da tesionline
INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce come approfondimento attorno al concetto psicoanalitico di “amore fusionale”. Questo tipo di amore si trova descritto in letteratura, non solo psicoanalitica, come uno stato di perdita dei confini psichici tra sé e l’altro, fino a un sentimento di fusione interindividuale che la seconda topica freudiana riconduce simbolicamente allo stato primigenio dello psichismo: l’unione tra il feto e la madre nella vita intrauterina. Lo stato a cui ci si riferisce è esperienza comune nella vita adulta nelle prime fasi dell’innamoramento, in cui il partner è idealizzato secondo meccanismi psichici descritti già da Freud in Introduzione al narcisismo come in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Rispondendo a Rolland riguardo alla sua lettera sul sentimento religioso, in Il disagio della civiltà Freud collega lo stato d’innamoramento come perdita soggettiva dei confini psichici e sensazione di unione col mondo, a quel “sentimento oceanico” che accomuna fenomeni estatici, religiosi e artistici. Sentimento simile sembra guidare anche i gruppi. Ciò che a livello psichico queste situazioni hanno in comune tra loro, e che le collega allo stato di vita intrauterina, è la regressione a una posizione in cui i confini tra Io e non Io non vengono riconosciuti, e l’Ideale dell’Io risulta tornare a combaciare con l’Io stesso.
Nel periodo dell’innamoramento l’amante viene idealizzato, l’Ideale dell’Io del soggetto è proiettato su di esso, e se l’amore è corrisposto il riavvicinamento tra Io e Ideale porta a uno stato di completa beatitudine, alla sensazione di avere (ed essere) tutto ciò che si desidera. Il narcisismo è ritirato dal mondo esterno, ne consegue un isolamento che può essere più o meno rigido e prolungato. Le situazioni in cui questo isolamento non si limita alla prima fase d’innamoramento, ma si prolunga nel tempo fino a compromettere le altre aree della vita e perfino la felicità stessa del soggetto, si configurano come patologiche. Questo tipo di relazioni si incontrano nella clinica. E in non rari casi di cronaca portano a macabri epiloghi. L’oggetto d’amore è considerato parte del sé, come se a suo tempo non fosse intervenuta sufficiente funzione paterna a separare madre e bambino, introdurre i limiti psichici necessari a separazione ed individuazione come soggetto.
L’amore fusionale sembra così seguire una pulsione di morte, tendere all’indifferenziato. Ma è questo l’unico destino della fusionalità? Con l’obiettivo di rispondere a questa domanda cercherò anzitutto, nella prima parte dell’elaborato, di tracciare un percorso che chiarisca il ruolo della fusionalità e delle dinamiche ad essa associate nella teoria psicoanalitica. Approfondirò dunque la letteratura riguardante l’esperienza simbiotica originaria di unione con la madre, i destini del narcisismo e dell’Ideale dell’Io connessi a questa simbiosi originaria come anche ad una ritrovata esperienza fusionale nella vita adulta, e le dinamiche di stabilimento e dissolvimento secondario dei confini dell’Io, che nella fusionalità permettono di includere nel proprio senso di sé l’altra persona. A tal fine, dopo un breve capitolo introduttivo (capitolo 1) che cerca di inquadrare la fusionalità nel pensiero freudiano riprendendo il concetto di «sentimento oceanico» ed accennando al problema della presenza o meno dell’oggetto nel narcisismo primario, considererò la letteratura freudiana e post-freudiana inerente lo stato simbiotico originario e la graduale formazione del sé come separato dall’oggetto (capitolo 2). A questo livello emergerà l’importanza attribuita dagli Autori alle cure materne, anzitutto per assicurare una completa soddisfazione della fusionalità in un momento in cui è reale bisogno alla sopravvivenza fisica e psichica del bambino che non ha ancora sviluppato (Hilflosigkeit freudiana) i suoi apparati per l’adattamento, ed in secondo luogo in quanto necessarie (soprattutto l’handling, le cure corporee) a favorire nel bambino un progressivo spostamento della carica libidica dal centro del corpo alla sua periferia. Tale spostamento, si vedrà, risulterà requisito essenziale ad una primitiva forma di integrazione del sé, e dunque alla formazione dei confini, prima corporei, poi psichici (capitolo 4). Inoltre emergerà come a partire dai lavori di Bick (1968) e Meltzer (1975), il ruolo delle stimolazioni a livello della superficie epidermica si sia evidenziato necessario alla costituzione di un primitivo senso d’ integrazione del sé e dell’oggetto come contenuti nelle rispettive pelli, come oggetti dunque tridimensionali. L’acquisizione psichica di questa “tridimensionalità” si accompagna a quella di uno “spazio interno”, che sarà posta a necessaria condizione ai movimenti identificatori e proiettivi della fase schizo-paranoide kleiniana. Proseguirò dunque riepilogando alcuni lavori che, sulla scia di questa concezione, hanno proposto una fase precedente la schizo-paranoide kleiniana e requisito di quest’ultima, in cui un primitivo senso di sé nasce dalle ritmiche esperienze di contatto e dalle sensazioni, soprattutto riferite alla superficie epidermica. Emergerà così un importante cambiamento di paradigma nelle teorie psicoanalitiche dello sviluppo: la visione “diacronica”, a “fasi” (vedi anche il modello freudiano), ha ceduto il passo a una “sincronica”, in cui le “posizioni”, pur originando da sequenziali stadi dello sviluppo infantile, non vengono idealmente “superate” bensì rimangono attive come modalità sempre possibili considerato parte del proprio sè, e che la sua vita indipendente ne risulti quindi inaccettabile di rapporto con l’oggetto, di acquisizione dell’esperienza, e di comunicazione con l’altro (come si approfondirà nel capitolo 4 e 6). Così anche la “posizione” primigenia, contiguo-autistica o fusionale, passerà dall’essere considerata relativa ad una fase infantile di cui è necessario il superamento, all’essere modalità sempre possibile di acquisizione dell’esperienza, di comunicazione e di rapporto con l’oggetto. Proseguirò nel capitolo 3 considerando le dinamiche narcisistiche e dell’Ideale coinvolte nell’amore fusionale. Il recupero della letteratura freudiana e post-freudiana permetteranno di sottolineare come simbiosi infantile e innamoramento adulto siano accomunati dalla (ri)unione di Io ed ideale. Anche altre condizioni però, tra cui l’analisi, danno luogo a simili proiezioni dell’Ideale sull’oggetto (in questo caso il terapeuta) dalla vicinanza col quale è possibile ottenere un più o meno illusorio recupero narcisistico. Per quanto riguarda i confini dell’Io (capitolo 4) dalla cui flessibilità (Federn) dipende la possibilità d’includere, nella fusionalità, un’altra persona nel proprio senso di sé, mi appoggerò alla concezione di Fonda (Cfr. capitolo 4.2) che, seguendo l’idea della contemporaneità tra “posizioni”, parla di diversi “livelli” dei confini dell’Io, corrispondenti ad aree del sé che funzionano su modalità diverse, ciascuno dunque caratterizzato da un diverso grado di solidità o permeabilità. Verrà così introdotta l’idea che la fusionalità abbia un ruolo fondamentale nella comunicazione: essa si fa per l’inconscio canale fisiologico attraverso cui comunicare in corto circuito con l’esterno, saltando l’Io (Fonda P., 2000b), a questo livello potrà cioè avvenire la fluttuazione di elementi sensoriali e primitivi, che andranno a costituire lo sfondo, il colore di base degli affetti, su cui poi si potranno basare le comunicazioni agli altri livelli, necessario affinché la comunicazione si possa dire pienamente umana. La seconda parte dell’elaborato andrà paragonando, sulla base dei concetti definiti dalla prima, tre “luoghi chiusi” della fusionalità. o meglio non pensabile. A partire da un recupero degli scritti di Marion Milner sul ruolo della cornice e dell’illusione nella regressione creativa (capitolo 5), considererò la stanza d’analisi, la sala cinematografica e la “stanza degli amanti”, come “luoghi chiusi” protetti dalle rispettive cornici, in cui si rende possibile un recupero dell'illusione di continuità Io-mondo, che riapre la possibilità di un rapporto creativo con gli oggetti. Riguardo alla stanza d’analisi (capitolo 6) cercherò di sottolineare innanzitutto il ruolo di cornice degli elementi costanti, concreti, non processuali del setting, che forniscono ancoraggio per la modalità contiguoautistica del paziente e così la sicurezza necessaria a stabilire l’affidabilità di base. Inoltre, proponendo una riconsiderazione di certo transfert estremamente regressivo nel paziente, come di certo controtransfert sensoriale dell’analista, cercherò di mettere in luce come questi possano incontrarsi in maniera creativa per costituire un’area pre-simbolica, sensoriale, di esperienza comune, e dunque un luogo di comunicazione, che in certe fasi dell’analisi può essere il solo possibile, tra paziente ed analista. Da questo livello, che favorisce nel paziente il recupero di configurazioni emotive arcaiche, l’analista avrà poi la possibilità di recuperare contenuti per traghettarli verso la simbolizzazione, restituendoli infine come interpretazione al paziente. Fondamentale scopo dell’analisi, in questo senso, diviene il favorire l’equilibrio e la comunicazione dialettica (ossia il passaggio dei contenuti) tra le tre posizioni (F, SP e D).
Si considererà infine come, anche a livello della “teoria della tecnica”, si sia assistito ad un cambio di paradigma simile a quello visto per le teorie dello sviluppo: la fusionalità, da caratteristica di una fase iniziale dell’analisi (Grunberger, Ferenczi, Federn), di cui favorire il superamento in un secondo momento, è stata riletta come modalità sempre possibile di acquisizione dell’esperienza, rapporto con l’oggetto e comunicazione nel paziente, ma anche nell’analista, con importanti risvolti terapeutici (capitolo 6) ad esempio nell’empatia. Le dinamiche regressive e creative in cui è coinvolto lo spettatore nella sala cinematografica saranno luogo di un approfondimento altrettanto interessante (capitolo 7). Cercherò qui di mettere in luce come le cornici, in questo caso rappresentate dal dispositivo (condizione fisico-psicologica dello spettatore immobile al buio davanti all’immagine in movimento), e dallo schermo stesso come superficie limitata e delimitante di uno spazio altro da quello dello spettatore, creato ex novo dal film, siano condizione per la possibilità di un’illusione creativa, che è quella tipica del cinema. Ad un livello si ritrova una regressione al narcisismo primario in cui lo schermo si fa paragone dello schermo del sogno (Lewin), nell’altro un abbandono a dinamiche proiettive e identificatorie che danno allo spettatore la possibilità di una “realizzazione allucinatoria” dei bisogni latenti, paragonabile a quella del sogno stesso. Proporrò qui che la funzione dello schermo sia essenziale per mantenere intatta la posizione protetta dello spettatore: lo schermo verrà paragonato in questo senso ad uno scudo dalla realtà (soprattutto da quella pulsionale). Verranno inoltre accennati gli interessanti studi (Lavallée, Tisseron, Berton) che pongono un paragone tra pellicola cinematografica e “pellicola del sogno” (Anzieu). Infine su questo paragone s’ inserirà una considerazione personale su come la pellicola possa farsi “seconda pelle” o “rammendo della superficie sensoriale danneggiata”, allo stesso modo in cui si dirà per il contenimento contiguoautistico da parte del setting in analisi. Il paragone dei due “luoghi della fusionalità” precedentemente considerati con la “stanza degli amanti” (capitolo 8) intesa non solo come spazio fisico in cui i due innamorati si chiudono per trovare intimità, ma come metonimia di tutto il quadro intra-interpsichico che si viene a creare nell’innamoramento, fornirà ulteriori spunti riflessivi specialmente sul ruolo dell’ambiente sensoriale, che ricreando le condizioni delle primitive comunicazioni madre-bambino (revocando il «divieto primario di toccare» e ponendo alla ribalta il ruolo tattile anche della comunicazione vocale e visiva), e rafforzato in questo dal ripristino dell’iniziale unione tra Io ed ideale, sarà proposto facilitare il riemergere di altrettanto primitive configurazioni affettive, fornendo così la possibilità di una vera ri-costruzione del sé. Considererò infine in appendice, per completare la riflessione sulla “stanza degli amanti”, tre opere cinematografiche: Ultimo tango a Parigi (1972), L’Assedio (1999) e The Dreamers (2003), scelte tra le molte che presentano il tema di un amore fusionale unitamente a quello di una situazione a valenza uterina e potenzialmente claustrofobica. Ritengo che un confronto tra questi tre film, dello stesso regista, si possa accompagnare alla riflessione sulle diverse valenze della fusionalità.
PARTE PRIMA: FUSIONALITÀ, IL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOANALISI
Capitolo I: Simbiotico – fusionale, le origini
Il concetto di amore simbiotico-fusionale, nella letteratura psicoanalitica, compare in riferimento alle prime fasi di vita dell'uomo, e precisamente alla particolare condizione di compenetrazione che si mantiene tra bambino e madre nel primo periodo della vita extrauterina. Già Freud aveva evidenziato come con la nascita non sembri determinarsi a livello psichico una cesura così netta rispetto alla vita intrauterina, e questo grazie allo specifico ruolo svolto dalle cure materne: […] la madre, la quale ha appagato fin dall’inizio [cors. dell’Autore] tutti i bisogni del feto mediante le organizzazioni del suo corpo, prosegue la sua funzione in parte con altri mezzi anche dopo la nascita. Tra la vita intrauterina e la prima infanzia vi è molta più continuità di quel che non ci lasci credere la impressionante cesura dell’atto della nascita. L’oggetto materno psichico sostituisce per il bambino la situazione fetale biologica. (Freud S., 1925, trad. it. Inibizione, sintomo e angoscia, vol' 10, p. 286)
Alla luce degli studi successivi, questa sostituzione risulta assolutamente necessaria al piccolo d.uomo, venuto al mondo così prematuro, per poter entrare a poco a poco nella realtà, nel rispetto dei tempi necessari alla formazione graduale delle strutture psichiche e degli apparati per l'adattamento. Tra i primi studi sistematici appaiono quelli di Therese Benedek (1949), che descrive nei primi mesi di vita una fase simbiotica dell'unità duale madre-bambino, in cui il bambino si comporta e agisce come se egli e la madre fossero un sistema onnipotente, un.unità duale racchiusa entro un confine comune e all'interno della quale la consapevolezza dell'oggetto che soddisfa i bisogni si formerà nel bambino solo gradualmente. Tale concezione è ripresa e approfondita da Margaret Mahler, che propone il concetto di “fase di simbiosi normale” (1968), come dalla Jacobson (1954), dal concetto di “diade” in Spitz (1958), quello di “unità primitiva madre-bambino” in Winnicott (1960), dallo “stato elazionale” di Grunberger (1971). Diversi Autori hanno dato nomi diversi, non sempre partendo dai medesimi presupposti, e quindi riferendo il concetto di volta in volta alle relative teorie. I punti in comune sembrano comunque rimanere: la dipendenza sia fisica che psichica dalla madre per la sopravvivenza, il bisogno di vicinanza, una sensazione di unità monadica chiusa autosoddisfacente, che non ha percezione dei suoi limiti (per quanto riguarda il bambino naturalmente) e un conseguente sentimento di onnipotenza e illimitatezza. Citando Margaret S. Mahler: L’elemento essenziale della simbiosi è la fusione allucinatoria e delirante, somatopsichica e onnipotente, con la rappresentazione della madre, e in particolare l’illusione di un confine comune a due individui che sono effettivamente e fisicamente separati. (Mahler M.S., 1968, trad. it. Le psicosi infantili, 1976, p. 23)
Freud nella seconda topica ha riferito questo sentimento di assenza dei confini dell'Io e di contatto con l' assoluto all'unione, che ancora persiste in questa fase, tra l'Io e l'Es (Freud S., 1921; 1915), nonché all'assenza di distinzione tra Io e mondo esterno (Freud S., 1914 , 1929). Com.è noto in occasione della riformulazione della teoria dell'apparato psichico, anche in conseguenza della nuova teoria del dualismo pulsionale, Freud sembra ritrattare la distinzione tra autoerotismo e narcisismo primario per ricollocare entrambe ad uno stadio evolutivamente precedente a quello della formazione dell'Io. Più avanti, ne Il disagio della civiltà (Freud S., 1929), così risponderà alla lettera di Rolland sul “sentimento oceanico”, con cui il poeta intende quella sensazione di unione con l'assoluto che sarebbe alla base della religiosità: […] Questo senso dell’Io, presente nell’adulto, non può essere stato tale fin dall’inizio. […] Il lattante non distingue ancora il proprio Io dal mondo esterno in quanto fonte delle sensazioni che lo subissano. Apprende a farlo gradualmente […] In origine l’Io include tutto, e in seguito separa da sé un mondo esterno. Il nostro presente senso dell’Io è perciò soltanto un avvizzitoresiduo di un sentimento assai più inclusivo, anzi di un sentimento onnicomprensivo che corrispondeva a una comunione quanto maiintima dell’Io con l’ambiente. Se possiamo ammettere che – in misura più o meno notevole – tale senso primario dell’Io si sia conservato nella vita psichica di molte persone, […] i contenuti rappresentativi adesso conformi sarebbero precisamente quelli dell’illimitatezza e della comunione con il tutto, ossia quelli con cui il mio amico spiega il sentimento “oceanico”. (Freud S., 1929, trad. it. Il disagio della civiltà, OSF, vol' 10, p. 559 e 561)
Si è stabilito qui un importante paragone: quello tra le prime fasi della vita psichica e un possibile ritorno, nell'età adulta, a quello stato psichico d'indifferenziazione tra Io e Es che starebbe alla base dei sentimenti di assoluto. Tutto ciò ha a che fare con ciò che Freud ha chiamato narcisismo e con l'istanza ad esso collegata: l'Ideale dell'Io.
1.1 Il narcisismo e il problema dell’oggetto nella letteratura freudiana
Il concetto di narcisismo è nel pensiero psicoanalitico contemporaneo, uno dei concetti fondamentali ed insieme più critici. Come molti ricordano Freud fu profetico quando, nel primo saggio dedicato a questo complesso argomento, scriveva «Ho l'impressione che ad uno studio diretto del narcisismo si oppongano speciali difficoltà» ( Freud S., 1914, p. 452 ). In effetti le speciali difficoltà che a tutt.oggi sono al centro di dibattito e che impediscono una definizione univoca del concetto tra le diverse scuole, sembrano avere origine già allora, innanzitutto nei rimaneggiamenti che lo stesso Freud operò sul concetto tra la prima e la seconda topica. Anzi, molti fanno notare come l' Introduzione al narcisismo e le complesse tematiche da questo saggio introdotte, siano state proprio il motore degli sconvolgimenti che la teoria subì negli anni successivi. Ad esempio il concetto di libido dell'Io, con cui si intendevano le pulsioni sessuali che nella fase narcisistica si rivolgevano all'Io come oggetto, mise in crisi la precedente separazione effettuata tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, tanto da far dichiarare a posteriori allo stesso Freud di aver in quel periodo effettuato un «apparente avvicinamento alla concezione junghiana» (Freud S., 1922a, p.460) del monismo pulsionale. Com.è noto poco dopo (Cfr. Freud S., 1920) fu introdotto il nuovo dualismo, in cui pulsioni di autoconservazione e sessuali venivano a confluire nelle pulsioni libidiche, andando ad opporsi alle pulsioni di morte. Dunque il concetto di Narcisismo si pone a cavallo tra le due topiche e tra le due concezioni del dualismo pulsionale, e la sua definizione sembra variare più volte all'interno della letteratura freudiana. Inizialmente scoperto in collaborazione con Abraham (Cfr. Freud S., 1910), a seguito dei problemi d.instaurazione del transfert negli psicotici e ai loro deliri di grandezza, fu da Freud ipotizzato in un primo momento essere una fase dello sviluppo psicosessuale normale. Il bambino passerebbe da uno stadio autoerotico, in cui le pulsioni si soddisferebbero anarchicamente a livello delle diverse zone erogene sul corpo, a una fase di “narcisismo” in cui le pulsioni raggiungerebbero una prima unificazione attorno a un oggetto totale identificabile nella propria stessa persona. Ciò implica una duplice importanza per questa tappa dello sviluppo: primo unificatore delle pulsioni verso un oggetto totale, il narcisismo si configurerebbe come ponte tra la precedente disorganizzazione pulsionale e la scelta oggettuale alloerotica. In secondo luogo, come suggeriscono Laplanche e Pontalis, il fatto che l'Io sia assunto qui ad oggetto d.amore, induce a far coincidere questa fase con i momenti fondanti dell'istanza egoica (Laplanche J. e Pontalis J.-B., 1967). Le cose però con l'introduzione della seconda topica sembrano complicarsi non poco.
Freud sembra innanzitutto ripensare la differenza tra autoerotismo e narcisismo: «Abbiamo preso l'abitudine di chiamare narcisismo l'antica fase evolutiva dell'Io durante la quale le pulsioni sessuali di quest.ultimo si soddisfano autoeroticamente» (Freud S., 1915, p.27); «Così dunque l'autoerotismo andava inteso come l'attività sessuale che caratterizza lo stadio narcisistico della collocazione libidica.» (Freud S., 1915-17, p.567). In concomitanza negli scritti dello stesso periodo avviene il ricollocamento di entrambi a uno stadio antecedente alla formazione dell'Io, il cui archetipo sarebbe la vita intrauterina: «Siamo costretti a supporre che non esista nell'individuo sin dall'inizio un.unità paragonabile all' Io; l'Io deve ancora evolversi. Le pulsioni autoerotiche sono invece assolutamente primordiali; qualcosa – una nuova azione psichica – deve dunque aggiungersi all'autoerotismo perché si produca il narcisismo.» (Freud S., 1914, pp. 446447) «Originariamente, ai primordi della vita psichica, l'Io è investito dalle proprie pulsioni e parzialmente capace di soddisfarle su sé medesimo. Chiamiamo questo stadio «narcisismo», e questo modo di ottenere il soddisfacimento «autoerotico». In questa fase il mondo esterno non è investito di interesse (genericamente inteso) e appare indifferente ai fini del soddisfacimento.» (Freud S., 1915, p. 30). Riguardo al problema dell'oggetto si considera come, ritrattando il nuovo dualismo la differenza tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, la teoria dell'appoggio che su questa differenza trovava fondamento sembri perdere in solidità. Se prima l'oggetto era presente da principio per le sole pulsioni di autoconservazione, ed erano queste a indicare la via dell'oggetto alle pulsioni sessuali che vi si appoggiavano, ora è introdotta l'idea che in un primo stadio, comprensivo di fase autoerotica e narcisismo, l' oggetto sia assente e che solo in seguito, contestualmente alla formazione dell'Io tramite identificazioni, sia possibile parlare di oggetto, all'interno di una nuova fase narcisistica “secondaria” in cui la libido, ora sottratta agli oggetti, darebbe luogo al “narcisismo dell'Io” (Cfr. Freud S., 1922b). Molteplici furono le critiche della psicoanalisi post-freudiana poste a questa presunta anoggettualità della prima vita extrauterina (Cfr. capitolo 2.2). Ma a ben vedere sono molteplici anche le interpretazioni che allo stesso pensiero di Freud in proposito vengono date dalla letteratura a lui successiva. Mi concentrerò nei capitoli seguenti sulle questioni che maggiormente interessano il tema dell'elaborato, ovvero:
-la formazione dell'Io nel bambino all'interno del rapporto con la madre e successivamente con gli oggetti,
-la formazione dell' “Ideale dell'Io” come residuo “sano” del narcisismo,
-le dinamiche di dissoluzione secondaria dei confini dell' Io, che si ritengono essere alla base dei sentimenti di fusionalità.
Capitolo II
La nascita dell'Io all'interno del rapporto con la madre e successivamente con gli oggetti
2.1 La nascita dell’Io nella letteratura freudiana
Da un punto di vista storico, come fanno notare Laplanche e Pontalis (1967), nella teoria psicoanalitica «il concetto topico dell'Io è il punto terminale di una nozione costantemente presente in Freud fin dalle origini del suo pensiero». In qualche forma l'Io è presente nell'opera freudiana fin dal principio, ma è con la “svolta del 1920” che esso assume la connotazione di vera a propria istanza, definendosi nell'accezione specificamente psicoanalitica con cui è pervenuto al pensiero contemporaneo. Nel saggio del 1922 L.Io e l'Es Freud pone accanto alla precedente concezione di Io come superficie dello psichismo differenziata adattivamente a seguito del contatto con la realtà, una formulazione complementare, che inquadra la genesi dell'Io, ora come istanza psichica, all'interno delle dinamiche libidiche di nuova teorizzazione, precisamente inerenti ai concetti di narcisismo e di identificazione.
2.1.1 Implicazioni del concetto di narcisismo nella teorizzazione della genesi dell'Io
L'idea della necessità di una nuova formulazione della genesi dell'Io sembra nascere dal dubbio introdotto da Freud già in Introduzione al narcisismo: e
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sabato 27 marzo 2010
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