha fatto pervenire la Sua lettera, e questo mi ha profondamente toccato".4
Da questo momento inizia una fitta corrispondenza tra i due, che dura fino alla morte di Freud, avvenuta nel 1939; i temi che discussi nello scambio epistolare trattano argomenti quali l'arte, la psicoanalisi, il misticismo, la politica ed infine anche la guerra in corso.
é possibile dividere la corrispondenza avvenuta tra i due studiosi in tre momenti: il primo periodo va dal 1923, anno che segna l'avvio della loro relazione epistolare, all'inizio del dibattito intorno al misticismo, a seguito dell'argomento trattato nel libro di Freud "Il futuro di una illusione", che questi fece pervenire a Rolland.
Il secondo periodo va dalla lettera di Rolland del 5 Dicembre 1927, fino alla pubblicazione dell'analisi Freud svolse a proposito del "Sentimento Oceanico" su "Il disagio della civiltà".
Il terzo e ultimo periodo inizia con la biografia su Ramakrishna e Vivekanada, che Rolland regala a Freud, e finisce nel 1936, quando il padre della psicoanalisi analizza la propria "esperienza mistica" avvenuta nell'Acropoli di Atene.5
In tutta la corrispondenza che i due studiosi si scambiano traspare rispetto, ammirazione e affetto reciproci.
Nella prima lettera all'amico, in data 22 febbraio 1923, Rolland scrive di essere rimasto affascinato dalle "visioni subliminali" citate da Freud nel libro "Interpretazione dei sogni" acquistato in precedenza, e per tale ragione per lui conia l'epiteto di "Christopher Columbus of a new continent of the spirit" (testo originale in inglese dell'autore).6
Rolland era onorato di poter corrispondere con il grande studioso della psiche e Freud, di rimando, in una lettera dello stesso anno, afferma: "Devo confessarle che raramente ho provato una tale misteriosa attrazione nei confronti di un altro essere umano".7
Uno scambio epistolare questo, la cui fecondità nasce proprio dalla combinazione di svariate convergenze, quali una comune passione per la verità e una vasta conoscenza dello scibile umano, come pure l'ammirazione per la letteratura romantica e, in particolare, per l'opera di Goethe; oltre a questo, vi è una presenza spinoziana sullo sfondo del loro dialogo.
Inoltre, anche l'interesse per le pratiche di meditazione yoga e la ricerca delle basi fisiologiche del misticismo contribuiscono a unire spiritualmente queste due personalità.
Tuttavia, non mancano alcune divergenze, dovute alle rispettive biografie e ai diversi percorsi di formazione.
Musicista e sedicente cristiano, Rolland rimane perplesso e ambivalente riguardo alle diverse idee della psicoanalisi, accentuando l'oceanico e il mistico, e criticando Freud per l'aver trascurato il sentimento religioso.
Nonostante le diversità, Rolland considera Freud un formidabile psicologo e lo scopritore della scienza dell'introspezione, la quale poteva rivelarsi altamente utile nell'investigazione dei benefici della personalità mistica; per Freud, Rolland rappresenta un riferimento nell'esplorazione delle implicazioni della teoria della psicanalisi sul misticismo; non vi è dubbio, quindi, che Rolland sia proprio il "silent interlocutor" (testo originale in inglese dell'autore)8, ossia la personalità che si cela dietro le meditazioni sulla religione e il misticismo ne "Il disagio della civiltà" di Freud.
Infatti, è proprio in quest'opera che Freud esordisce riferendosi a un suo amico, un grande uomo, uno dei pochi in grado di comprendere il vero valore della vita e, nello stesso tempo, andare oltre gli ideali della moltitudine.
Inoltre, nella lettera datata 29 gennaio 1926 Freud afferma quanto segue:
"Già molti anni prima che ci conoscessimo, La stimavo come artista e apostolo dell'amore nei confronti del genere umano.
Anche io promuovevo l'amore per gli uomini, non per motivi sentimentali o per un'esigenza ideale, bensì per ragioni disincantate, economiche, perché ho dovuto dargli una definizione, data la natura dei nostri impulsi e dell'ambiente, ritenendolo indispensabile alla conservazione della specie umana, come la tecnica.
Quando poi, finalmente, La conobbi di persona, fui sorpreso nello scoprire quale alta considerazione Lei attribuisse al vigore e all'energia, che Lei stesso incarna con tanta forza di volontà".9
Con queste parole, Freud definisce l'amico artista e "apostolo dell'amore", con ammirazione reverenziale.
é nella lettera del 5 dicembre 1927 che Rolland chiarisce la propria posizione rispetto a Freud, dopo la lettura de "L'avvenire di un'illusione", che Freud gli aveva inviato.
Si dichiara d'accordo per l'analisi della religione, ma avrebbe voluto che Freud analizzasse il sentimento religioso spontaneo o, più esattamente, il sentire religioso; questo è totalmente differente dalle religioni nel senso stretto del termine, e molto più durevole; inoltre, è indipendente da ogni dogma, da ogni credo, da ogni organizzazione chiesastica, da ogni libro sacro.
Esso è il sentimento dell'eterno che può essere definito, senza limiti percepibili, come oceano. Il mare è la cifra di un altrove che permette all'uomo di alimentare la tensione e il desiderio. Il desiderio, infatti, si nutre d'infinito, facendo risuonare in sé l'eco di un "mare" primordiale che mai cessa di farsi presente al cuore dell'uomo.
Secondo Rolland tale sensazione, certamente soggettiva, è condivisa da milioni di persone con milioni di sfumature individuali, ed è possibile sottoporla ad analisi con esattezza approssimativa e ne esalta il potere benefico e arricchente, riscontrabile tra le anime religiose in Occidente, cristiane e non cristiane, come pure in Oriente.
Egli stesso ha molta familiarità con questa sensazione, ed ha trovato sempre in essa una sorgente di rinnovamento vitale. In tal senso può dirsi "religioso" e può vivere contemporaneamente la vita della ragione critica (che è priva d'illusioni).
Aggiunge che questo sentimento "oceanico" non ha niente a che fare con i suoi desideri. Esso, infatti, s'impone alla sua coscienza come un fatto. é una sorta di "contatto".
Inoltre, dopo aver realizzato che esso è presente in un gran numero di persone, comprende che in esso sta la sorgente sotterranea dell'energia religiosa che le varie chiese hanno raccolto e prosciugato, per affermare che, paradossalmente, è all'interno delle chiese stesse che il vero sentimento religioso è meno disponibile.
In questa lettera, quindi, Rolland, pur dimostrandosi d'accordo con l'analisi freudiana sulla religione del "common-man's", intende affermare quale sia la vera sorgente del sentimento religioso.10
Freud ritiene adolescenziale, illusoria e per nulla aderente alla realtà la visione propria della religione istituzionale; pertanto, Rolland si propone di dimostrare quale sia il nucleo autentico del sentimento religioso, quel "sentimento oceanico" che si sostanzia in un'esperienza mistica di unità con il mondo.
Per tale motivo, Rolland così scrive nella lettera indirizzata a Freud: "Condivido la Sua analisi relativa alla religione. Ma mi piacerebbe condurla a svolgere una analisi sul sentimento religioso spontaneo o, con maggiore esattezza, sul sentimento oceanico, che si differenzia totalmente dalle religioni [...] e che ha una durata maggiore nel tempo".11
Nella stessa lettera Rolland spiega che per sentimento religioso intende un qualcosa che si presenti come "totalmente indipendente da ogni dogma, da ogni credo, da ogni organizzazione chiesastica, da ogni libro sacro [...] il semplice e diretto fatto del sentimento dell'eterno [...] senza limiti percepibili, come l'oceano".12
Egli aggiunge che questo sentimento oceanico "is common to thousands of men actually existing, with its thousand of individual nuances" (testo originale in inglese dell'autore).13
Oltre ad essere comune a una grande moltitudine di persone, egli "recognised it to be identical, with multiple nuances, in a large number of living soul" (testo originale in inglese dell'autore).14
Per Rolland, questo peculiare sentimento di eternità, inteso come qualcosa di sconfinato, illimitato e, appunto per questo, oceanico, è qualcosa a lui famigliare, qualcosa che, in primis, egli ha conosciuto e "sperimentato".
Questo sentimento ha aiutato Rolland a capire "che era la vera sorgente sotterranea dell'energia religiosa che, in seguito, è stata raccolta, canalizzata e prosciugata dalle Chiese".15
Per supportare questa visione del sentimento oceanico come una "true source of religion", Rolland si attiene alla propria esperienza, a quella dei suoi amici ma, più di ogni altra cosa, al materiale raccolto per la futura stesura di quelle che diverranno le biografie dei due santoni indiani Ramakrishna e Vivekanada.
Pur rimanendo sostanzialmente d'accordo con l'analisi freudiana, relativa alla religione del "common-man's", cioè il postulare l'esistenza di un personale inconscio, Rolland, tuttavia, ha in mente, quindi, una "subterranean source"; essa si trova posizionata ad un livello più profondo dell'inconscio, quale luogo della religione naturale ed è in grado di dare una rappresentazione psicologicamente significativa.
Egli attribuisce un'"origine sotterranea" a tale sentimento, più remoto dell'inconscio; inoltre, lo ritiene una condizione permanente di quiete, calma e silenzio interiore, che rimangono imperturbati anche quando si è coinvolti in pensieri ed attività rivolte al mondo esterno.
Nello stesso tempo, esso è qualcosa di dinamico, vitale, creativo, socialmente adattivo e, cosa più importante, totalmente indipendente dalle molte teologie delle religioni istituzionalizzate, pur non contrapponendosi desiderio d'immortalità.16
Questo nucleo è vivo quando è viva l'esperienza dell'unità di tutte le cose, cioè nei mistici, mentre si svuota e devitalizza nelle religioni istituzionali che, non a caso, vedono sempre con grande sospetto i mistici, anche quelli che si dichiarano fedeli all'insegnamento della chiesa alla quale appartengono.
Rolland condivide con Freud il giudizio negativo sulla religione organizzata, la quale si struttura come un sistema di dottrine che si propongono di spiegare al credente gli enigmi del mondo con invidiabile completezza, e promettono che un'amorevole Provvidenza veglierà sulla sua esistenza e lo compenserà in una vita futura per ogni frustrazione patita in questa.
I due uomini sono, quindi, entrambi preoccupati del vuoto spirituale che si apre con la crisi delle religioni tradizionali.
Rolland, tuttavia, diverge da Freud; il primo, infatti, ritiene che un'analisi razionale, quale è la psicoanalisi, può e deve avere solo un ruolo preliminare per sgomberare il terreno dalle macerie della vecchia religione e prepararlo a una nuova spiritualità; il secondo, invece, sostiene che la psicoanalisi deve prendere, in tutto e per tutto, il posto lasciato libero dalla religione.
La risposta di Freud si fece attendere per quasi due anni, presumibilmente per lasciare intendere il "turbamento" provato dallo psicanalista.
In effetti, nella lettera del 14 luglio 1929, Freud così scrive all'amico: "La sua lettera [...] contenente la descrizione relativa a un sentimento che lei definisce "oceanico" non mi ha dato pace".17
Inoltre, prima di conoscere Rolland, Freud non affronta in nessuna delle sue opere il tema del misticismo e, quindi, ha di esso una conoscenza solo superficiale.
Freud rimane sorpreso della grande conoscenza dimostrata da Rolland in ambito mistico, e aggiunge: "Non potrei immaginare di leggere tutto ciò che Lei, nella Sua lettera, dice di aver studiato".18
Nella stessa lettera egli chiede a Rolland di acconsentire alla pubblicazione di alcune sue considerazioni circa il sentimento oceanico ne "Il disagio della civiltà", che sta per essere mandato alle stampe.
Freud si sente debitore di questo spunto, per cui chiede a Rolland il permesso di pubblicarlo, senza citare il nome di chi lo ha teorizzato.19
Rolland risponde acconsentendo, anche se ammette di non ricordare esattamente quanto discusso da entrambi più di un anno e mezzo prima.
Inoltre, mette al corrente l'amico del fatto che ha avuto modo di studiare la cultura Hindu, ed è ora in procinto di pubblicare un libro in tre tomi, relativo alla spiritualità indiana.
Rolland afferma che questo sentimento non appartiene solo alla cultura indiana, ma anche ai grandi mistici dell'Europa che vissero nel periodo che intercorre tra il XIV e il XVI secolo.
Egli sostiene quanto segue: "Sono rimasto sorpreso nell'osservare, ancora una volta, come non sia vero che Oriente e Occidente siano due mondi separati, ma che entrambi sono le rive del medesimo fiume di pensiero".20
A questo aggiunge: "And I have recognised in both the same river "ocean"..." (testo originale in inglese dell'autore).21
Rolland, quindi, ha "scoperto" che ciò che lega Est and Ovest è questo grande "oceano comune", a cui è possibile accedere a quanti lo desiderino.
Egli è consapevole del fatto che non vi sono differenze o divisioni sulla modalità con la quale si vive il misticismo: tutte le persone che ha avuto modo di incontrare o le biografie dei mistici e dei santi che ha letto confermano la sua tesi, ovvero questo sentimento sconfinato di pace e beatitudine, questa "subterranean source of religious" a cui ogni religione ha attinto e continua ad attingere.
Ritornando a Freud, ora egli si ritiene in grado di svolgere una sua analisi riassuntiva ne "Il disagio della civiltà" e, anche se riluttante, ammette che un'interpretazione psicoanalitica è possibile se pensata all'interno della seguente impostazione: "l'indissolubile unione data dal sentirsi uno con il mondo esterno nella sua totalità".22
Oltre a questo, Freud parlando dello sviluppo pre-edipico, argomenta che in un neonato il senso del sé e del mondo è molto più unitario rispetto a quello di un adulto: un neonato, infatti, non è in grado di distinguere il proprio io dal mondo esterno, ed ha come una sensazione di continuità tra lui e ciò che lo circonda; originariamente, quindi, l'io include tutto.
Solo in seguito, gradualmente, il piccolo comincia a distinguere sé dal mondo, e a rispondere alle varie sollecitazioni che da esso provengono.
Freud giunge ad affermare che il sentimento dell'io adulto può essere concepito come un piccolo residuo del primario sentimento dell'io narcisista e, quindi, può perdurare anche in età adulta.
Anche Freud si trova d'accordo con quanto asserito da Rolland circa l'esistenza del sentimento oceanico. Tuttavia, egli contesta l'asserzione secondo la quale esso sarebbe un aspetto innato e religioso della psiche; oltre a ciò, evita di menzionare Jung o la concezione psicanalitica dell'inconscio, per dimostrare come lo stesso sentimento possa sorgere anche da uno sviluppo dell'apparato psichico. 23
Dopo aver aver interpretato il sentimento oceanico come un mantenimento del narcisismo primario, Freud riflette sul suo ruolo e la funzione che esso ricopre all'interno delle religioni istituzionalizzate.
Il sentimento oceanico si collega alla religione in quanto, in un certo qual modo, parla del desiderio di ritrovare quel paradiso perduto da cui si è stati estromessi per sempre, fatto di un narcisismo illimitato, in cui il bambino si è sentito onnipotente ed immortale. Così facendo, il sentimento oceanico non riguarderebbe più l'origine della religione istituzionalizzata, bensì verrebbe ricondotto indietro sino alla primissima infanzia per rispondere delle facilitazioni e delle soluzioni date al bambino nei confronti dei suoi universali bisogni esistenziali.
Il sentimento dell'infinito, inteso come la base della religiosità, distinta dalla religione istituzionale, non è altro che la nostalgia della condizione infantile pre-edipica, quando il bambino non è ancora in grado di percepire un confine tra sé e la madre.
Ne "Il futuro di una illusione" Freud richiama l'attenzione sul ruolo svolto dalla madre come prima figura protettiva contro l'ansietà e paura, mentre l'apertura verso il mondo esterno è prerogativa della figura paterna. Il sentimento oceanico, quindi, rappresenta per Freud l'esperienza fusionale del bambino con la madre, precedente alla nascita dell'Io consapevole.24
In quel momento l'Io si estende, infinitamente, sia all'esterno sia verso l'interno. L'esperienza mistica quindi, secondo Freud, riporta l'Io allo stato di fusione con il mondo esterno che caratterizza lo stadio infantile. Questo si caratterizza come un'esperienza originaria, destinata a lasciare un segno duraturo nello sviluppo successivo dell'individuo.
Nel 1927 Freud inviò a Rolland una copia del libro "Il futuro di una illusione".
Tre anni dopo, Rolland regalò a Freud una copia della sua biografia sui santi induisti; ora, sia Freud che Rolland conoscevano in modo approfondito i relativi pensieri a riguardo della psicologia del misticismo, e questo diede avvio ad una nuova fase della loro corrispondenza.
Le lettere più importanti di questo periodo sono due, e precisamente quella di Freud del 19 gennaio 1930, e di Rolland datata 3 maggio 1931.
La lettera di Rolland riguarda sia i contenuti della lettera di Freud del 19 gennaio 1930, sia l'analisi da questi svolta nel libro "Il disagio della civiltà"; la lettera di risposta da parte di Freud, invece, è breve e ricca di elogi per l'amico di penna.
Freud, tenendo sempre a mente Rolland e il suo pensiero sul misticismo, in questo periodo continua le sue riflessioni sulla dimensione mistica e redige il libro "Introduzione alla psicoanalisi".
Un capitolo dedicato a Rolland, dal titolo "A disturbance of Memory on the Acropolis", si riferisce ad una autoanalisi di Freud, ed ha a che fare con un ricordo della sua giovinezza, quando "I was already a man mature years" (testo originale in inglese dell'autore).25
Egli racconta del suo viaggio in Grecia e di quello che provò ad Atene, sulla collina dell'Acropoli: le rovine del tempio stavano alle sue spalle e davanti a lui si apriva l'orizzonte blu del mare.
é in quel preciso momento che un sentimento di stupore misto a gioia lo pervade, e ora, a distanza di tempo, ricorda distintamente di aver pronunciato le seguenti parole: "So it really is true, just as we learnt at school!" (testo originale in inglese dell'autore) 26
Al suo ritorno rivelò, in una lettera a Maria Bonaparte, questa sua esperienza tutt'altro che ordinaria, la quale "ha superato qualsiasi cosa egli avesse visto o immaginato sino ad allora"27 e che "le colonne dal color dell'ambra dell'Acropoli erano le cose più belle che egli avesse mai visto in vita sua".28
Anche in altre occasioni Freud prova delle sensazioni così profonde di "rapimento oceanico"; ad esempio, quando all'età di ventinove anni ha l'opportunità di andare a Parigi e di ammirare la cattedrale di Notre Dame.
In una lettera alla fidanzata, infatti, scrive: "This is a Church... I never seen anything so seriously moving and somber" (testo originale in inglese dell'autore).29
Lo stesso sentimento si ripete durante il suo viaggio a Roma; qui Freud, pieno di felicità ed eccitazione, avverte un desiderio irrefrenabile di visitare il tempio di Minerva.
All'esperienza dell'Acropoli, riemersa attraverso un procedimento di auto-analisi, Freud dà il nome di "sentimento di de-realizzazione", ovvero di un sentimento dovuto ad un disturbo o a una falsificazione della memoria.
Ciò che lascia esterrefatti è il motivo per il quale Freud interpreta questo sentimento di gioia e stupore riassumendo l'accaduto come una de-realizzazione e una perdita del senso di realtà, definita con l'uso del termine tedesco "Empfindung", lo stesso che utilizza per caratterizzare il sentimento oceanico.30
Come per il sentimento oceanico, Freud cerca una spiegazione psicoanalitica per questa "mistica esperienza", e si chiede come essa possa entrare in connessione con la dottrina religiosa.
Nel seguente capitolo si andranno a esaminare i motivi per cui Freud sente l'urgenza di ricondurre ad ogni costo tutte queste esperienze vissute, e quanto rivelato da Rolland, all'interno della teoria psicoanalitica; inoltre, si darà una lettura interpretativa dei fattori che portano Freud a rinunciare a Dio e a ricercare una concezione diversa del sentimento oceanico.



Note:
1 Charles BRENNER, Breve corso di psicoanalisi, Firenze, G. Martinelli Editore, 1986
2 Ana-Maria RIZZUTO, Perché Freud ha rifiutato Dio?, Torino, Centro Scientifico, 2000, 218
3_William B. PARSON, The Enigma of the Oceanic Feeling: Revisioning the Psychoanalytic Theory of Misticism, New York, Oxford University Press, 1999, 57. Qui e nelle pagine che seguono, quando di un'opera citata in edizione straniera si recheranno passi tradotti in italiano senza indicazione di traduttore, la traduzione è da intendersi nostra.


narcisismo

da tesionline
INTRODUZIONE

Il presente lavoro nasce come approfondimento attorno al concetto psicoanalitico di “amore fusionale”. Questo tipo di amore si trova descritto in letteratura, non solo psicoanalitica, come uno stato di perdita dei confini psichici tra sé e l’altro, fino a un sentimento di fusione interindividuale che la seconda topica freudiana riconduce simbolicamente allo stato primigenio dello psichismo: l’unione tra il feto e la madre nella vita intrauterina. Lo stato a cui ci si riferisce è esperienza comune nella vita adulta nelle prime fasi dell’innamoramento, in cui il partner è idealizzato secondo meccanismi psichici descritti già da Freud in Introduzione al narcisismo come in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Rispondendo a Rolland riguardo alla sua lettera sul sentimento religioso, in Il disagio della civiltà Freud collega lo stato d’innamoramento come perdita soggettiva dei confini psichici e sensazione di unione col mondo, a quel “sentimento oceanico” che accomuna fenomeni estatici, religiosi e artistici. Sentimento simile sembra guidare anche i gruppi. Ciò che a livello psichico queste situazioni hanno in comune tra loro, e che le collega allo stato di vita intrauterina, è la regressione a una posizione in cui i confini tra Io e non Io non vengono riconosciuti, e l’Ideale dell’Io risulta tornare a combaciare con l’Io stesso.
Nel periodo dell’innamoramento l’amante viene idealizzato, l’Ideale dell’Io del soggetto è proiettato su di esso, e se l’amore è corrisposto il riavvicinamento tra Io e Ideale porta a uno stato di completa beatitudine, alla sensazione di avere (ed essere) tutto ciò che si desidera. Il narcisismo è ritirato dal mondo esterno, ne consegue un isolamento che può essere più o meno rigido e prolungato. Le situazioni in cui questo isolamento non si limita alla prima fase d’innamoramento, ma si prolunga nel tempo fino a compromettere le altre aree della vita e perfino la felicità stessa del soggetto, si configurano come patologiche. Questo tipo di relazioni si incontrano nella clinica. E in non rari casi di cronaca portano a macabri epiloghi. L’oggetto d’amore è considerato parte del sé, come se a suo tempo non fosse intervenuta sufficiente funzione paterna a separare madre e bambino, introdurre i limiti psichici necessari a separazione ed individuazione come soggetto.
L’amore fusionale sembra così seguire una pulsione di morte, tendere all’indifferenziato. Ma è questo l’unico destino della fusionalità? Con l’obiettivo di rispondere a questa domanda cercherò anzitutto, nella prima parte dell’elaborato, di tracciare un percorso che chiarisca il ruolo della fusionalità e delle dinamiche ad essa associate nella teoria psicoanalitica. Approfondirò dunque la letteratura riguardante l’esperienza simbiotica originaria di unione con la madre, i destini del narcisismo e dell’Ideale dell’Io connessi a questa simbiosi originaria come anche ad una ritrovata esperienza fusionale nella vita adulta, e le dinamiche di stabilimento e dissolvimento secondario dei confini dell’Io, che nella fusionalità permettono di includere nel proprio senso di sé l’altra persona. A tal fine, dopo un breve capitolo introduttivo (capitolo 1) che cerca di inquadrare la fusionalità nel pensiero freudiano riprendendo il concetto di «sentimento oceanico» ed accennando al problema della presenza o meno dell’oggetto nel narcisismo primario, considererò la letteratura freudiana e post-freudiana inerente lo stato simbiotico originario e la graduale formazione del sé come separato dall’oggetto (capitolo 2). A questo livello emergerà l’importanza attribuita dagli Autori alle cure materne, anzitutto per assicurare una completa soddisfazione della fusionalità in un momento in cui è reale bisogno alla sopravvivenza fisica e psichica del bambino che non ha ancora sviluppato (Hilflosigkeit freudiana) i suoi apparati per l’adattamento, ed in secondo luogo in quanto necessarie (soprattutto l’handling, le cure corporee) a favorire nel bambino un progressivo spostamento della carica libidica dal centro del corpo alla sua periferia. Tale spostamento, si vedrà, risulterà requisito essenziale ad una primitiva forma di integrazione del sé, e dunque alla formazione dei confini, prima corporei, poi psichici (capitolo 4). Inoltre emergerà come a partire dai lavori di Bick (1968) e Meltzer (1975), il ruolo delle stimolazioni a livello della superficie epidermica si sia evidenziato necessario alla costituzione di un primitivo senso d’ integrazione del sé e dell’oggetto come contenuti nelle rispettive pelli, come oggetti dunque tridimensionali. L’acquisizione psichica di questa “tridimensionalità” si accompagna a quella di uno “spazio interno”, che sarà posta a necessaria condizione ai movimenti identificatori e proiettivi della fase schizo-paranoide kleiniana. Proseguirò dunque riepilogando alcuni lavori che, sulla scia di questa concezione, hanno proposto una fase precedente la schizo-paranoide kleiniana e requisito di quest’ultima, in cui un primitivo senso di sé nasce dalle ritmiche esperienze di contatto e dalle sensazioni, soprattutto riferite alla superficie epidermica. Emergerà così un importante cambiamento di paradigma nelle teorie psicoanalitiche dello sviluppo: la visione “diacronica”, a “fasi” (vedi anche il modello freudiano), ha ceduto il passo a una “sincronica”, in cui le “posizioni”, pur originando da sequenziali stadi dello sviluppo infantile, non vengono idealmente “superate” bensì rimangono attive come modalità sempre possibili considerato parte del proprio sè, e che la sua vita indipendente ne risulti quindi inaccettabile di rapporto con l’oggetto, di acquisizione dell’esperienza, e di comunicazione con l’altro (come si approfondirà nel capitolo 4 e 6). Così anche la “posizione” primigenia, contiguo-autistica o fusionale, passerà dall’essere considerata relativa ad una fase infantile di cui è necessario il superamento, all’essere modalità sempre possibile di acquisizione dell’esperienza, di comunicazione e di rapporto con l’oggetto. Proseguirò nel capitolo 3 considerando le dinamiche narcisistiche e dell’Ideale coinvolte nell’amore fusionale. Il recupero della letteratura freudiana e post-freudiana permetteranno di sottolineare come simbiosi infantile e innamoramento adulto siano accomunati dalla (ri)unione di Io ed ideale. Anche altre condizioni però, tra cui l’analisi, danno luogo a simili proiezioni dell’Ideale sull’oggetto (in questo caso il terapeuta) dalla vicinanza col quale è possibile ottenere un più o meno illusorio recupero narcisistico. Per quanto riguarda i confini dell’Io (capitolo 4) dalla cui flessibilità (Federn) dipende la possibilità d’includere, nella fusionalità, un’altra persona nel proprio senso di sé, mi appoggerò alla concezione di Fonda (Cfr. capitolo 4.2) che, seguendo l’idea della contemporaneità tra “posizioni”, parla di diversi “livelli” dei confini dell’Io, corrispondenti ad aree del sé che funzionano su modalità diverse, ciascuno dunque caratterizzato da un diverso grado di solidità o permeabilità. Verrà così introdotta l’idea che la fusionalità abbia un ruolo fondamentale nella comunicazione: essa si fa per l’inconscio canale fisiologico attraverso cui comunicare in corto circuito con l’esterno, saltando l’Io (Fonda P., 2000b), a questo livello potrà cioè avvenire la fluttuazione di elementi sensoriali e primitivi, che andranno a costituire lo sfondo, il colore di base degli affetti, su cui poi si potranno basare le comunicazioni agli altri livelli, necessario affinché la comunicazione si possa dire pienamente umana. La seconda parte dell’elaborato andrà paragonando, sulla base dei concetti definiti dalla prima, tre “luoghi chiusi” della fusionalità. o meglio non pensabile. A partire da un recupero degli scritti di Marion Milner sul ruolo della cornice e dell’illusione nella regressione creativa (capitolo 5), considererò la stanza d’analisi, la sala cinematografica e la “stanza degli amanti”, come “luoghi chiusi” protetti dalle rispettive cornici, in cui si rende possibile un recupero dell'illusione di continuità Io-mondo, che riapre la possibilità di un rapporto creativo con gli oggetti. Riguardo alla stanza d’analisi (capitolo 6) cercherò di sottolineare innanzitutto il ruolo di cornice degli elementi costanti, concreti, non processuali del setting, che forniscono ancoraggio per la modalità contiguoautistica del paziente e così la sicurezza necessaria a stabilire l’affidabilità di base. Inoltre, proponendo una riconsiderazione di certo transfert estremamente regressivo nel paziente, come di certo controtransfert sensoriale dell’analista, cercherò di mettere in luce come questi possano incontrarsi in maniera creativa per costituire un’area pre-simbolica, sensoriale, di esperienza comune, e dunque un luogo di comunicazione, che in certe fasi dell’analisi può essere il solo possibile, tra paziente ed analista. Da questo livello, che favorisce nel paziente il recupero di configurazioni emotive arcaiche, l’analista avrà poi la possibilità di recuperare contenuti per traghettarli verso la simbolizzazione, restituendoli infine come interpretazione al paziente. Fondamentale scopo dell’analisi, in questo senso, diviene il favorire l’equilibrio e la comunicazione dialettica (ossia il passaggio dei contenuti) tra le tre posizioni (F, SP e D).
Si considererà infine come, anche a livello della “teoria della tecnica”, si sia assistito ad un cambio di paradigma simile a quello visto per le teorie dello sviluppo: la fusionalità, da caratteristica di una fase iniziale dell’analisi (Grunberger, Ferenczi, Federn), di cui favorire il superamento in un secondo momento, è stata riletta come modalità sempre possibile di acquisizione dell’esperienza, rapporto con l’oggetto e comunicazione nel paziente, ma anche nell’analista, con importanti risvolti terapeutici (capitolo 6) ad esempio nell’empatia. Le dinamiche regressive e creative in cui è coinvolto lo spettatore nella sala cinematografica saranno luogo di un approfondimento altrettanto interessante (capitolo 7). Cercherò qui di mettere in luce come le cornici, in questo caso rappresentate dal dispositivo (condizione fisico-psicologica dello spettatore immobile al buio davanti all’immagine in movimento), e dallo schermo stesso come superficie limitata e delimitante di uno spazio altro da quello dello spettatore, creato ex novo dal film, siano condizione per la possibilità di un’illusione creativa, che è quella tipica del cinema. Ad un livello si ritrova una regressione al narcisismo primario in cui lo schermo si fa paragone dello schermo del sogno (Lewin), nell’altro un abbandono a dinamiche proiettive e identificatorie che danno allo spettatore la possibilità di una “realizzazione allucinatoria” dei bisogni latenti, paragonabile a quella del sogno stesso. Proporrò qui che la funzione dello schermo sia essenziale per mantenere intatta la posizione protetta dello spettatore: lo schermo verrà paragonato in questo senso ad uno scudo dalla realtà (soprattutto da quella pulsionale). Verranno inoltre accennati gli interessanti studi (Lavallée, Tisseron, Berton) che pongono un paragone tra pellicola cinematografica e “pellicola del sogno” (Anzieu). Infine su questo paragone s’ inserirà una considerazione personale su come la pellicola possa farsi “seconda pelle” o “rammendo della superficie sensoriale danneggiata”, allo stesso modo in cui si dirà per il contenimento contiguoautistico da parte del setting in analisi. Il paragone dei due “luoghi della fusionalità” precedentemente considerati con la “stanza degli amanti” (capitolo 8) intesa non solo come spazio fisico in cui i due innamorati si chiudono per trovare intimità, ma come metonimia di tutto il quadro intra-interpsichico che si viene a creare nell’innamoramento, fornirà ulteriori spunti riflessivi specialmente sul ruolo dell’ambiente sensoriale, che ricreando le condizioni delle primitive comunicazioni madre-bambino (revocando il «divieto primario di toccare» e ponendo alla ribalta il ruolo tattile anche della comunicazione vocale e visiva), e rafforzato in questo dal ripristino dell’iniziale unione tra Io ed ideale, sarà proposto facilitare il riemergere di altrettanto primitive configurazioni affettive, fornendo così la possibilità di una vera ri-costruzione del sé. Considererò infine in appendice, per completare la riflessione sulla “stanza degli amanti”, tre opere cinematografiche: Ultimo tango a Parigi (1972), L’Assedio (1999) e The Dreamers (2003), scelte tra le molte che presentano il tema di un amore fusionale unitamente a quello di una situazione a valenza uterina e potenzialmente claustrofobica. Ritengo che un confronto tra questi tre film, dello stesso regista, si possa accompagnare alla riflessione sulle diverse valenze della fusionalità.

PARTE PRIMA: FUSIONALITÀ, IL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOANALISI

Capitolo I: Simbiotico – fusionale, le origini
Il concetto di amore simbiotico-fusionale, nella letteratura psicoanalitica, compare in riferimento alle prime fasi di vita dell'uomo, e precisamente alla particolare condizione di compenetrazione che si mantiene tra bambino e madre nel primo periodo della vita extrauterina. Già Freud aveva evidenziato come con la nascita non sembri determinarsi a livello psichico una cesura così netta rispetto alla vita intrauterina, e questo grazie allo specifico ruolo svolto dalle cure materne: […] la madre, la quale ha appagato fin dall’inizio [cors. dell’Autore] tutti i bisogni del feto mediante le organizzazioni del suo corpo, prosegue la sua funzione in parte con altri mezzi anche dopo la nascita. Tra la vita intrauterina e la prima infanzia vi è molta più continuità di quel che non ci lasci credere la impressionante cesura dell’atto della nascita. L’oggetto materno psichico sostituisce per il bambino la situazione fetale biologica. (Freud S., 1925, trad. it. Inibizione, sintomo e angoscia, vol' 10, p. 286)
Alla luce degli studi successivi, questa sostituzione risulta assolutamente necessaria al piccolo d.uomo, venuto al mondo così prematuro, per poter entrare a poco a poco nella realtà, nel rispetto dei tempi necessari alla formazione graduale delle strutture psichiche e degli apparati per l'adattamento. Tra i primi studi sistematici appaiono quelli di Therese Benedek (1949), che descrive nei primi mesi di vita una fase simbiotica dell'unità duale madre-bambino, in cui il bambino si comporta e agisce come se egli e la madre fossero un sistema onnipotente, un.unità duale racchiusa entro un confine comune e all'interno della quale la consapevolezza dell'oggetto che soddisfa i bisogni si formerà nel bambino solo gradualmente. Tale concezione è ripresa e approfondita da Margaret Mahler, che propone il concetto di “fase di simbiosi normale” (1968), come dalla Jacobson (1954), dal concetto di “diade” in Spitz (1958), quello di “unità primitiva madre-bambino” in Winnicott (1960), dallo “stato elazionale” di Grunberger (1971). Diversi Autori hanno dato nomi diversi, non sempre partendo dai medesimi presupposti, e quindi riferendo il concetto di volta in volta alle relative teorie. I punti in comune sembrano comunque rimanere: la dipendenza sia fisica che psichica dalla madre per la sopravvivenza, il bisogno di vicinanza, una sensazione di unità monadica chiusa autosoddisfacente, che non ha percezione dei suoi limiti (per quanto riguarda il bambino naturalmente) e un conseguente sentimento di onnipotenza e illimitatezza. Citando Margaret S. Mahler: L’elemento essenziale della simbiosi è la fusione allucinatoria e delirante, somatopsichica e onnipotente, con la rappresentazione della madre, e in particolare l’illusione di un confine comune a due individui che sono effettivamente e fisicamente separati. (Mahler M.S., 1968, trad. it. Le psicosi infantili, 1976, p. 23)
Freud nella seconda topica ha riferito questo sentimento di assenza dei confini dell'Io e di contatto con l' assoluto all'unione, che ancora persiste in questa fase, tra l'Io e l'Es (Freud S., 1921; 1915), nonché all'assenza di distinzione tra Io e mondo esterno (Freud S., 1914 , 1929). Com.è noto in occasione della riformulazione della teoria dell'apparato psichico, anche in conseguenza della nuova teoria del dualismo pulsionale, Freud sembra ritrattare la distinzione tra autoerotismo e narcisismo primario per ricollocare entrambe ad uno stadio evolutivamente precedente a quello della formazione dell'Io. Più avanti, ne Il disagio della civiltà (Freud S., 1929), così risponderà alla lettera di Rolland sul “sentimento oceanico”, con cui il poeta intende quella sensazione di unione con l'assoluto che sarebbe alla base della religiosità: […] Questo senso dell’Io, presente nell’adulto, non può essere stato tale fin dall’inizio. […] Il lattante non distingue ancora il proprio Io dal mondo esterno in quanto fonte delle sensazioni che lo subissano. Apprende a farlo gradualmente […] In origine l’Io include tutto, e in seguito separa da sé un mondo esterno. Il nostro presente senso dell’Io è perciò soltanto un avvizzitoresiduo di un sentimento assai più inclusivo, anzi di un sentimento onnicomprensivo che corrispondeva a una comunione quanto maiintima dell’Io con l’ambiente. Se possiamo ammettere che – in misura più o meno notevole – tale senso primario dell’Io si sia conservato nella vita psichica di molte persone, […] i contenuti rappresentativi adesso conformi sarebbero precisamente quelli dell’illimitatezza e della comunione con il tutto, ossia quelli con cui il mio amico spiega il sentimento “oceanico”. (Freud S., 1929, trad. it. Il disagio della civiltà, OSF, vol' 10, p. 559 e 561)
Si è stabilito qui un importante paragone: quello tra le prime fasi della vita psichica e un possibile ritorno, nell'età adulta, a quello stato psichico d'indifferenziazione tra Io e Es che starebbe alla base dei sentimenti di assoluto. Tutto ciò ha a che fare con ciò che Freud ha chiamato narcisismo e con l'istanza ad esso collegata: l'Ideale dell'Io.
1.1 Il narcisismo e il problema dell’oggetto nella letteratura freudiana
Il concetto di narcisismo è nel pensiero psicoanalitico contemporaneo, uno dei concetti fondamentali ed insieme più critici. Come molti ricordano Freud fu profetico quando, nel primo saggio dedicato a questo complesso argomento, scriveva «Ho l'impressione che ad uno studio diretto del narcisismo si oppongano speciali difficoltà» ( Freud S., 1914, p. 452 ). In effetti le speciali difficoltà che a tutt.oggi sono al centro di dibattito e che impediscono una definizione univoca del concetto tra le diverse scuole, sembrano avere origine già allora, innanzitutto nei rimaneggiamenti che lo stesso Freud operò sul concetto tra la prima e la seconda topica. Anzi, molti fanno notare come l' Introduzione al narcisismo e le complesse tematiche da questo saggio introdotte, siano state proprio il motore degli sconvolgimenti che la teoria subì negli anni successivi. Ad esempio il concetto di libido dell'Io, con cui si intendevano le pulsioni sessuali che nella fase narcisistica si rivolgevano all'Io come oggetto, mise in crisi la precedente separazione effettuata tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, tanto da far dichiarare a posteriori allo stesso Freud di aver in quel periodo effettuato un «apparente avvicinamento alla concezione junghiana» (Freud S., 1922a, p.460) del monismo pulsionale. Com.è noto poco dopo (Cfr. Freud S., 1920) fu introdotto il nuovo dualismo, in cui pulsioni di autoconservazione e sessuali venivano a confluire nelle pulsioni libidiche, andando ad opporsi alle pulsioni di morte. Dunque il concetto di Narcisismo si pone a cavallo tra le due topiche e tra le due concezioni del dualismo pulsionale, e la sua definizione sembra variare più volte all'interno della letteratura freudiana. Inizialmente scoperto in collaborazione con Abraham (Cfr. Freud S., 1910), a seguito dei problemi d.instaurazione del transfert negli psicotici e ai loro deliri di grandezza, fu da Freud ipotizzato in un primo momento essere una fase dello sviluppo psicosessuale normale. Il bambino passerebbe da uno stadio autoerotico, in cui le pulsioni si soddisferebbero anarchicamente a livello delle diverse zone erogene sul corpo, a una fase di “narcisismo” in cui le pulsioni raggiungerebbero una prima unificazione attorno a un oggetto totale identificabile nella propria stessa persona. Ciò implica una duplice importanza per questa tappa dello sviluppo: primo unificatore delle pulsioni verso un oggetto totale, il narcisismo si configurerebbe come ponte tra la precedente disorganizzazione pulsionale e la scelta oggettuale alloerotica. In secondo luogo, come suggeriscono Laplanche e Pontalis, il fatto che l'Io sia assunto qui ad oggetto d.amore, induce a far coincidere questa fase con i momenti fondanti dell'istanza egoica (Laplanche J. e Pontalis J.-B., 1967). Le cose però con l'introduzione della seconda topica sembrano complicarsi non poco.
Freud sembra innanzitutto ripensare la differenza tra autoerotismo e narcisismo: «Abbiamo preso l'abitudine di chiamare narcisismo l'antica fase evolutiva dell'Io durante la quale le pulsioni sessuali di quest.ultimo si soddisfano autoeroticamente» (Freud S., 1915, p.27); «Così dunque l'autoerotismo andava inteso come l'attività sessuale che caratterizza lo stadio narcisistico della collocazione libidica.» (Freud S., 1915-17, p.567). In concomitanza negli scritti dello stesso periodo avviene il ricollocamento di entrambi a uno stadio antecedente alla formazione dell'Io, il cui archetipo sarebbe la vita intrauterina: «Siamo costretti a supporre che non esista nell'individuo sin dall'inizio un.unità paragonabile all' Io; l'Io deve ancora evolversi. Le pulsioni autoerotiche sono invece assolutamente primordiali; qualcosa – una nuova azione psichica – deve dunque aggiungersi all'autoerotismo perché si produca il narcisismo.» (Freud S., 1914, pp. 446447) «Originariamente, ai primordi della vita psichica, l'Io è investito dalle proprie pulsioni e parzialmente capace di soddisfarle su sé medesimo. Chiamiamo questo stadio «narcisismo», e questo modo di ottenere il soddisfacimento «autoerotico». In questa fase il mondo esterno non è investito di interesse (genericamente inteso) e appare indifferente ai fini del soddisfacimento.» (Freud S., 1915, p. 30). Riguardo al problema dell'oggetto si considera come, ritrattando il nuovo dualismo la differenza tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, la teoria dell'appoggio che su questa differenza trovava fondamento sembri perdere in solidità. Se prima l'oggetto era presente da principio per le sole pulsioni di autoconservazione, ed erano queste a indicare la via dell'oggetto alle pulsioni sessuali che vi si appoggiavano, ora è introdotta l'idea che in un primo stadio, comprensivo di fase autoerotica e narcisismo, l' oggetto sia assente e che solo in seguito, contestualmente alla formazione dell'Io tramite identificazioni, sia possibile parlare di oggetto, all'interno di una nuova fase narcisistica “secondaria” in cui la libido, ora sottratta agli oggetti, darebbe luogo al “narcisismo dell'Io” (Cfr. Freud S., 1922b). Molteplici furono le critiche della psicoanalisi post-freudiana poste a questa presunta anoggettualità della prima vita extrauterina (Cfr. capitolo 2.2). Ma a ben vedere sono molteplici anche le interpretazioni che allo stesso pensiero di Freud in proposito vengono date dalla letteratura a lui successiva. Mi concentrerò nei capitoli seguenti sulle questioni che maggiormente interessano il tema dell'elaborato, ovvero:
-la formazione dell'Io nel bambino all'interno del rapporto con la madre e successivamente con gli oggetti,
-la formazione dell' “Ideale dell'Io” come residuo “sano” del narcisismo,
-le dinamiche di dissoluzione secondaria dei confini dell' Io, che si ritengono essere alla base dei sentimenti di fusionalità.

Capitolo II
La nascita dell'Io all'interno del rapporto con la madre e successivamente con gli oggetti
2.1 La nascita dell’Io nella letteratura freudiana
Da un punto di vista storico, come fanno notare Laplanche e Pontalis (1967), nella teoria psicoanalitica «il concetto topico dell'Io è il punto terminale di una nozione costantemente presente in Freud fin dalle origini del suo pensiero». In qualche forma l'Io è presente nell'opera freudiana fin dal principio, ma è con la “svolta del 1920” che esso assume la connotazione di vera a propria istanza, definendosi nell'accezione specificamente psicoanalitica con cui è pervenuto al pensiero contemporaneo. Nel saggio del 1922 L.Io e l'Es Freud pone accanto alla precedente concezione di Io come superficie dello psichismo differenziata adattivamente a seguito del contatto con la realtà, una formulazione complementare, che inquadra la genesi dell'Io, ora come istanza psichica, all'interno delle dinamiche libidiche di nuova teorizzazione, precisamente inerenti ai concetti di narcisismo e di identificazione.
2.1.1 Implicazioni del concetto di narcisismo nella teorizzazione della genesi dell'Io
L'idea della necessità di una nuova formulazione della genesi dell'Io sembra nascere dal dubbio introdotto da Freud già in Introduzione al narcisismo: e

narcisismo


Il Ruolo Terapeutico, 1993, 63: 37-39 (prima parte), e 64: 32-36 (seconda parte)




Il concetto di narcisismo


 



Paolo Migone



 



In questa rubrica e nella seguente tratterò alcuni aspetti del complesso tema del narcisismo. In questa prima parte parlerò degli aspetti descrittivi e della evoluzione storica del concetto di narcisismo; nella seconda parte, che uscirà nel prossimo numero del Ruolo Terapeutico (n. 64/1993 - vedi oltre), tratterò gli aspetti psicodinamici, prima seguendo la complessa evoluzione del concetto di narcisismo nel pensiero di Freud, e poi accennando alle posizioni di Kohut e di Kernberg, due importanti autori che recentemente si sono occupati di questo argomento (parte di questo materiale, quella riguardante l'evoluzione del concetto di narcisismo in Freud, è inedita, mentre altre parti sono state pubblicate in precedenti lavori, ai quali rimando per una bibliografia più completa: vedi soprattutto il cap. 10 del mio libro Terapia psicoanalitica [Milano: Franco Angeli, 1995], e il paragrafo sul "Disturbo narcisistico", scritto con L. Bellodi, nel capitolo 61 del Trattato Italiano di Psichiatria a cura di P. Pancheri, G. B. Cassano et al., Milano: Masson, 1992 [I ed.], 1999 [II ed.]).



Il concetto di narcisismo è considerato uno dei più importanti concetti oggi in psicoanalisi, e, paradossalmente, uno dei più controversi. La storia di questo concetto, come vedremo, mostra impietosamente le difficoltà incontrate dal movimento psicoanalitico per arrivare ad una teorizzazione sobria e coerente nell'utilizzare le formulazioni metapsicologiche di volta in volta proposte per rendere conto del dato clinico (in questo caso, in modo specifico, le varie versioni della teoria delle pulsioni e il punto di vista economico). Queste difficoltà erano già presenti nel lavoro di Freud, il quale non a caso più volte si disse insoddisfatto della sua elaborazione teorica del narcisismo, e non esitò a rivederla. Soprattutto, l'evoluzione storica del narcisismo mostra più che mai le difficoltà incontrate dalla psicoanalisi nel perseguire l'ambizioso programma che si era proposta, quello di collegare il piano metapsicologico con quello clinico senza cadere in ambiguità o in facili astrazioni, che si rivelano poi inutili in quanto troppo generiche.



Prima di procedere nella storia di questo concetto, che riguarderà necessariamente il livello teorico e quindi rischierà di essere arida o difficile, può essere utile partire dal dato clinico, affinché possiamo tenerlo come punto di riferimento durante la discussione successiva. Le nostre disquisizioni teoriche sono sterili se non ci aiutano a comprendere la clinica. A questo proposito, il disturbo della personalità narcisista è diventato molto di moda negli ultimi tempi, e l'uso di questo termine, originariamente diffusosi nella letteratura psicoanalitica, si nota sempre di più anche nel linguaggio comune. Sembra che l'aggettivo "narcisista", assieme a quello di "borderline" (che significa caso "al limite" o "al confine" tra nevrosi e psicosi), a poco a poco abbiano preso il posto dell'aggettivo "isterico", usato per vari decenni anche questo in modo non sempre rigoroso [si vedano le mie rubriche sulle personalità borderline e istrionica sui nn. 55/1990, 56/1991, e 58/1991 del Ruolo Terapeutico]. Quando una parola viene usata per molto tempo, può diventare meno efficace, e alcune parole nuove, forse solo per il fatto stesso di essere nuove, acquistano più forza, come armi non ancora spuntate, forse perché vi è la fantasia che un interlocutore al quale esse non sono familiari venga preso alla sprovvista e sia disposto a dare ragione a chi magicamente le pronuncia; quando anch'esse si saranno diffuse, probabilmente dovranno essere riciclate, e altre parole nuove avranno maggiore fortuna. Ci si accorge a volte che ci lasciamo andare a tacciare un paziente di "narcisismo" solo per il fatto di avere una sintomatologia vaga o di difficile inquadramento diagnostico, oppure non facile da affrontare psicoterapeuticamente, se non addirittura per scaricare la nostra frustrazione o aggressività, proprio come a volte si faceva col termine "isterico".



Il quadro clinico



Per avere un'idea più precisa di cosa si intente per narcisismo in termini descrittivi, è utile vedere i criteri diagnostici del DSM-III-R del 1987 dell'American Psychiatric Association, che sono stati apprezzati anche da vari autori di parte psicoanalitica come sufficientemente precisi. Gli aspetti che maggiormente vengono sottolineati sono soprattutto l'oscillazione dell'autostima e una sensazione di grandiosità (la quale sappiamo, in senso psicodinamico, che può essere concepita come la negazione difensiva di un senso di inferiorità o impotenza), inoltre di conseguenza una eccessiva facilità ad essere feriti da eventuali commenti o giudizi critici, e una difficoltà ad empatizzare con i bisogni degli altri.



In particolare, il DSM-III-R propone nove criteri diagnostici, dei quali almeno cinque devono essere presenti per formulare diagnosi di personalità narcisistica: 1) reazione alle critiche con rabbia, vergogna o umiliazione; 2) tendenza a sfruttare gli altri per i propri interessi; 3) grandiosità, cioè sensazione di essere importanti, anche in modo immeritato; 4) il sentirsi unici o speciali, e compresi solo da certe persone; 5) fantasie di illimitato successo, potere, amore, bellezza, ecc.; 6) sentirsi in diritto di meritare privilegi più degli altri; 7) eccessive richieste di attenzione o ammirazione; 8) mancanza di empatia verso i problemi delle altre persone; 9) persistente invidia (quest'ultimo criterio diagnostico non era presente nel DSM-III del 1980 ed è stato aggiunto nel DSM-III-R).



Con questo quadro di riferimento clinico in mente, vediamo ora la complessa evoluzione storica del concetto di narcisismo.



Evoluzione storica del concetto



Innanzitutto l'origine etimologica del termine: Narciso, secondo la mitologia greca, fu talmente attratto dalla propria bellezza da rispecchiarsi nell'acqua fino a cadervi e annegare; secondo un'altra versione del mito, egli si consumò dal dolore per non poter raggiungere la sua amata immagine riflessa nell'acqua, fino a morirne, e al posto del suo corpo nacque dal suo sangue un fiore, che fu chiamato Narciso.



In psichiatria il termine "narcisismo" fu usato per la prima volta da Havelock Ellis nel 1892 in uno studio psicologico sull'autoerotismo; egli descrisse accuratamente le radici mitologiche e letterarie del mito di Narciso, e per la prima volta adombrava la estensione del termine narcisismo al comportamento non manifestamente sessuale; come sappiamo, questa felice intuizione di scorgere latenti motivi sessuali in comportamenti non esplicitamente sessuali è una delle grandi scoperte della psicoanalisi, e il narcisismo si prestava in modo molto efficace a questo scopo (si pensi anche ad altre perversioni, quali il sadismo, il masochismo, l'esibizionismo, ecc.: ad esempio, il sadismo può rappresentare il bisogno di controllare l'oggetto, cioè la paura di essere abbandonati dalla persona amata). In seguito anche Näcke nel 1899 usò il termine narcisismo per connotare una perversione sessuale, mentre fu Isidor Sadger (l'allievo di Freud che faceva focosi interventi alle riunioni del mercoledì di Vienna) quello che nel 1908 lo fece entrare nella terminologia psicoanalitica. Freud usò per la prima volta questo termine in una riunione del 10-11-1909 della Società Psicoanalitica di Vienna [Nunberg H. & Federn E., a cura di, Dibattiti della Società Psicoanalitica di Vienna, 1906-1908. Torino: Boringhieri, 1973], accreditando chiaramente a Sadger l'introduzione del concetto in un suo lavoro che fu pubblicato più tardi, nel 1910. Otto Rank nel 1911, con il primo scritto dedicato specificamente al narcisismo, per la prima volta lo collegò non implicitamente, ma esplicitamente, a fenomeni non sessuali, come la vanità e l'autoammirazione: disse inoltre che "amare il proprio corpo è un importante fattore della normale vanità femminile" (anticipando dunque di molti anni il concetto di "narcisismo sano" di Kohut), e intravide anche per la prima volta una possibile natura difensiva del narcisismo, come nel caso di quelle donne che "si rifugiano nell'amore di sé ferite a causa di uomini cattivi e incapaci di amare" (vediamo qui già il concetto di "ritiro narcisistico" causato di ferite oggettuali, cioè il chiudersi in se stessi per frustrazioni nei rapporti interpersonali, tematica che verrà ripresa e meglio teorizzata da Freud).



Ma fu l'importante lavoro di Freud del 1914 Introduzione al narcisismo quello che segnò per così dire la nascita ufficiale di questo concetto in psicoanalisi. Da allora in poi, la sua storia appartenne prevalentemente al movimento psicoanalitico, e solo negli anni recenti, e precisamente col DSM-III del 1980, la personalità narcisista è entrata a far parte ufficialmente della diagnostica psichiatrica. Prima di vedere l'evoluzione del pensiero di Freud in maggiore dettaglio (che verrà affrontato nella prossima rubrica [vedi più avanti]), voglio fare però una breve panoramica dei contributi di alcuni tra i principali autori fino ai giorni nostri.



Alcuni degli storici contributi psicoanalitici che vanno menzionati sono quelli di Karl Abraham [Una forma particolare di resistenza nevrotica al metodo psicoanalitico (1919). In Abraham Opere, vol. II, pp. 494-501. Torino: Boringhieri, 1975], che individuò le resistenze transferali nel trattamento di questi pazienti, e di Ernest Jones [The God complex. In: Essays in Applied Psychoanalysis, vol. 2, pp. 244-265. London: Hogarth Press, 1951], che per la prima volta descrisse i tratti della personalità narcisista, mentre tra i lavori pubblicati negli Stati Uniti vanno ricordati soprattutto due articoli della Annie Reich del 1953 e del 1960, e il libro della Edith Jacobson del 1964 Il Sé e il mondo oggettuale [Firenze: Martinelli, 1974]. Gli autori più recenti che hanno studiato i disturbi della personalità narcisista sono in Inghilterra Herbert Rosenfeld [Stati psicotici (1965), Roma: Armando, 1973; Comunicazione e interpretazione (1987), Torino: Boringhieri, 1989, pp. 55-154], che elaborò le importanti intuizioni di Melanie Klein contenute nel libro del 1957 Invidia e gratitudine [Firenze: Martinelli, 1969], e in Francia Béla Grunberger col libro del 1971 Il narcisismo [Bari: Laterza, 1977]; negli Stati Uniti invece sono stati Otto Kernberg [Sindromi marginali e narcisismo patologico (1975). Torino: Boringhieri, 1978; Disturbi gravi della personalità (1984). Torino: Boringhieri, 1988] e soprattutto Heinz Kohut [Narcisismo e analisi del Sé (1971), La guarigione del Sé (1977), e La cura psicoanalitica (1984), tutti tradotti da Boringhieri] coloro che hanno dato i principali contributi allo studio di questo disturbo.



Per comprendere come mai la personalità narcisista acquistò una tale importanza sulla scena psichiatrica da essere inclusa nel 1980 nel DSM-III dall'American Psychiatric Association, occorre conoscere e comprendere alcuni sviluppi avvenuti sia in campo sociale che psicoanalitico. Per quanto riguarda i primi, si pensi solamente al famoso libro del 1978 di Christopher Lasch La cultura del narcisismo [Milano: Bompiani, 1981], cultura che caratterizzerebbe l'era del benessere delle società avanzate, in cui la crisi dei valori e altre complesse trasformazioni sociali avrebbero letteralmente stravolto il significato dell'esistenza dell'uomo facendolo per così dire "ripiegare su se stesso": è ormai un luogo comune dei mass media definire le ultime decadi di questo secolo come "l'era del narcisismo".



Per quanto riguarda invece gli sviluppi avvenuti in psicoanalisi, essi sono per noi più interessanti perché sicuramente sono stati determinanti nel conferire importanza a questa diagnosi e a diffonderne l'uso negli ambienti professionali fino al punto da farne un termine alla moda se non addirittura un cliché psicoanalitico. E' stato probabilmente il già citato Kohut l'autore che ha contribuito in modo decisivo a stimolare l'interesse attorno al disturbo della personalità narcisista: autorevole analista di Chicago, e già vice presidente dell'International Psychoanalytic Association, Kohut ha ispirato un grosso movimento all'interno della psicoanalisi definito "Psicologia del Sé", in aperto contrasto con la corrente psicoanalitica tradizionale nota come "Psicologia dell'Io". Il movimento kohutiano, che secondo alcuni rappresenta la più potente corrente di dissidenza all'interno della psicoanalisi contemporanea (come vedremo meglio nella rubrica del numero seguente del Ruolo Terapeutico [vedi più avanti]), ha posto al centro della teorizzazione il concetto più esperienziale fenomenico di Self (il Sé, contrapposto a quello di Io, più impersonale ed astratto), ha fatto leva su certe debolezze della tecnica interpretativa classica riproponendo l'importanza di fattori quali l'"empatia", ha posto vari interrogativi sulla concezione tradizionale dei fattori terapeutici della psicoanalisi, e così via. La sua influenza sul movimento psicoanalitico è stata così grande che, al culmine del successo e della espansione del movimento della Psicologia del Sé, alcuni addirittura hanno affermato che Kohut sta a Freud come Einstein sta a Newton, nel senso del discepolo che ha trasformato la teoria del maestro. Pare comunque che, dopo circa due decenni dalla nascita di questo movimento, esso non è riuscito a sviluppare tutte le sue potenzialità rivoluzionarie come avevano sperato i suoi seguaci, ed è rimasto un movimento minoritario, seppur importante e foriero di molti stimoli sia clinici che teorici per gli analisti di tutti gli orientamenti.



Si può dire quindi che il DSM-III decise di assegnare alla personalità narcisista l'importanza di una diagnosi a sé stante di fronte alla crescente mole di studi attorno a questo problema soprattutto in campo psicoanalitico e psicoterapeutico. Se da una parte ciò rappresentò un riconoscimento di alcune acquisizioni della psicoanalisi da parte del mondo psichiatrico, dall'altra vi fu chi, anche da parte psicoanalitica, criticò questa scelta, per il fatto che legava troppo il DSM-III alle mode culturali del momento; si può ricordare qui, aneddoticamente, che al Congresso dell'American Psychiatric Association di Toronto del 1982, quando in un importante dibattito i fautori del DSM-III si scontrarono con gli oppositori [vedi Psicoterapia e Scienze Umane, 4/1983, p. 75, per una trascrizione in anteprima di quel dibattito], Vaillant accusò Spitzer e gli altri membri della Task Force del DSM-III di "campanilismo" poiché avevano incluso nel manuale certi disturbi di personalità, come appunto quella narcisista, le quali, "nate solamente 10-20 anni fa, notoriamente sono state viste solo nelle città americane dotate di teatri d'opera e istituti psicoanalitici, e sono sconosciute in Iowa e Alabama, o a Tangeri e Bucarest".



Termino qui questa breve panoramica storica del concetto di narcisismo. Vedremo meglio, nella mia rubrica del prossimo numero del Ruolo Terapeutico (n. 64/1993 [vedi più avanti]), l'evoluzione del pensiero di Freud, tanto complessa quanto importante per capire questo concetto, e l'interpretazione psicodinamica della personalità narcisista fatta da due tra i principali autori che hanno approfondito questo quadro clinico, rispettivamente Kohut e Kernberg, il cui confronto teorico su questa patologia rappresenta oggi uno dei problemi aperti più interessanti nel dibattito psicoanalitico.



 



Seconda parte (Il Ruolo Terapeutico, 1993, 64: 32-36)



Continuo con la seconda parte della trattazione del concetto di narcisismo, iniziata nella mia rubrica precedente del Ruolo Terapeutico (n. 63/1993 [vedi prima parte]) dove avevo trattato gli aspetti descrittivi e storici. In questa seconda parte parlerò degli aspetti psicodinamici, prima seguendo la complessa evoluzione del concetto di narcisismo nel pensiero di Freud, e poi accennando a Kohut e Kernberg, due autori che hanno caratterizzato il dibattito contemporaneo sull'argomento.



Il pensiero di Freud



Nel pensiero freudiano, il concetto di narcisismo fu sempre legato al punto di vista economico della teoria delle pulsioni, il che purtroppo si rivelò un ostacolo a una comprensione di tutte le sfaccettature cliniche del termine. Per comprendere bene questa problematica, occorre ripercorrere brevemente la storia delle varie fasi della teoria delle pulsioni secondo Freud [per un approfondimento, vedi il classico di E. Bibring del 1936 su Psicoterapia e Scienze Umane in due parti, 1990/2: 96-108, e 1990/3: 103-122; e inoltre H. Nagera (1969), I concetti fondamentali della psicoanalisi. Vol. 1: Pulsioni e teoria della libido, Boringhieri, 1972, pp. 26-38].



Originariamente Freud non parlò chiaramente di pulsioni, ma di affetti, cioè possiamo dire che all'inizio egli si mosse all'interno di una teoria degli affetti, i quali andavano difesi l'uno dall'altro (si ricordi che la parola "affetti" è una traduzione letterale dal tedesco e dall'inglese, dove significano "emozioni", "stati dell'umore", quindi in psicoanalisi ha un significato ben diverso da quello della lingua italiana). Allora Freud credeva ancora nella teoria della seduzione, e riteneva che un trauma sessuale esterno facesse insorgere un eccitamento sessuale a causa di una irritazione degli organi genitali: il conflitto nevrotico si originava per l'insorgere di desideri o rappresentazioni "incompatibili", inaccettabili all'Io, che li rimuoveva. L'organismo infatti secondo Freud era governato dalla tendenza a mantenere l'eccitamento al più basso livello possibile per evitare tensioni sgradevoli (un "principio di inerzia neuronica" [S. Freud, "Progetto di una psicologia" (1895), Opere di Sigmund Freud, 2: 195-284], per mantenersi privo di stimoli). Era il conflitto tra l'Io e tali rappresentazioni "incompatibili" quello che generava i sintomi sotto forma di compromesso. Più tardi, e molto chiaramente dopo l'abbandono della teoria della seduzione (quando cioè Freud si accorse che molti fatti traumatici e seduzioni non erano in realtà avvenuti, ma erano frutto della "fantasia" delle sue pazienti), necessariamente i traumi reali esterni persero di importanza nella genesi del conflitto nevrotico, e acquistarono importanza le fantasie, che venivano considerate come derivate appunto da "pulsioni" interne [vedi anche L. Friedman, L'anatomia della psicoterapia (1988), Bollati Boringhieri, 1993, cap. 15]. Nacque così, assieme al complesso edipico, la psicoanalisi vera e propria, segnata dall'importanza della teoria delle pulsioni.



In questo primo periodo venne reso esplicito il dualismo tra "pulsioni sessuali" e "pulsioni dell'Io", che inizialmente era solo implicito. Questa distinzione era dovuta ai biologi, e Freud la accettò. Essa presupponeva due tipi di pulsioni: le pulsioni di autoconservazione (o dell'Io) miranti alla preservazione dell'individuo (ad esempio la fame), e quelle sessuali per la conservazione della specie (ad esempio l'istinto sessuale). E' importante ricordare questa iniziale ipotesi di Freud sulla esistenza di due tipi diversi di pulsioni, perché vi torneremo a proposito della revisione teorica operata da Kohut molti decenni dopo col suo primo libro, quello del 1971 (ma non solo, possiamo anche dire che questa iniziale concezione di Freud su una maggiore diversificazione delle pulsioni, implicante cioè che non tutte le spinte motivazionali dipendono dalla libido o dalla aggressività, è interessante perché in un certo qual modo anticipa la revisione della teoria della motivazione oggi operata sia dai cognitivisti che dagli psicoanalisti ricercatori infantili, come Stern, Lichtenberg, ecc.). Secondo Freud ["Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni)". Lezione 32: Angoscia e vita pulsionale (1932). Opere di Sigmund Freud, 11: 191-218], in questa fase, le pulsioni dell'Io erano quelle che limitavano e rimuovevano, e le pulsioni sessuali quelle che venivano limitate o rimosse, cioè le due pulsioni erano in conflitto tra loro. I problemi con questa prima teoria duale delle pulsioni incominciarono a sorgere appunto quando Freud affrontò il problema del narcisismo.



A questo proposito bisogna fare una breve parentesi e ricordare che Freud aveva postulato diverse fasi dello sviluppo della pulsione sessuale, da lui chiamata anche "libido". Questa secondo Freud all'origine sarebbe autoerotica, cioè senza oggetto, in cui ogni pulsione parziale cerca soddisfacimento su parti del corpo (le zone "erogene" orale, anale, genitale). In seguito la pulsione diventa alloerotica, cioè con scelta oggettuale. Ma ad un certo punto Freud (1911) postula una fase intermedia tra le due, detta narcisistica, in cui il soggetto unifica le sue pulsioni sessuali parziali (fino ad allora autoerotiche) e prende se stesso come primo oggetto d'amore (ciò implica che nella successiva scelta oggettuale l'individuo sceglie, in via transitoria, un oggetto omosessuale, cioè con gli stessi genitali che ha amato, per poi passare alla definitiva scelta eterosessuale). Freud postula anche che, dopo la fase di investimento oggettuale, la libido può essere nuovamente ritirata sugli oggetti, in una fase che chiama "narcisismo secondario" (e ridefinisce quindi "narcisismo primario" il narcisismo prima descritto, di investimento sul soggetto).



Ricapitolando quindi gli stadi libidici, si hanno quattro fasi: 1) autoerotismo, 2) narcisismo primario, 3) amore oggettuale (prima omosessuale, poi eterosessuale), 4) narcisismo secondario.



Ecco dunque il punto che aprì dei problemi nella prima teoria delle pulsioni di Freud: se nella fase di narcisismo primario il soggetto ama se stesso (per poi nella fase successiva rivolgere la libido agli oggetti), diventa difficile distinguere in questa fase tra pulsioni dell'Io e sessuali, in quanto entrambe rivolte all'Io (si ricordi che Freud non faceva distinzione tra Io e Sé). Freud in questa fase volle comunque mantenere questa dualità delle pulsioni, spostando però la dicotomia, che venne ora riferita non tanto alla fonte quanto alla direzione della pulsione: concepì cioè due tipi di libido, quella narcisistica (rivolta all'Io) e quella oggettuale (rivolta agli oggetti, cioè alle altre persone). Voglio riportare per intero alcuni passaggi tratti da Introduzione al narcisismo del 1914 [Opere di Sigmund Freud, 7: 441-472], in cui si vede, a volte in complessi e oscuri passaggi, quali sforzi facesse per arrivare a costruire una soddisfacente teoria della motivazione. Freud disse che



Il narcisism non sarebbe una perversione, bensì il complemento libidico dell'egoismo della pulsione di autoconservazione, una componente del quale è legittimamente attribuita ad ogni essere vivente. (·) Ci formiamo così il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste e ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboide ha con gli pseudopodi che emette. (...) Grosso modo, osserviamo anche una contrapposizione tra libido dell'Io e libido oggettuale. Quanto più si impiega l'una, tanto più si depaupera l'altra. (...) Infine, per ciò che attiene alla differenziazione delle energie psichiche, siamo indotti a concludere che inizialmente, durante lo stadio narcisistico, esse coesistono e la nostra approssimativa analisi non riesce a far distinzione tra esse; solo quando avviene l'investimento d'oggetto diventa possibile discriminare un'energia sessuale - la libido - da un'energia delle pulsioni dell'Io.



(...): se attribuiamo all'Io un investimento libidico primario, che bisogno c'è di separare ancora una libido sessuale da un'energia non sessuale delle pulsioni dell'Io? Se postulassimo l'esistenza di un'unica energia psichica non ci risparmieremmo tutte le difficoltà di discernere fra energia delle pulsioni dell'Io e libido dell'Io, e fra libido dell'Io e libido oggettuale?



(...) La differenza della libido in una libido che pertiene all'Io e in una libido che è vincolata agli oggetti risulta come un corollario inevitabile dell'antica ipotesi che istituì la distinzione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io. (...)



Proprio perché in genere mi sforzo di tener lontano dalla psicologia tutto ciò che è estraneo alla sua natura, incluso il pensiero biologico, desidero a questo punto ammettere espressamente che l'ipotesi di una separazione fra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io - e cioè la teoria della libido - non poggia che in misura minima su basi psicologiche e ha invece nella biologia il suo supporto essenziale. Sarò quindi coerente abbastanza da lasciar cadere questa ipotesi sulle pulsioni nel caso in cui il lavoro psicoanalitico me ne indicasse una migliore. Ciò, finora, non è accaduto. Può darsi, dunque, che l'energia sessuale - cioè la libido - sia in ultima analisi e alla fin fine solo il prodotto di una differenziazione dell'energia che opera altrimenti nella psiche. Ma questa affermazione è priva di rilievo [Freud, 1914, pp. 444-449].



Come fa notare Nagera [cit., p. 37], nonostante una certa oscurità della distinzione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io, Freud in questa fase non se la sentiva di abbandonarla, anche perché si confaceva con le ipotesi biologiche dell'epoca, e anche con il senso comune che vuole differenziare per esempio tra l'istinto sessuale e la fame. Quello che è importante comunque è che Freud qui introdusse, con la famosa metafora dell'ameba e dei suoi pseudopodi, la differenziazione tra libido dell'Io e libido oggettuale: fu proprio questa concettualizzazione che, seppur basata sulla acuta osservazione di alcuni fenomeni clinici, doveva poi rivelarsi inadeguata per l'esageratamente ampia estensione che il termine "narcisismo" doveva assumere, e pesare molto sulla sua specificità. Infatti si postula che la libido nel narcisismo primario (quello che sta tra l'autoerotismo e l'amore oggettuale) viene investita sul soggetto, poi in una fase successiva sugli oggetti; ma in determinate condizioni, nel cosiddetto narcisismo secondario, dagli oggetti può essere ritirata sull'Io. Un tipico esempio, a noi clinicamente molto familiare, è il caso del "ritiro narcisistico", col quale il paziente, dopo un trauma emotivo o una ferita (detta appunto "narcisistica") si chiude in se stesso allontanandosi dagli altri, senza più voglia di interagire con loro (proprio come un'ameba che ritira i suoi pseudopodi). Ma questa è solo una delle molte condizioni "narcisistiche", che possono comprendere regressioni sia fisiologiche che patologiche, e una svariata serie di fenomeni clinici: sonno, autismo, schizofrenia, megalomania, paranoia, ipocondria, credenze magiche, animismo, onnipotenza del pensiero, malattie organiche, innamoramento, certi tipi di omosessualità o di altre perversioni, persino vanità, autoammirazione, autostima, "sentimento oceanico", e così via. In tutti questi casi la libido "si ritirerebbe dagli oggetti", ed avendo ciò una implicazione economica, vi sarebbe un effetto come di vasi comunicanti: più diminuiscono gli investimenti sugli oggetti, più possono aumentare i suddetti fenomeni narcisistici. Ovviamente sappiamo che ciò non è vero per alcuni fenomeni clinici: in altre parole, se si può essere d'accordo che quando abbiamo il mal di denti amiamo meno mostra moglie perché siamo presi dal dolore che ci affligge, oppure che quando dormiamo ci distacchiamo dal mondo esterno, è dimostrato che spesso sono proprio coloro che hanno una buona autostima quelli che amano di più gli altri e investono maggiormente negli oggetti esterni (hanno successo, traggono soddisfazione dal loro lavoro, ecc.). Troppi dunque appaiono essere i significati clinici di narcisismo da rendere utile questo termine se lo si lega strettamente alla teoria delle pulsioni e al punto di vista economico.



Cercando di riassumere quanto detto fin qui, e sintetizzando le altre osservazioni in questo scritto del 1914 sul narcisismo, Freud ha aggiunto i significati del termine relativi a tre fenomeni: A) il tipo di scelta oggettuale, B) un modo di relazione oggettuale, e C) l'autostima. In breve:



A) il tipo di scelta oggettuale: Freud scrisse che





L'essere umano può amare



1) secondo il tipo narcisistico [di scelta oggettuale]: a) quel che egli stesso è (cioè se stesso); b) quel che egli stesso era; c) quel che egli stesso vorrebbe essere; d) la persona che fu una parte del proprio sé.



2) secondo il tipo [di scelta oggettuale] per appoggio: a) la donna nutrice; b) l'uomo protettivo (Freud, 1914, p. 460).





B) un modo di relazione oggettuale: narcisismo vuol dire ritiro dagli oggetti, come nella schizofrenia o nell'autismo.



C) autostima: anche se questo aspetto fu toccato da Freud solo marginalmente, è divenuto oggi il significato prevalente di narcisismo. A questo proposito, bisogna segnalare la proposta di Joffe & Sandler del 1967 ["Alcuni problemi concettuali riguardanti i disturbi narcisistici", in Sandler J. et al., La ricerca in psicoanalisi, vol 1. Boringhieri, 1980, cap. 11, pp. 184-196] che cercano di risolvere queste difficoltà concettuali mantenendo per il narcisismo il significato di autostima, ma eliminando le implicazioni pulsionali, e proponendo una concettualizzazione in termini di stato ideale dell'Io.



Ricapitolando e semplificando dunque [per una discussione più approfondita del concetto di narcisismo, vedi lo scritto di S. Pulver del 1970 "Narcisismo: il termine e il concetto", in Psicoterapia e Scienze Umane, 1980, 2: 42-60], Freud in Introduzione al narcisismo, che è uno dei suoi più importanti contributi teorici, utilizzò il termine "narcisismo" per almeno quattro situazioni diverse: 1) una perversione sessuale; 2) uno stadio del normale sviluppo della "libido", cioè della sessualità (la sessualità e l'aggressività - rispettivamente Eros e Thanatos - furono concepite da Freud come le due pulsioni fondamentali dell'essere umano); 3) una caratteristica della schizofrenia, nella quale la libido verrebbe ritirata dal mondo esterno e investita sul soggetto; 4) un tipo di scelta dell'oggetto d'amore, nella quale l'oggetto verrebbe scelto in quanto rappresenta quello che il soggetto era o vorrebbe essere (si ricordi che "oggetto" nel linguaggio psicoanalitico equivale a "persona").



Già da queste diverse definizioni è possibile intravvedere la complessità, per non dire la confusione, che circondò questo concetto negli anni successivi, e che per certi versi permane tuttora. Più problematica di tutte forse fu l'equiparazione tra narcisismo e schizofrenia: secondo questa primitiva concezione freudiana, nella nevrosi la libido verrebbe investita sugli oggetti, mentre nelle psicosi schizofreniche (da Freud chiamate appunto "nevrosi narcisistiche") la libido verrebbe investita sul soggetto, depauperando così gli oggetti di investimento libidico, come accadrebbe ad esempio nell'autismo. Come ho accennato prima, questa concezione della libido che si distribuirebbe in "vasi comunicanti" si rivelò poi non reggere al confronto con la clinica, poiché non rendeva conto della possibilità di poter investire nel mondo esterno (amare, avere successo, ecc.) e contemporaneamente mantenere una buona autostima. Come vedremo, il primo Kohut [Narcisismo e analisi del Sé (1971). Boringhieri, 1976] tentò di risolvere questo problema teorico postulando l'esistenza di due "linee di sviluppo" della libido, rispettivamente di libido oggettuale e di libido narcisistica, non più strettamente collegate tra loro come vasi comunicanti ma indipendenti l'una dall'altra. Come ho detto prima, è interessante questa operazione fatta da Kohut nel suo primo libro del 1971, in quanto per certi versi sembra che proponga un ritorno alla prima fase della teoria delle pulsioni di Freud, quella che proponeva una dualità di pulsioni sessuali e di autoconservazione (o dell'Io). Ma Kohut, nei suoi contributi successivi [La guarigione del Sé (1977), Boringhieri, 1980, e La cura psicoanalitica (1984). Boringhieri, 1986], modificò le sue concezioni allontanandosi ulteriormente dall'ortodossia freudiana, e affermando che esiste una sola libido, quella "narcisistica", che grazie a rapporti empatici con le figure genitoriali (definiti "oggetti-Sé") trasformerebbe il Sé in forme meno arcaiche e via via più mature.



Il pensiero di Kohut



Ma vediamo brevemente come Heinz Kohut concepisce la psicodinamica dei disturbi narcisistici. Kohut [1971, cit.] incominciò col notare due particolari tipi di transfert nei pazienti narcisistici, che chiamò transfert "speculare" e transfert "idealizzante". Nel primo il paziente esprimerebbe il bisogno di essere ammirato e "rispecchiato" dal terapeuta, mentre nel secondo esprimerebbe il bisogno complementare di idealizzare e ammirare il terapeuta stesso. Egli poi postulò che il compito del terapeuta non è quello di frustrare questi bisogni, magari interpretandoli come difese, ma quello di accettarli in quanto tali e di corrispondere empaticamente ad essi per permettere al Sé di svilupparsi. Infatti secondo Kohut la genesi dei disturbi narcisistici va ricercata in un atteggiamento "poco empatico" da parte dei genitori che ha provocato l'arresto dello sviluppo a un "Sé grandioso arcaico", del quale appunto i due tipi di transfert prima menzionati sarebbero la riattivazione nel transfert. E' solo quindi permettendo al paziente di ripercorrere queste tappe evolutive attraverso un rapporto empatico col terapeuta, il quale ammira il paziente e permette a sua volta di farsi ammirare da lui, che il paziente riesce gradualmente a mitigare o modificare il suo Sé grandioso attraverso quelle che Kohut chiama "internalizzazioni trasmutanti".



Già da questi pochi accenni si può intravedere la radicale diversità della teoria kohutiana da quella freudiana classica. Kohut concepisce il Sé come qualcosa che dipende dall'ambiente, che può farlo crescere o arrestare a seconda di determinate proprie caratteristiche (come l'empatia dei genitori); il conflitto è quindi tra il Sé e gli oggetti, e non è intrapsichico, come vuole la teoria classica che postula una conflittualità tra Io, Es e Super-Io (in questo senso si può dire che Kohut appartenga alla scuola della "teoria delle relazioni oggettuali", secondo la quale l'ambiente ha una grossa responsabilità nella costituzione del soggetto). Il Sé di Kohut quindi è un'entità priva di conflitto in se stessa, che appartiene ad un livello di astrazione completamente diverso da quello della struttura tripartita Io/Es/Super-Io, poiché non viene concepito come una funzione dell'Io secondo la definizione di Hartmann [Considerazioni sulla teoria psicoanalitica dell'Io (1950). In: Saggi sulla Psicologia dell'Io. Boringhieri, 1976, cap. 7, p. 143], il quale suggerì una accezione ristretta del Sé come "rappresentazione del Sé", cioè della persona, da parte dell'Io.



Queste concezioni hanno profonde implicazioni. Infatti, il concetto di conflittualità intrapsichica, che è centrale in psicoanalisi, è strettamente legato a quello delle pulsioni, cioè all'Es, le quali appunto entrano in conflitto con altre strutture psichiche, come ad esempio il Super-Io. Ed è per questo che Kohut coerentemente nega l'esistenza autonoma delle pulsioni, e afferma che le loro manifestazioni (aggressività, sessualità, il complesso di Edipo, e così via fino a comprendere lo stesso conflitto intrapsichico) sono già di per sé dei "prodotti di disintegrazione" della libido narcisistica nel momento in cui il soggetto (il Sé) entra in un rapporto non empatico o frustrante con le figure parentali (gli oggetti).



Non è possibile in questa sede procedere oltre nella disamina teorica del concetto di narcisismo secondo Kohut. Basti ricordare che secondo molti autori Kohut non è riuscito a fondare un sistema teorico coerente e realmente alternativo a quello della psicoanalisi classica, e che la sua posizione, per la implicita negazione della centralità del conflitto intrapsichico, rischia di rappresentare un ritorno a psicologie pre-psicanalitiche come quelle di Janet e Charcot [vedi M. Eagle (1984), La psicoanalisi contemporanea. Laterza, 1988, cap. 5, 6, e 12; M. Eagle, "Cambiamenti clinici e teorici in psicoanalisi: dai conflitti ai deficit e dai desideri ai bisogni", Psicoterapia e Scienze Umane, 1990, 1: 33-46; per una discussione del concetto di Sé, vedi G. Jervis, "Significato e malintesi del concetto di 'Sé'", in M. Ammaniti (a cura di), La nascita del Sé. Laterza, 1989]. Nonostante queste riserve, quasi tutti però sono altrettanto concordi nel ritenere che molte intuizioni cliniche di Kohut costituiscono un notevole progresso nella nostra comprensione della terapia del narcisismo e dei disturbi gravi di personalità in generale.



Il pensiero di Kernberg



Otto Kernberg [Sindromi marginali e narcisismo patologico (1975), Boringhieri, 1978; Disturbi gravi della personalità (1984), Bollati Boringhieri, 1988, cap. 11-14; ecc.], dal canto suo, concepisce invece la personalità narcisista in modo più tradizionale. Egli, anche se è d'accordo nel ritenere che la patologia si incentri attorno a un disturbo della regolazione dell'autostima e alla persistenza di un Sé grandioso, non ritiene che questo sia la riattivazione di una fase dello sviluppo infantile normale, ma patologico. Infatti, dove Kohut parla di "Sé grandioso arcaico", Kernberg non a caso parla di "Sé grandioso patologico", per cui ne consegue che in terapia esso non deve essere favorito o lasciato crescere, ma deve essere interpretato nelle difese caratteriali narcisistiche. Per fare un esempio, una eccessiva idealizzazione del terapeuta potrebbe non essere, come vuole Kohut, un sentimento "normale", ma la difesa da una aggressività contro di lui e/o dalla proiezione di questa che genera poi una paura di lui (risultante quindi da una conflittualità intrapsichica). Per Kernberg (il quale tra l'altro, non si dimentichi, seguendo Hartmann [1950, cit.] concepisce il Sé come "rappresentazione del Sé", cioè come una funzione dell'Io, e non come una entità sovraordinata e autonoma) il futuro narcisista, attorno ai 3-5 anni, invece di integrare realisticamente le immagini buone e cattive del Sé e dell'oggetto in rappresentazioni coerenti e stabili, mette insieme le rappresentazioni positive ed idealizzate (sia del Sé che dell'oggetto) formando conseguentemente un Sé grandioso patologico, cioè un'idea irrealistica e idealizzata di sé, la quale ovviamente è fragilmente mantenuta per cui il paziente ha sempre bisogno di rinforzi esterni per la sua autostima ed è soggetto a continue disillusioni. Quello che favorisce (ma non determina, come vorrebbe Kohut) la formazione di questo Sé grandioso patologico è l'atteggiamento di genitori freddi, distaccati, ma nel contempo pieni di esagerate ammirazioni e aspettative dal bambino. La vera possibile causa della formazione di questo Sé grandioso patologico è, secondo Kernberg, una eccessiva pulsione aggressiva, che impedirebbe alle rappresentazioni positive di integrarsi normalmente con quelle negative, portando così alla formazione di immagini scisse, eccessivamente idealizzate e grandiose, o eccessivamente negative. La psicodinamica a questo livello è molto simile a quella della personalità borderline, che secondo Kernberg appunto ha una genesi qualitativamente simile a quella narcisista, e la cui organizzazione intrapsichica è simile in molti disturbi di personalità (rimando quindi alle mie rubriche sul disturbo borderline nei numeri 55/1990 e 56/1991 del Ruolo Terapeutico, e al manuale di tecnica psicoterapeutica per i borderline di Clarkin, Yeomans & Kernberg, 1999).



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Nota:


 


    Per una versione ampliata e aggiornata di questo lavoro, vedi Migone P., Terapia psicoanalitica. Milano: Franco Angeli, 1995, cap. 10.



 


 



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