mercoledì 17 ottobre 2007

Personalità

Il termine personalità deriva dalla parola latina “persona” che nell’Antica Roma indicava la maschera usata dagli attori teatrali per esemplificare al pubblico gli atteggiamenti e le caratterizzazioni dei diversi personaggi; nel tempo, il termine ha preso ad indicare anche il personaggio in sé, il ruolo teatrale esemplificato sulla scena dalla maschera.

Dall’origine etimologica del termine si desume il suo nucleo concettuale che si riferisce a:

* alle apparenze esterne e allo stile della condotta di un individuo quando è in rapporto con gli altri e l’ambiente ;

* all’insieme delle aspettative circa l’adozione da parte degli altri di determinati modelli di comportamento ;

* all’organizzazione di modi di essere, di pensare e di agire che assicura unità, coerenza, stabilità e progettualità alle relazioni dell’individuo con il mondo .


Il termine personalità può essere utilizzato come criterio di comunanza, per individuare e descrivere l’insieme delle caratteristiche, delle disposizioni, dei modi di agire comuni agli individui e che ci consentono di classificare i soggetti che li posseggono come, ad es., estroversi, socievoli ecc.

Il termine può essere usato anche come criterio di singolarità per individuare e descrivere le caratteristiche, disposizioni, modi di agire unici di un individuo e che ci consentono di distinguere la persona che li possiede da tutte le altre .


Dare una definizione scientifica del termine è, indubbiamente, molto più difficile data la complessità del concetto che designa.

Secondo Allport (1938) , “la personalità è l’organizzazione dinamica, interna all’individuo, di quei sistemi psicologici che sono all’origine del suo peculiare genere di adattamento all’ambiente”.




Questa definizione sottolinea alcuni aspetti centrali del concetto:

1. la personalità non è una struttura statica e fissa, data una volta per tutte, ma è dinamica ed in costante evoluzione;

2. la personalità non è una struttura semplice e lineare, ma è complessa poiché è costituita da più sistemi psicologici in interazione tra loro  e con l’ambiente;

3. la personalità si riferisce allo stile di reazione del soggetto di fronte alle stimolazioni ambientali e al suo generale stile di adattamento all’ambiente;

4. la personalità adulta si forma per il concorso e l’interazione tra fattori costituzionali innati e fattori ambientali ed educativi.




LE PRINCIPALI TEORIE

Dopo gli studi di Allport – ai quali viene fatta risalire l’origine della disciplina nota come Psicologia della personalità - , molti altri studiosi si sono interessati all’indagine sulla struttura e la dinamica, nonché sulla nascita e l’evoluzione della personalità individuale. 


In particolare, secondo Caparra e Pastorelli (1994), la Psicologia della personalità si è storicamente esplicata nello studio della struttura e della dinamica della personalità.

Lo studio della struttura della personalità riguarda l’organizzazione del sistema di tratti che la costituisce e che è specifico di ciascun individuo.

A questo proposito, i vari studiosi non sono concordi ne definire la natura e il numero di tratti che ne costituisce l’architettura:

secondo alcuni i tratti sarebbero:




* elementi geneticamente costitutivi della personalità,

* aventi una base neurobiologica,

* distinguibili in tratti di base e tratti secondari che intorno ai primi si organizzano,

* i tratti di base sarebbero i fattori in grado di determinare la condotta;

secondo altri studiosi, i tratti:

* sono configurazioni secondarie della personalità e del carattere, che derivano – cioè – dall’interazione del soggetto con  l’ambiente,

* non  sono da intendersi come le determinanti uniche della condotta.


Lo studio della dinamica della personalità riguarda il suo funzionamento, i processi che presiedono alla costruzione del sé e dell’identità personale, i processi di autoregolazione e di interazione con l’ambiente.

Da queste diverse focalizzazioni, sono derivati numerosi indirizzi teorici e di ricerca sui fattori strutturali e sui processi dinamici che contribuiscono a definire le differenze individuali di personalità.

Seguendo la classificazione proposta da Caparra e Pastorelli (1994), possono essere distinti tre principali indirizzi sulla base del metodo utilizzato – clinico, correlazionale o sperimentale -  e del focus principale dell’ indagine:

1. gli INDIRIZZI CLINICI riconducibili agli approcci psicanalitici e fenomenologico-esistenziali, interessati all’analisi della dinamica della personalità oltre che della sua strutturazione psichica;

2. gli INDIRIZZI CORRELAZIONALI che indagano la struttura della personalità nei termini di sistema di tratti;

3. gli INDIRIZZI SPERIMENTALI che mirano a spiegare le leggi generali che regolano la strutturazione e il funzionamento della personalità.




Seguendo la classificazione proposta da Canestrai e Godino (1997), è possibile distinguere le diverse teorie della personalità secondo due principali dimensioni:


 TEORIE INNATISTE TEORIE AMBIENTALISTE

TEORIE IDIOGRAFICHE TEORIE DEI TRATTI

Allport

TEORIE COSTITUZIONALISTE

 

TEORIE NOMOTETICHE TEORIE DEI TRATTI

Cattell

Eysenck

TEORIE COSTITUZIONALISTE

Gall

Sheldon

Studi bio-genetici TEORIE COMPORTAMENTISTE


TEORIE SOCIO-COGNITIVE


1. IDIOGRAFICA-NOMOTETICA:

sono IDIOGRAFICHE (dal gr.= scrittura su qualcosa di singolare o unico) quelle teorie basate sullo studio intensivo di casi singoli volte a comprendere l’origine delle caratteristiche peculiari ed uniche di ogni individuo;

sono NOMOTETICHE (dal gr.= che dispone una legge, una norma) quelle teorie basate su studi estensivi di gruppi numerosi di soggetti volte a spiegare i meccanismi (o leggi) generali e universali che originano le differenze individuali di personalità.


2. INNATISTA-AMBIENTALISTA:

sono INNATISTE quelle teorie che sostengono che la predisposizione e l’eredità sono i fattori predominanti nello sviluppo della personalità e sono in grado di spiegare quasi tutte le differenze individuali; queste teorie sono particolarmente interessate allo studio dei meccanismi di trasmissione ereditaria e biologica delle differenze individuali;

sono AMBIENTALISTE quelle teorie che sostengono che le esperienze e le sollecitazioni ambientali sono i fattori determinanti nel modellare una struttura genetica costante ed omogenea e sono, dunque, i fattori predominanti nel determinare le differenze individuali; queste teorie sono maggiormente interessate allo studio dei processi d’influenzamento, ambientale, educativo e culturale.


Difficilmente restringibili in un siffatto schematismo sono le TEORIE PSICODINAMICHE della personalità (Freud, Jung, Adler, Erickson) che - pur basandosi sullo studio intensivo di numerosi casi clinici - aspirano alla formulazione di leggi universali di funzionamento ed evoluzione della personalità e - pur individuando nelle caratteristiche costituzionali-pulsionali-biologiche le determinanti della strutturazione della personalità – riconoscono il ruolo fondamentale giocato dalle esperienze di interazione-relazione con l’ambiente.


LE TEORIE PSICODINAMICHE

Insieme alle teorie fenomenologico-esistenzialiste, le teorie psicodinamiche costituiscono - soprattutto nella prima fase storica di sviluppo della disciplina - un modello di psicologia della personalità che ha il merito di superare il riduttivismo e il molecolarismo della psicologia sperimentale e di allargare l’interesse dallo studio dei singoli processi e funzioni allo studio della personalità globale.

La teoria di Freud


In Freud non troviamo una definizione di personalità, ma possiamo derivarla dal suo modello dell’organizzazione dell’apparato psichico e dello sviluppo psicosessuale.

La personalità è:

A. un’organizzazione stabile di affetti, cognizioni e comportamenti che riflette il rapporto tra le diverse istanze psichiche (Es, Io e Super-Io);

B. il risultato dell’equilibrio prevalente dei meccanismi di difesa (negazione, rimozione, proiezione, spostamento, sublimazione);

C. un modo di mettersi in relazione con il mondo esterno frutto delle modalità con cui sono state affrontate e superate le difficoltà evolutive nelle varie fasi dello sviluppo psico-sessuale (orale, anale, fallica, di latenza, genitale).


Per l’approfondimento circa la teoria genetico-strutturale, la teoria dello sviluppo psico-sessuale e la teoria della dinamica pulsionale e dei meccanismi di difesa, vedere Canestrai, Godino pp. 347-351 o Caprara, Gennaro124-136.


Qui è importante porre l’accento su come la teoria psicoanalitica freudiana sia una teoria generale del funzionamento e dello sviluppo psichico e un modello esplicativo dello sviluppo e della differenziazione della personalità, sia normale che patologica. In essa, fondamentale importanza viene attribuita al ruolo dei fattori biologici e del loro correlato psichico (le pulsioni), che risultano gli elementi motivazionali inconsci intorno a cui si strutturano le istanze psichiche e le dinamiche interne del rapporto tra di esse.


Essa si pone in contrasto con le teorie contemporanee della psicologia scientifica che parcellizzavano il funzionamento della psiche nelle sue singole funzioni, senza riuscire a coglierne la complessità della strutturazione e del funzionamento se non da un punto di vista prettamente neurofisiologico; essa si contrappone anche alle teorie comportamentiste introducendo lo studio degli aspetti inconsci del funzionamento mentale, non osservabili per definizione.


La teoria di Adler

Tra gli allievi di Freud, il primo a differenziarsi e distanziarsi dal maestro fu Adler (1907), il quale:

* ridefinì il concetto di pulsione: la pulsione fondamentale che organizza lo psichismo non è quella sessuale, ma la spinta al superamento della propria inferiorità relativa sia agli altri che all’ideale dell’Io (spinta al superamento di sé);

* riabilita la sfera della consapevolezza;

* attribuì maggiore importanza ai fattori socio-relazionali e storico-culturali nello sviluppo della personalità.




La teoria di Jung

Jung, anch’egli allievo di Freud, elaborò una teoria psicanalitica per molti aspetti diversa da quella del maestro.

* Ridefinì il concetto di pulsione sessuale: la libido è l’energia psichica, una energia vitale con un carattere più esteso che comprende sentimenti e affetti diversi e di cui la spinta sessuale è solo uno degli aspetti.

* La personalità è formata da tre componenti:




A. L’EGO: l’esperienza identitaria a livello cosciente, ciò che il soggetto sente di essere;

B. La PERSONA: gli aspetti dell’Ego che sono apparenti agli altri, il sé sociale, ciò che il soggetto mostra o deve mostrare agli altri.

C. L’INCONSCIO PERSONALE: l’insieme delle cognizioni, delle emozioni e delle esperienze rimosse; corrisponde al pre-conscio di Freud.

A differenza di Freud, Jung non concepisce il conscio e l’inconscio/il razionale e l’irrazionale come contrapposti, ma come componenti complementari del funzionamento psichico.




* Introduce il concetto di INCONSCIO COLLETTIVO: insieme di tendenze profonde che trascendono l’esperienza personale del soggetto e che sono frutto dell’evoluzione della specie umana. Esso spinge tutti gli esseri umani a rispondere in modo analogo a determinate categorie di stimoli, indipendentemente dalle predisposizioni costituzionali e dalle esperienze pregresse.




* L’INCONSCIO COLLETTIVO è organizzato intorno agli ARCHETIPI = tendenze ereditarie comuni , aspetti inconsci che orientano lo sviluppo nell’arco di vita (animus/anima, puer/senex, ecc.) in ogni fase dello sviluppo psichico  lo sviluppo della personalità non è solo l’esito dell’equilibrio tra le diverse componenti della psiche o del superamento delle fasi di sviluppo, ma è anche un processo di dispiegamento del sé o processo di individuazione.

* La Personalità = risultato di una storia personale, di una storia collettiva, di un’istanza che opera in ciascun individuo per la realizzazione di sé.


Gli sviluppi della teoria freudiana

PSICOLOGIA DELL’IO:

 Teoria generale della struttura e del funzionamento psichico

 A. Freud. , Hartmann, Rapaport, Spitz, Erikson,

La teoria di Erikson


PSICANALISI DELLE RELAZIONI OGGETTUALI

 Approccio evolutivo

 Primato della clinica

 Primato dell’importanza delle relazioni oggettuali della prima infanzia

 M. Klein, Winnicott, Bowlby


LE TEORIE FENOMENOLOGICHE-ESISTENZIALI

Gli indirizzi fenomenologico-esistenziali hanno enfatizzato l’originalità dell’esperienza soggettiva e il diritto di ogni individuo di realizzare il proprio progetto di vita, individuando negli ostacoli alla realizzazione di tale progetto le cause principali del disagio e dello sviluppo distorto della personalità.

TERZA VIA DELLA PSICOLOGIA DELLA PERSONALITA’ rispetto alla psicanalisi e al comportamentismo:




diversamente dalla psicanalisi – che vede la personalità come risultante delle vicissitudini pulsionale -, le teorie feno,enologico-esistenzialiste considerano la personalità come l’espressione del Sé che tende alla piena auto-realizzazione, in modo intenzionale  e attivo;

diversamente dal comportamentismo – che limita lo studio della psicologia al comportamento oggettivabile e osservabile -, esse riportano al centro della psicologia lo studio della soggettività e dell’esperienza vissuta.

 

La teoria del Sé di Rogers


LE TEORIE GESTALTISTE

La teoria del campo di Lewin




LE TEORIE DEI TRATTI

La personalità – in quanto sistema complesso di componenti psicologiche - è costituita da più tratti,  vale a dire da organizzazioni relativamente stabili di modi di sentire, pensare e agire, da tendenze stabili nel riprodurre determinati comportamenti in determinate situazioni . 

Il costrutto di tratto rimanda a più aspetti caratteristici che distinguono una data personalità dalle altre e consentono di classificarla. Ogni personalità, infatti, è definita e caratterizzata da una certa costellazione di tratti peculiari ed ogni persona possiede i diversi tratti con modi e intensità variabili.




Il concetto di tratto, già implicito nella teoria razionale-analogica di Ippocrate, è stato oggetto di numerose controversie in quanto inteso in maniere differenti:

* secondo i sostenitori delle TEORIE DEI TRATTI, essi corrisponderebbero a dei sistemi neuropsichici in larga misura innati (TEORIE INNATISTE);

* secondo i più scettici, essi corrisponderebbero a dei costrutti nella mente dell’osservatore utilizzati per individuare e classificare – operando una indebita riduzione di complessità – determinate modalità di sentire, pensare e comportarsi ritenute tipiche di determinate categorie di individui (TEORIE AMBIENTALISTE RADICALI- CONVENZIONALISTE);

* secondo coloro che assumono una posizione intermedia tra le precedenti, i tratti sarebbero costellazioni cognitivo-affettive-comportamentali che si costruiscono nell’ontogensi in forza delle interazioni reciproche tra l’organismo e l’ambiente (es.: TEORIE PSICODINAMICHE, TEORIE ) .


I sostenitori delle TEORIE DEI TRATTI affermano che gli individui sono predisposti fin dalla nascita, per natura ed eredità genetica, a reagire e a comportarsi secondo stili e tipologie peculiari di condotta che possono essere sistematizzati come tratti del carattere o della personalità.

In quanto innatiste, esse sottolineano la predisposizione e l’eredità come fattori predominanti nello sviluppo della personalità in grado di spiegare quasi tutte le differenze individuali.




La teoria dei tratti di Allport

TEORIA INNATISTA-IDIOGRAFICA

Il metodo: analisi lessicale.


Il concetto di personalità: unità dinamica e complessa, in cui si coniugano in modo equilibrato fattori biologici, psicologici e sociali. 

Il concetto di tratto: sistemi neuropsichici, disposizioni stabili che affondano le proprie radici nella realtà biofisica dell’individuo e che assicurano una coerenza alla condotta, al comportamento espressivo e di adattamento all’ambiente. Essi si sviluppano in disposizioni dinamiche e interdipendenti secondo modi specifici che dipendono dalle esperienze di ciascun individuo.


Esiste una gerarchia di tratti , secondo il rapporto di dominanza e generalità dei tratti stessi:

1. al vertice della gerarchia, i tratti cardinali: le motivazioni e le passioni prevalenti che sono peculiari di una persona e ne orientano ogni aspetto della vita, nel senso che dominano tutte le sue manifestazioni e attività;

2. i tratti centrali: le disposizioni che hanno un’influenza pervasiva e sistematica sul comportamento dell’individuo (es., industriosità, pigrizia, socievolezza, introversione ecc.);

3. i tratti secondari: le preferenze/avversioni che riguardano aspetti circoscritti del comportamento.

Secondo la teoria dei tratti di Allport, l’ambiente interverrebbe in modo massiccio ad influenzare i tratti secondari di una personalità, avrebbe un effetto limitato sui tratti centrali, nessuna influenza sui cardinali.


La teoria dei tratti analitico-fattoriale di Cattell

TEORIA INNATISTA-NOMOTETICA

Il metodo: tecnica statistica dell’analisi fattoriale: consente di inferire un minor numero di variabili ipotetiche (fattori, dimensioni latenti), indicative degli elementi comuni sottostanti un maggior numero di variabili osservate (dati empirici che condividono elementi comuni).


Il concetto di personalità: ciò che consente la previsione di ciò che la persona farà in una determinata situazione.

Il concetto di tratto: strutture mentali, inferite dall’osservazione del comportamento, che descrivono la personalità e che rendono ragione di tale previsione.

 Lo studio della personalità = studio dei tratti che la caratterizzano


Esiste una gerarchia di tratti

* superficiali: gruppi particolari di manifestazioni; aspetti che sembrano variare in modo congiunto, visibili da un osservatore esterno;

* sorgente/originari: sono alla base dei primi; strutture soggiacenti che danno coerenza alla personalità ma non sono colti come manifestazioni esterne, visibili dall’osservatore;

I tipi di tratti:

* temperamentali: relativi agli aspetti formali del comportamento;

* dinamici: relativi alle componenti motivazionali dello stesso;

* di abilità: relativi all’efficienza del comportamento.

Cattell sottolinea come:

- alcuni tratti sono connaturati alla costituzione dell’individuo,

- altri sono il risultato delle influenze ambientali,

- altri si osservano solo in condii psicopatologiche.


Cattell ha individuato 16 tratti o “fattori bipolari di personalità” contrapposti a due a due per qualità e direzione (es.: socievolezza vs. indipendenza [tratto di superficie] ; dominanza sottomissione [tratto sorgente del precedente])

Ha poi costruito un test di personalità 16PF (16 Personality Factors ) :

- test oggettivo di personalità

- 108 voci nella forma standard

- Si distingue dall’MMPI poiché:




o fornisce un profilo di personalità che non fa riferimento a criteri clinici e/o alla presenza di disturbi  consente di elaborare un profilo di personalità;

o essendo alcune combinazioni di profilo peculiari ed indicative di certi disturbi  può essere usato anche per le diagnosi cliniche.

- Il profilo ottenuto con il 16PF è dato da un punteggio di 16 scale relative a fattori bipolari per un totale di 32 fattori. Le scale possono essere:

o Sten: punteggi graduati da 1 a 10 (da 1 massimo fattore polare di snx e 10 massimo fattore polare di dx)

o Stenine: punteggi graduati da 1 a 9 (da 1 massimo fattore polare di snx e 9 massimo fattore polare di dx).

- Un altro uso ricorrente del 16PF è come test attitudinale nella selezione del personale, in aggiunta a test più dettagliati e specifici.




La teoria tipologica dei tratti di Eysenc

TEORIA INNATISTA-NOMOTETICA

Il metodo: tecnica statistica dell’analisi fattoriale: consente di inferire un minor numero di variabili ipotetiche (fattori, dimensioni latenti), indicative degli elementi comuni sottostanti un maggior numero di variabili osservate (dati empirici che condividono elementi comuni).


Esiste una gerarchia di tratti , secondo diversi livelli di specificità o generalità:

* Le risposte specifiche : comportamenti che possono o meno essere stabili nel tempo e nelle diverse situazioni, che possono o meno essere indicativi delle caratteristiche proprie dell’individuo (es.: bere il cappuccino con lo zucchero di canna).

* Le risposte abituali: comportamenti che si ripetono con stabilità e frequenza e sono indicativi di un certo stile di reazione che tende a ripresentarsi in situazioni simili (es.: tutte le volte che prendo il cappuccino al bar, lo prendo con lo zucchero di canna).

* I tratti: insieme di condotte collegate tra loro in modo caratteristico, indicative di tendenze esterne relativamente stabili che risultano dall’aggregazione di risposte simili (es.: socievolezza, impulsività, attività, ecc.).


Ad un livello superiore rispetto ai tratti, Eysenck postula l’esistenza dei tipi  vale a dire costellazioni di tratti correlati che si organizzano intorno a 3 dimensioni fondamentali definite come 3 super fattori:

* l’estroversione-introversione (tipi corrispondenti: estroverito-introverito)

* la stabilità-instabiltà emotiva o nevroticismo (tipi corrispondenti: stabile-intabile emotivamente)

* lo psicoticismo .


I tipi sono determinati biologicamente, nel senso che le costellazioni di tratti che essi comprendono – e quindi le modalità più generali di reazione – corrispondono ad un diverso livello di funzionamento e fisiologico dell’organismo.

Ad es., il grado di introversione o estroversione sarebbe una misura dell’eccitabilità corticale (arousability) risultante dall’attività del sistema reticolare ascendente: gli introversi, a motivo di un elevato livello di aruosal interno, tendono ad evitarela stimolazione esterna per evitare un eccessivo livello di stimolazione; mentre gli estroversi, a motiv di un più basso livello di arousal, sono più inclini a ricercare stimolazioni esterne per preservare o raggiungere un livello complessivo di stimolazione che si configuri come ottimale.




Introversi: > arousal   < stimolazione ext

Estroversi: < arousal   > stimolazione ext




 I disturbi di personalità avrebbero una matrice organica e andrebbero trattati con trattamenti somatici o farmacologici. 


La teoria dei tratti-tipi di Eysenck è molto controversa da un punto di vista scientifico, in quanto la dimostrazione dell’esistenza di tipi di personalità – intesi come manifestazioni di disposizioni fisiologiche interne, innate e non influenzabili dalle esperienze - risulta di difficile realizzazione; essa, infatti, implicherebbe la possibilità di verificare attraverso studi longitudinali che ricoprono l’intero arco della vita di numerosi soggetti la omogeneità e la costanza dei tratti e delle tipologie generali di risposta di quegli individui.




I dati di cui disponiamo sono scarsi e poco rappresentativi. Seppure la maggior parte delle ricerche depongono a favore dell’esistenza di “stili di reazione” presenti già nella prima infanzia e che corrisponderebbero a determinate caratteristiche cliniche di personalità nell’età adulta, esse non consentono di affermare l’esistenza di schemi di reazione che siano biologicamente predeterminati e insensibili alle esperienze d’interazione con l’ambiente fisico e sociale circostante.


La teoria dei Big Five

Numerose ricerche confermano la validità della TEORIA DEI BIG FIVE – i cinque grandi fattori o dimensioni della personalità:

• estroversione-introversione

• gradevolezza-ostilità

• coscienziosità

• stabilità emtiva-nevroticismo

• apertura mentale-cultura.


I cinque fattori sono emersi, indipendentemente dalle tecniche fattoriali usate, dalla natura e dalle procedure di valutazione, dalle caratteristiche delle popolazioni, dai contesti linguistici e culturali.

Agli stessi fattori è, inoltre, risultata riconducibile la struttura latente di molti test di personalità.


Per la misura dei Big Five possono essere utilizzati i seguenti test di personalità:

• il NEO PERSONALITY INVENTORY (NEO-PI)

• il BIG FFIVE Q UESTIONNAIRE (BFQ).


LE TEORIE COSTITUZIONALISTE

 I sostenitori delle TEORIE COSTITUZIONALISTE affermano l’esistenza di una corrispondenza tra costituzione fisica e caratteristiche di personalità, nonché l’ipotesi di poter pervenire ad una classificazione degli individui in termini di tipi corrispondenti al possesso di certe caratteristiche fisiche e comportamentali.

Nel corso del tempo, si sono andati definendo tre principali filoni di ricerca in quest’ambito:




* il primo si basava sull’analisi di corrispondenze tra proprietà di funzionamento del SNC e caratteristiche di personalità (Ippocrate e Pavlov);

* il secondo si basava sull’analisi delle corrispondenze tra caratteristiche somatiche e caratteristiche della personalità (Gall, Sheldon);

* il terzo – più recente – si basa sullo studio dell’ereditarietà di alcune caratteristiche personologiche.




Di questi filoni oggi resta molto poco e quanto resta è comunque molto controverso.

Anche rispetto al più recente di essi – interessato alla ricerca dell’ereditarietà dei tipi psicologici attraverso studi psicogenetici su gemelli omozigoti - , i dati di cui disponiamo indicano che:




- la somiglianza tra due individui geneticamente identici è poco superiore alla somiglianza tra due individui estranei che sono vissuti in un ambiente simile;

- il coefficiente di ereditabilità della maggior parte dei tratti è < 30%, mentre solo per alcuni di essi (stile di reazione passivo/proattivo allo stress,tradizionalismo, dominanza sociale) è 50< CE > 58%.


 La maggior parte dei tratti di personalità, pur potendo avere una base biologica-costituzionale, è fortemente modellata dall’interazione con l’ambiente.

La teoria di Ippocrate

V e IV  sec. A C. Ippocrate di Cos, Corpus Hippocraticum

La Teoria ippocratica è anch’essa difficilmente riducibile allo schematismo illustrato precedentemente, in quanto deriva dalla pratica medica pre-scientifica attraverso la formulazione di leggi generali sul funzionamento dell’organismo, considerato come una totalità unitaria in rapporto con l’ambiente.

Ippocrate elabora una teoria razionale analogica sulla personalità fondata sul parallelismo mondo-uomo:




Mondo: le diverse regioni della Terra (poli, equatore, deserti, praterie ecc.) hanno caratteristiche diverse perché costituite da differenti composizioni dei 4 elementi fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco)

Uomo: i diversi individui hanno caratteristiche di personalità diverse perché costituiti da differenti combinazioni dei 4 umori fondamentali (bile nera, bile bianca, linfa, sangue).

A seconda che prevalga l’uno o l’altro dei 4 umori, possono essere individuati 4 tipi principali di personalità (melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno).


I tipi puri sono rari e sono invece molto numerose le tipologie miste.

I tratti non rappresentano necessariamente il fenotipo comportamentale, ma le tendenze innate che possono o meno manifestarsi a seconda dell’ambiente e delle circostanze.


Una riformulazione più recente della teoria di Ippocrate è stata elaborata da Pavlov.

Sulla base dei dati rilevati dagli studi sul condizionamento, Pavlov ha osservato l’influenza delle caratteristiche costituzionali dei cani nel determinare la diversità nella velocità e nell’accuratezza delle loro risposte agli stimoli.

Facendo riferimento ai quattro temperamenti indicati da Ippocrate, Pavlov ha descritto 4 diversi tipi di cani a seconda delle loro reazioni agli stimoli ambientali e delle supposte caratteristiche del SN di cui esse sarebbero state l’espressione (forza, equilibrio, mobilità):

* il tipo collerico ha un SN forte ma squilibrato,

* il flemmatico ha un SN forte ma equilibrato e poco mobile,

* il sanguigno ha un SN forte, equilibrato e mobile,

* il melanconico ha un SN debole.


In questa riformulazione, l’accentuazione degli elementi costituzionali e biologici del temperamento è mitigata dal riconoscimento dell’importanza che le influenze ambientali e, quindi, i processi educativi possono avere nel modellamento delle diverse caratteristiche del comportamento e della personalità.

 

La teoria di F. Gall

Tra le teorie basate sull’analisi delle corrispondenze tra caratteristiche somatiche e caratteristiche della personalità, quella elaborata da Francs Gall si concentrava sulle corrispondenze tra la struttura dell’encefalo/forma del cranio e le caratteristiche del carattere.




Essendo il carattere un’espressione della fisiologia cerebrale e il cervello la sede di queste funzioni fisiologiche, è possibile rintracciare delle corrispondenze tra le circonvoluzioni del cervello e 27 principali facoltà psicologiche (es.: orgoglio, vanità, cautela, senso della proprietà, facoltà di distinguere e riconoscere parole, persone…).

Sulla base di questo assunto, egli elaborò la frenologia  = disciplina e metodologia diagnostica secondo cui le corrispondenze tra le circonvoluzioni cerebrali e le 27 facoltà psicologiche coincidono con le corrispondenze tra le prominenze del cranio che equivalgono alle circonvoluzioni e le facoltà psicologiche che lì risiedono.

 


Studiando le prominenze del cranio sarebbe stato possibile individuare le facoltà psicologiche predominanti in ogni individuo.

La frenologia non ha alcuna validità scientifica ed è stata unanimemente rifiutata a livello internazionale già da tempo.

È rimasto valido per molto tempo, però, l’assunto di base circa l’esistenza di una corrispondenza tra caratteristiche somatiche e caratteristiche di personalità.


La teoria di Sheldon

Questo stesso assunto è alla base della Teoria di Sheldon secondo la quale esisterebbe una corrispondenza tra la configurazione delle caratteristiche della costituzione fisica (=il somatotipo) e le caratteristiche del comportamento, quindi della personalità degli individui.

Attraverso la tecnica fotografica e la misurazione delle caratteristiche somatiche, Sheldon individuò tre somatotipi “puri” aventi specifiche caratteristiche fisiche e personologiche:


SOMATOTIPI CARATTERISTICHE SOMATICHE CARATTERISTICHE PERSONOLOGICHE

ENDOMORFI Forme arrotondate, sviluppo del bacino Affettivamente instabili, poco reattivi, tenaci

MESOMORFI  Forme squadrate, sviluppo del torace, muscolosi ed atletici Volitivi, dominanti, amanti del rischio, competitivi

ECTOMORFI Gracili e di aspetto fragile, sviluppo degli arti rispetto al tronco Riflessivi, sensibili, introversi.


Gli studi più recenti documentano una scarsa correlazione tra somatotipo e personalità, per cui non si può ritenere che le caratteristiche somatiche siano un fattore determinante lo sviluppo delle differenze individuali di personalità.

È invece del tutto verosimile che possedere alcune caratteristiche fisiche piuttosto che altre influenzi ed orienti in una certa direzione sia la percezione di sé che il modo di rapportarsi agli altri e il modo in cui gli altri ci percepiscono, finendo con l’influenzare in modo sistematico le esperienze di relazione interpersonale e le percezioni di sé che ne derivano.


LE TEORIE COMPORTAMENTISTE

Gli studiosi comportamentisti della prima generazione hanno rifiutato di approfondire l’indagine sulla personalità in quanto costrutto psicologico complesso non riducibile al paradigma S-R, difficilmente definibile da un punto di vista operativo, non osservabile direttamente, né riproducibile in laboratorio.


Piuttosto che parlare di personalità, i comportamentisti preferiscono fare riferimento a costrutti teorici quali “stili di reazione” agli stimoli ambientali: secondo questi studiosi, ciascun individuo ha un suo particolare stile di reazione agli stimoli ambientali, uno schema generale di risposta comportamentale che deriva dalla particolare serie di apprendimenti e condizionamenti che egli ha potuto sperimentale e che è indipendente da tendenze o predisposizioni innate di qualsivoglia natura (Skinner, 1938).


L’interesse per la personalità è, dunque, del tutto secondario rispetto a quello per le influenze ambientali che appaiono le vere determinanti del comportamento: la stabilità delle caratteristiche comportamentali nello stesso individuo non dipenderebbe tanto da caratteristiche interne al soggetto, ma dalla somiglianza delle situazioni ambientali in cui esso viene elicitato, rinforzato e prodotto.


Per la nuova generazione di comportamentisti (1920-1930), la personalità si configura essenzialmente come costellazione di abitudini 

 lo studio della formazione della personalità viene a coincidere con lo studio della formazione delle abitudini,

 le caratteristiche di personalità sono riconducibili alle differenti abitudini apprese attraverso i meccanismi del condizionamento.

Anche schemi comportamentali complessi e stabili possono essere appresi tramite il semplice meccanismo del condizionamento operante, ad esempio nel caso dei comportamenti socialmente desiderabili e apprezzati che vengono appresi tramite il processo dell’apprendimento imitativo (Watson).


In questo senso, tutte le elaborazioni dei comportamentisti di prima e seconda generazione sulle differenze individuali della personalità e del carattere sono TEORIE AMBIENTALISTE o SITUAZIONISTE in quanto:

• ritengono che la personalità sia il risultato delle influenze esercitate dall’ambiente sull’individuo,

• sono focalizzate sulle caratteristiche delle situazioni ambientali in cui si esprimono i comportamenti e vengono apprese le abitudini.


I comportamentisti di ultima generazione, meno radicali e più aperti all’uso di costrutti ipotetici non direttamente misurabili, introducono concetti quali “determinismo triadico reciproco”, “apprendimento sociale”, “rinforzo vicario” e “percezione di auto–efficacia” che -  seppure riconducibili ai principi del condizionamento operante e pur continuando ad attribuire alle influenze ambientali un ruolo importante - sono meno riduttivi e meglio in grado di spiegare l’origine delle differenze individuali di personalità.


Questi studiosi danno vita ad un nuovo paradigma scientifico detto socio-cognitivismo secondo cui lo sviluppo e il funzionamento della personalità sono da comprendersi nel quadro di un reciproco determinismo traiadico tra persona, ambiente e condotta.

Bandura con il modello di “determinismo triadico reciproco” introduce una maggiore complessità nello schematismo semplicistico delle origini, secondo cui le caratteristiche del comportamento erano la diretta conseguenza delle stimolazioni ambientali  A C.


Secondo il modello dell’interazionismo triadico reciproco, il comportamento non solo è influenzato dall’ambiente, ma interagendo con esso lo influenza a sua volta (AC); inoltre, il comportamento non è una diretta conseguenza delle sole stimolazioni ambientali, ma è influenzato anche dalle caratteristiche della personalità dell’individuo che lo realizza (PC) e, a sua volta, contribuisce ad influenzare la personalità stessa (P  C).

In sintesi,

       A = Ambiente


 


 


C= Comportamento    P=Personalità


Il modello del determinismo triadico reciproco consente di superare definitivamente la controversia tra innatisti sostenitori della teoria dei tratti (PC) e ambientalisti/situazionisti sostenitori del primato dell’ambiente sulla determinazione della condotta (AC e A P):

le caratteristiche della personalità non sono più ricercate in qualcosa di ereditato che si sottrae all’azione che l’ambiente esercita nel corso dello sviluppo, né in una serie di influenze ambientali che agiscono indipendentemente da un potenziale individuale: eredità e ambiente contribuiscono insieme e in modo interattivo nel determinare la personalità degli individui; la personalità degli individui, inoltre, è in grado di influenzare attivamente e continuativamente il proprio agire e l’ambiente in cui esso si realizza.


Apprendimento sociale

Rinforzo vicario

Auto-efficacia percepita: fiducia nelle proprie capacità di poter organizzare efficacemente una serie di azioni volte al raggiungimento di un obiettivo; le specifiche convinzioni che un soggetto ha sulle proprie possibilità di padroneggiare e superare con successo determinate prove.

( Per approfondimenti, vedi p 455-456 Moderato Rovetto).


GLI ORIENTAMENTI RECENTI

Oggi appare in larga misura superata la controversia tra innatisti sostenitori del primato dei tratti e ambientalisti/situazionisti sostenitori del primato ambientale nella determinazione della personalità.

Il problema centrale che si pone allo studioso della personalità è chiarire come il processo di influenzamento reciproco tra persona e ambiente regola il comportamento, modificando il comportamento stesso e la personalità della persona che lo realizza.

Gli orientamenti recenti della psicologia della personalità, quindi, adottano una prospettiva complessa e interazionista attraverso la quale indagare i complessi processi evolutivi e i meccanismi psico-sociali che contribuiscono allo sviluppo della personalità individuale.


Quest’ultima viene descritta come organizzazione stabile e coerente di tratti, intesi come le modalità di sentire, pensare e agire proprie del soggetto, coerenti con la sua storia di vita, che fanno da sfondo alle sue condotte personali, agli stili cognitivi, alle strategie motivazionali, alle costellazioni emotivo-affettive, agli stili d’interazione/relazione interpersonale attraverso cui egli si rapporta attivamente con il mondo.


Aldilà di questi principi comunemente condivisi, ancora oggi sono molte le prospettive di studio sulla personalità; diversamente che in passato, tuttavia, la diversità non si traduce in antagonismo, ma viene riconosciuta come elemento di arricchimento conoscitivo in un ambito d’indagine così complesso, quale è quello dello studio sulla personalità, che richiede una pluralità di livelli e di metodi d’analisi.


Da un punto di vista metodologico, gli orientamenti attuali tendono a proporre uno studio della personalità basato sull’osservazione globale della stessa nelle sue diverse manifestazioni comportamentali.

Viene definita “valutazione clinica della personalità” (clinical personalità assessment) il processo di raccolta di informazioni sul sistema di personalità di un individuo.

OBIETTIVO: comprensione accurata, globale e articolata del sistema di personalità.

UTILITA’: formulazione di una prognosi o pianificazione di un intervento.

PROPRIETA’:  * attività di tipo scientifico  procedere sistematico

         sistema convenzionale di comunicazione

  * teoria di riferimento

* metodologia di riferimento coerente con la teoria

* tecniche e strumenti di rilevazione dei dati


TECNICHE DI RILEVAZIONE DEI DATI:  * colloquio clinico

      * test di personalità


IL COLLOQUIO CLINICO.

Il colloquio clinico è una tecnica d’osservazione e di studio del funzionamento psicologico del soggetto che utilizza il rapporto interpersonale quale contesto e strumento d’indagine.


SCOPO:  DIAGNOSTICO:  raccogliere informazioni sulla personalità del soggetto per giungere ad una sua comprensione globale

 PROGNOSTICO:  elaborare previsioni circa l’evoluzione del sistema di personalità dell’individuo o di suoi eventuali psicopatologie

 TERAPEUTICO: motivare e lavorare al cambiamento di aspetti della personalità disturbanti o disfunzionali.


PECULIARITA’ DELLA TECNICA D’OSSERVAZIONE: oltre a fornire informazioni (come anche i test, i resoconti autobiografici ecc. fanno), consente la conoscenza diretta della dinamica interpersonale usata dal soggetto. Infatti, il colloquio è già di per sé una situazione psico-sociale in cui prendono forme modalità d’interazione/relazione indicative delle personalità delle due persone in esso implicate.

PRESUPPOSTO FONDAMENTALE: i tratti (intesi come configurazioni cognitive, affettive, comportamentali, interattivo-relazionali) rilevati nel soggetto in occasione del colloquio possono essere riferiti ad ambiti più vasti e rilevanti del suo comportamento e della sua personalità. 


Tuttavia, la situazione del colloquio non permette di manifestare tutte le disposizioni, i tratti e i ruoli psicosociali assimilati. Pertanto, l’esaminatore - consapevole di vedere il soggetto in una condizione limitata e artificiosa e consapevole della naturale tendenza a generalizzare all’intera personalità aspetti limitati del comportamento – dovrà formulare sempre ipotesi interpretative sulla personalità del paziente, da sottoporre costantemente a falsificazione attraverso l’assunzione di ulteriori informazioni che possano o meno consentire l’elaborazione di ipotesi interpretative ugualmente plausibili.

M. Sellini Palazzoli  “L’ipotesi in quanto tale non è né vera, né falsa ma solo più o meno utile”: essa è plausibile, non vera, e può essere cambiata nel tempo da punti di visita alternativi.


ATTEGGIAMENTO DEL CLINICO:  *  Atteggiamento sperimentale aperto alla possibilità del

 cambiamento dell’ipotesi interpretativa.

* Ricerca di una coerenza interna nella descrizione della personalità del soggetto attraverso l’analisi delle informazioni raccolte.

     * Ascolto empatico

     * Astensione dal giudizio morale.


I TEST DI PERSONALITA’.

I test di personalità sono tecniche d’indagine volte ad individuare e misurare/classificare specifici aspetti della personalità normale o patologica del soggetto.


TEST DI PERSONALITA’ OGGETTIVI: inventari di personalità, questionari costituiti da decine/centinaia di domande-prove-stimolo strutturate e chiare (items) che rilevano la presenza e l’intensità di specifici tratti o caratteristiche di personalità.

MMPI

16PF

CPI


TEST DI PERSONALITA’ PROIETTIVI: strumenti d’indagine psicologica che prevedono la presentazione di stimoli poco strutturati, ambigui o incompleti, non defnibili in modo univoco che il soggetto in esame deve interpretare o completare.


PRESUPPOSTO FONDAMENTALE: meccanismo della proiezione: le risposte del soggetto di fronte ad uno stimolo ambiguo sono la proiezione di contenuti e significati che derivano dall’inconscio del soggetto stesso.

Questi non sono dei test psicometrici in senso stretto in quanto non forniscono un punteggio o una misura oggettiva, ma una risposta da osservare e valutare; sono pertanto dei reattivi mentali che forniscono informazioni qualitative da categorizzare e analizzare.


RORSCHACH

TAT

CAT

BLACKY PICTURES

ORT

TEST GRAFICI

TEST DI COMPLETAMENTO


Gli orientamenti più attuali sono concordi nel ritenere che uno sviluppo adeguato della personalità è il risultato di un’evoluzione equilibrata della sfera cognitiva, di quella emotiva e delle modalità d’interazione-relazione con l’ambiente interpersonale del soggetto.

Quando i processi evolutivi non si configurano in modo equilibrato, è possibile che la personalità si strutturi in senso patologico e che venga compromessa la capacità dell’individuo di adattarsi all’ambiente.


In abito psicopatologico, vengono definiti disturbi ella personalità le disposizioni inadeguate del carattere o degli stili di reazione che comportano disagio o sofferenza sia per gli individui che li posseggono che per coloro che gli sono vicini.

CARATTERISTICHE:   * caratterizzano stabilmente la personalità per tutto l’arco della vita del soggetto

 * sono, in genere, poco sensibili al trattamento psicologico o psichiatrico

 * si classificano facendo riferimento alla caratteristica saliente della caratteropatia.


TIPOLOGIE:  DISTURBO PARANOIE DI PERSONALITA’

 DISTURBO SCHIZOIDE DI PERSONALITA’

 DISTRURBO ISTRIONICO DI PERSONALITA’

 SOCIOPATIA


Fonte: www.opsonline.it

domenica 14 ottobre 2007

Le fasi dello sviluppo della personalità: due teorie a confronto

Lo sviluppo è una sequenza ordinata di cambiamenti del comportamento in determinate direzioni; è un processo continuo che include, nell’organismo umano, cambiamenti e nuove capacità risultanti da due processi quale la maturazione e l’apprendimento: la maturazione comporta cambiamenti strutturali dell’organismo a livello somatico e psichico; l’apprendimento è il processo attraverso cui un’attività sorge e si modifica per mezzo di un addestramento.



Lo sviluppo è descritto dai vari autori e dalle teorie di riferimento attraverso la suddivisione in stadi o fasi, che sono periodi di tempo attraverso cui si osservano precisi e identificabili cambiamenti qualitativi ordinati in sequenza gerarchica o temporale.

 

La teoria di Freud individua tre fasi ( orale, anale, fallica ) , che hanno luogo prima dei cinque anni d’età; poi descrive il periodo di latenza e la fase genitale.

 

Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, che ha descritto il ruolo dei complessi e l’inconscio collettivo, parla di due periodi di fondamentale importanza: quello prima dei trentacinque anni e quello dopo questa età. Prima dei trentacinque anni, la persona è piena di forza utilizzata per apprendere un mestiere, per il matrimonio, per i figli; dopo i trentacinque anni, la persona è meno energica ed ha acquisito saggezza.

 

Harry Sullivan, Alfred Adler, Karen Horney, Erich Fromm pongono in rilievo il ruolo dei fattori sociali e culturali e delle relazioni interpersonali all’interno della famiglia, nella formazione della personalità.

 

Erik Erikson ritiene che la personalità si sviluppi per tutto il ciclo vitale della persona.

Esistono diverse teorie sullo sviluppo. Le teorie dello sviluppo più utilizzate sono:



  • la teoria cognitiva, con gli studi di J. Piaget, secondo il quale è necessaria un’attiva partecipazione del bambino al suo ambiente per uno sviluppo corretto;

  • la teoria dell’apprendimento, che da importanza all’apprendimento sociale nei primi anni di vita per l’acquisizione di abitudini comportamentali;

  • la teoria psicodinamica di K. Lewin, secondo il quale ogni evento psicologico va collocato all’interno dello spazio di vita individuale. Si parla di psicologia topologica, cioè spazio fisico applicato allo spazio psicologico in cui la persona vive;

  • la teoria organiosmica di Werner concepisce lo sviluppo umano come un processo autocostruttivodi interazione tra fattori organistici e fattori ambientali;

  • la teoria psicoanalitica, iniziata da S. Freud, si è interessata soprattutto dei problemi emozionali e dei conflitti interni nella formazione della personalità. Uno degli autori che ha approfondito e ampliato le intuizioni freudiane è E. Erikson.

    E sono proprio Freud ed Erikson i due autori che qui si vogliono descrivere circa le loro  affermazioni sulla fase adolescenziale.

     


Il fondatore della psicoanalisi conseguì la laurea in medicina presso l’Università di Vienna e studiò per un anno a Parigi con il grande psichiatra francese Jean Charcot. Insoddisfatto dei matodi terapeutici usati in quel tempo, adottò il metodo delle libere associazioni, elaborato originariamente da un suo collega viennese, Joseph Breuer. Questo fatto segnò l’inizio della psicoanalisi.



Erikson, dopo le scuole superiori, trascorse un anno in viaggio per l’Europa per trovare una strada per la sua vita futura. Decise di diventare pittore e di insegnare arti figurative.

Durante il periodo in cui insegnava in una piccola scuola privata a Vienna, entrò in buoni rapporti con la famiglia Freud e, incoraggiato da Anna Freud, cominciò a studiare psicoanalisi presso la Società di Psicoanalisi di Vienna. Negli anni  ’30 si trasferì negli Stati Uniti ed ebbe incarichi ad Harvard dove nel 1970 concluse la sua attività accademica.



Egli è un autore di orientamento psicodinamico che sostiene che l’Io è autonomo e lo sviluppo della personalità investe l’intero arco di vita, con tappe che si caratterizzano per il superamento di compiti e conflitti psicosociali.

 Freud pone attenzione all’Es, che rappresenta l’inconscio dove sono contenute le pulsioni, gli elementi rimossi, cioè quelli allontanati dalla coscienza, da presente. Si basa sul principio di piacere che è la scarica immediata della tensione per ristabilire l’equilibrio (es. : il bambino piccolo che aspetta il seno materno non è capace di ritardare la gratificazione).



Erikson pone attenzione all’Io, che è quella parte più strutturata e più organizzata della personalità, e che fa da mediatore tra l’Es e il Super – Io, quest’ultimo che rappresenta l’interiorizzazione delle norme e permette lo sviluppo della coscienza morale.

 

Freud considera il triangolo padre–madre–bambino e le relative dinamiche, mentre Erikson considera il triangolo madre–padre–bambino in relazione con l’ambiente socio –culturale.

 

Ancora, Freud concentra la sua attenzione sullo sviluppo patologico, mentre Erikson afferma che è necessario il superamento di crisi per la crescita. Infatti, ogni fase di sviluppo è caratterizzata da crisi intesa come svolta.

Per Erikson, la soluzione dei momenti critici, cioè delle crisi, porta alla formazione di attitudini di base positive o negative che sono atteggiamenti derivanti dalle esperienze di relazioni stabilite tra l’Io e il suo ambiente psico – sociale. L’autore utilizza l’espressione “senso di …” per indicare la sensazione di aver acquisito una certa  qualità o frustrazione nel tentativo di acquisire la qualità.



Ad ogni attitudine di base positiva corrisponde una virtù psicologica, una forza attiva dell’Io; mentre, al contrario, si crea una debolezza dell’Io che comporta disfunzioni e difficoltà di relazionarsi.

L’esistenza di stadi nello sviluppo della personalità è stata postulata sia da Freud che da Erikson. Freud considera cinque fasi dello sviluppo psicosessuale, considerando l’importanza dei primi anni di vita nella formazione della personalità. Dunque, descrive le fasi: orale, anale, fallica, il periodo di latenza e la fase genitale. Le cinque fasi dello sviluppo psicosociale di Erikson comprendono le fasi: incorporativa, muscolare, spaziale, produttiva, adolescenziale.



Fino alla pubertà, le fasi descritte dai due autori coincidono tra loro, mentre le seguenti descritte da Erikson sono tre fasi innovative di vita adulta: fase della giovinezza, fase dell’età adulta, fase dell’età senile.

La fase orale trova corrispondenza con la fase incorporativa ( 0 – 1 anno): per Freud, il bambino si interessa alla madre perché ne è gratificato attraversi il cibo. Con il passaggio dalla suzione allo svezzamento, il bambino prova sentimenti di amore – odio verso la madre, che è cattiva e frustrante finché il bambino non risente più della mancanza della suzione.



Mentre Erikson non si ferma alla gratificazione che il bambino riceve dalla madre attraverso la suzione, ma il bambino è ricettivo anche al piacere di essere cullato, riscaldato, stimolato col sorriso e con la parola. Le attitudini di base che possono svilupparsi sono la fiducia e la sfiducia a seconda del comportamento adeguato e inadeguato della madre.

La virtù che si sviluppa è la speranza, cioè la convinzione della realizzabilità dei desideri sentiti come importanti dal bambino.

La fase anale di Freud corrisponde alla fase muscolare di Erikson ( 1 – 3 anni) : la fonte di piacere si sposta dalla zona orale alla zona anale, ed eliminazione e ritenzione sono fonti di piacere lipidico.



Freud afferma che l’eliminazione rappresenta un regalo che il bambino fa per provare la sua obbedienza, e con la ritenzione vuole che sia concessa attenzione da parte delle figure genitoriali. L’igiene corporale porta ad un primo abbozzo del Super – Io.

Per Erikson, il bambino è capace di controllare gli sfinteri anali e uretrali.

Può acquisire il senso di autonomia se i genitori concedono libertà in alcune aree e intransigenza in altre; la virtù è la volontà, per cui il bambino impara a volere ciò che è realizzabile.

 

La fase fallica e la fase spaziale ( 3 – 6 anni) vedono spostare la fonte di piacere sulla zona genitale; per gli autori, il bambino è interessato e incuriosito dalle differenze anatomiche tra i sessi e dall’esplorazione manipolazione degli organi genitali.

Per Freud, in questa fase si sviluppa il complesso di Edipo, un insieme organizzato di desideri amorosi e aggressivi per lo più inconsci che il bambino sperimenta nei confronti dei genitori.



Il suo superamento avviene con l’identificazione del bambino col genitore del proprio sesso, e ciò porta alla scelta del sesso psicologico appropriato. Si sviluppa il Super – Io, paragonabile ad un censore nei confronti dell’Io, ad un giudice che media tra gli impulsi dell’Es e la morale del Super – Io.



Anche per Erikson si risolve qui il legame edipico, per cui si ristrutturano i rapporti affettivi  con la madre e si stabiliscono relazioni più ampie e meno esclusive.

Si sviluppa l’attività di base dell’iniziativa, per cui si pianifica e c’è  il piacere di essere attivo. O si può sviluppare il senso di colpa per essersi comportato in maniera aggressiva o inadeguata rispetto alle aspettative. La virtù è la fermezza dei propositi, cioè perseguire scopi validi che ci si è posti. 

   

Il periodo di latenza freudiano e la fase produttiva eriksoniana, le fasi che poi aprono all’adolescenza, non presentano grandi problemi da rilevare: il Super – Io si organizza maggiormente e si struttura definitivamente grazie a educazione, morale e religione, e vengono acquisite le conoscenze che permettono alla persona di inserirsi nella società a cui si appartiene.

L’adolescenza è una fase di passaggio che inizia con la pubertà e si conclude con l’ingresso dell’individuo nel mondo degli adulti; si inizia da un cambiamento fisico e si termina con l’assunzione di responsabilità e la maturità. Le idee prima accettate passivamente vengono riesaminate dal giovane con spirito critico

L’adolescenza è un periodo della vita che appartiene all’arco di sviluppo della personalità.



Nella fase genitale, che corrisponde all’adolescenza, avviene, secondo Freud, una riattivazione delle pulsioni sessuali e l’amore è altruistico e non più possessivo e utilitaristico come nelle fasi precedenti dove il bambino era centrato sulla propria gratificazione. Si verifica il passaggio alla relazione eterosessuale che comporta approcci, ritiri, rifiuti, per cui la persona impara gradualmente ad affidarsi emotivamente ad un’altra persona.



Si verifica il meccanismo della sublimazione, per cui il giovane sa canalizzare sentimenti e situazioni in modo accettabile; preferisce stare con gli amici e poi in compagnia dei genitori. Infatti, è qui che l’adolescente si mostra molto interessato alle attività di gruppo, ai progetti sociali.

La fase adolescenziale eriksoniana è caratterizzata dalla ricerca del senso di identità che è importante per dare un senso alle scelte professionali e sessuali. Ma si può sviluppare, altrimenti, il senso di dispersione, che può provocare insicurezza, confusione circa i ruoli e l’identità.



L’Io sviluppa la propria identità superando le identificazioni infantili con i genitori. La virtù che si sviluppa è la fedeltà, cioè la capacità di restare coerenti ai principi scelti.

Freud conclude la descrizione delle fasi dello sviluppo psicosessuale con la fase genitale, il cui superamento dovrebbe prevedere lo sviluppo e la formazione dell’uomo normale: l’uomo normale è l’uomo genitale che sa “amare e lavorare” .



Erikson continua la descrizione dello sviluppo della personalità delineando altre tre fasi:



  • la fase della giovinezza, dove la persona è capace di un rapporto intimo con sé.  L’attitudine di intimità e solidarietà implica la capacità di stabilire rapporti di amicizia e solidarietà, contro il senso di isolamento. La virtù è l’amore, che è la capacità di reciprocità alla luce dell’esperienza di essere adulti;

  • la fase dell’età adulta, dove l’adulto ha bisogno di sentirsi utile e di prendersi cura.

    C’è la possibilità di acquisire il senso di generatività contro la preoccupazione esclusiva di sé. L’adulto si preoccupa di creare e guidare la nuova generazione; la virtù che si manifesta è la sollecitudine, cioè la preoccupazione per ciò che è stato generato;

  • la fase dell’età senile, con l’acquisizione del senso di integrità contro il sentimento di disperazione. L’individuo sintetizza la sua esperienza vitale e la virtù che sviluppa è la saggezza, che si manifesta nell’interesse per la vita e si conclude con la morte.




La mancanza di integrità si esprime in un sentimento di disperazione, secondo cui l’individuo capisce che il tempo è troppo breve per cominciare un’altra vita diversa

nasconde la sua disperazione dietro l’amarezza. Superata la disperazione, c’è la consapevolezza di poter offrire alle nuove generazioni un esempio di chiusura di stile uno di vita.



Una differenza che emerge circa lo sviluppo della personalità descritto da Freud e quello descritto da Erikson è che, dopo la fase adolescenziale, Erikson descrive fasi che sono innovative; il modello eriksoniano si distingue da quello freudiano nel valorizzare gli eventi, le esperienze individuali, pur non abbandonando il modello dinamico, pulsionale e topico di Freud.



Secondo Erikson, il tema centrale della vita di ogni individuo è la ricerca dell’identità.

Nel processo di costituzione dell’identità è necessario riferirsi alle fasi di sviluppo psicologico del bambino e ai processi di identificazione col genitore.

Contributo dell’opera freudiana è la considerazione della sessualità infantile che si 

manifesta in modo diverso da quella dell’adulto.La fenomenologia psichica è concepita come risultante dell’equilibrio dinamico tra la spinta delle pulsioni lipidiche e aggressive, l’influenza della realtà, gli interessi e le capacità funzionali dell’Io, i propri ideali e valori morali.

Il superamento dell’ansia di separazione secondo Donald Winnicott

Ogni evento di separazione nella vita dell’individuo può essere considerato come una possibilità di maturazione personale, ma anche come un momento di rischio.

La prima separazione si verifica al momento della nascita quando il bambino si distacca dal corpo della madre e inizia a vivere in un nuovo ambiente dove impara a conoscere se stesso e il mondo. Ancora, un’altra separazione avviene con lo svezzamento: il bambino si percepisce come un essere separato dalla madre.



L’ansia di separazione è un fenomeno legato ai vissuti delle relazioni con l’oggetto che si esprimono in determinati comportamenti.

  

Il processo di superamento dell’ansia di separazione è inserito nel percorso evolutivo dell’individuo e porta alla percezione di se stesso come diverso dall’altro.

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista della scuola inglese delle relazioni oggettuali, affronta la separazione dal punto di vista della relazione con l’oggetto; egli mette in evidenza l’importanza del rapporto madre – bambino e delle cure che la madre rivolge al proprio piccolo.



Winnicott parla dell’oggetto transizionale, ossia dell’oggetto a cui il bambino si lega particolarmente e che fa da ponte tra il bambino e la madre durante la separazione.

L’oggetto transizionale, di solito rappresentato da cose morbide come coperte e animali di pezza, media il passaggio dalla fase di assoluta onnipotenza, secondo la quale il bambino pensa di creare i propri oggetti, infatti quando la mamma lo allatta crede di aver creato lui il seno materno, alla fase di relazioni oggettuali.



L’autore afferma che la madre influenza lo sviluppo del bambino in due funzioni importanti: holding e specchio.

L’holding consiste nella comprensione dei bisogni del bambino, andare incontro alle esigenze del bambino e contenere le ansie per permettere lo sviluppo del senso di unità e continuità del suo vissuto interiore.

La madre  svolge la sua funzione di specchio quando il bambino vede riflesso nel suo volto se stesso: se la madre è attenta alle esigenze del bambino egli si sente buono e desiderato; altrimenti, se il bambino trova nella madre un’espressione di tensione e ansia, egli si percepisce come cattivo.

 Alla base dello sviluppo del Sé del bambino, Winnicott pone l’attenzione a tre processi:



  • l’integrazione, che nasce dal costituirsi nel bambino di un senso di unità; il bambino passa da una confusa percezione di sé alla percezione di sé come di un tutto unico e unitario. Infatti, nel bambino sono presenti tante percezioni provenienti dall’esterno, inizialmente dalla madre percepita come non differenziata da sé, poi queste esperienze acquisiscono un certo ordine e attivano nel bambino il senso di esistere e l’inizio dell’integrazione della parti del proprio Sé;

  • la depersonalizzazione, secondo cui il bambino percepisce il legame tra corpo e psiche e la figura materne è percepita come distinta da Sé;

  • l’acquisizione del senso della realtà, che nasce dalla realizzazione dei due precedenti processi.


La separazione è un processo considerato costruttivo perché contribuisce allo sviluppo del Sé, ma il distacco madre – bambino crea in quest’ultimo uno stato d’ansia, chiamata ansia di separazione.

Anche se Winnicott non esplicita attraverso i suoi scritti il concetto di ansia di separazione, questo può essere dedotto facendo riferimento all’ “area intermedia d’esperienza”.



L’ansia nel bambino nasce quando egli inizia a percepire la madre come diversa da sé. Esiste in lui una spinta interna che lo porta a separarsi dalla madre perché il bambino tende ad esplorare il mondo esterno separandosi spontaneamente dalla madre. Però, il processo di separazione porta il bambino a vivere l’ansia di non rivedere più la madre ed egli, per attenuare l’ansia, sostituisce la madre con l’oggetto transizionale, che può essere l’angolo di una coperta o un pupazzo di peluche, attraverso cui egli affronta il distacco dalla madre e allevia l’angoscia di perderla.



Nel momento della separazione, il bambino sente forte il bisogno di ricongiungersi alla madre, e questo avviene attraverso un oggetto utilizzato come difesa contro l’angoscia della perdita della madre.

Per comprendere come nasce l’ansia di separazione, secondo Winnicott, si deve fare riferimento ad un’area ipotetica tra il bambino e l’oggetto durante la fase della percezione dell’oggetto come non – me, cioè quando il bambino percepisce di non essere più fuso con l’oggetto.



Quando il bambino separa la madre dal Sé si trova a colmare uno spazio chiamato potenziale, utile per il bambino solo se la madre o la figura che si occupa di lui è riuscita ad attivare in lui la fiducia soddisfacendo i bisogni di dipendenza del piccolo.

Lo spazio potenziale non si trova né dentro né fuori l’individuo, ma è nel momento in cui avviene la condivisione di un determinato momento.

 

Il bambino fronteggia l’ansia causata dalla separazione dalla madre attraverso l’uso dei fenomeni transizionali: quando la madre o la figura di riferimento è assente per poco tempo, il bambino non modifica il proprio comportamento perché in lui è presente un’immagine interna della madre che dura per poco tempo; mentre, se l’assenza della madre si prolunga, la rappresentazione di lei può svanire e il bambino non è in grado di vivere il fenomeno transizionale.



In alcuni casi, prima della perdita della madre, i bambini esagerano nell’uso di un oggetto transizionale per paura di perderlo: in tal senso, un caso clinico seguito personalmente da Winnicott è quello di un bambino di sette anni che, negli anni ’50 , fu accompagnato dalla madre e dal padre presso l’ospedale di Paddington Green, reparto di psicologia, per sintomi che indicavano un disturbo del carattere.

Nella prima intervista con i genitori, Winnicott ha osservato che la madre era una persona depressa, ospedalizzata a causa di una depressione.



La prima separazione importante tra la madre e il bambino avvenne alla nascita della sorella e un’ulteriore separazione avvenne per un’ospedalizzazione della madre a causa della depressione. Nel periodo della lontananza dalla madre, il bambino sviluppò una compulsione a leccare cose e persone, a fare rumori con la gola, rifiutandosi di andare di corpo e sporcandosi.

Poi Winnicott incontrò il ragazzo da solo e partecipò al gioco dello scarabocchio: nei disegni appariva un laccio, e a tal proposito i familiari riferiscono che il bambino era ossessionato dai lacci, infatti nella sua stanza erano stati trovati lacci che univano insieme tavoli, sedie e cuscini.



Per Winnicott fu evidente la paura della separazione del bambino dalla madre e il tentativo di diniego del bambino verso questa paura attraverso l’uso del laccio.

Dopo dieci anni di cure e interventi, il ragazzo non guarì e in adolescenza sviluppò nuove abitudini relative alle droghe, e non fu mai capace di abbandonare la famiglia tanto che fallirono tutti i tentativi di sistemarlo lontano.

 Dunque, secondo Winnicott, l’ansia di separazione è attivata dalla paura di perdere la madre. Alla separazione dall’oggetto buono, il bambino può reagire con l’aggressività; il sentimento di odio, infatti, stimola comportamenti e fantasie aggressive nel bambino, che vogliono esprimere un disagio.



Per spiegare l’aggressività, Winnicott ricorre alla teoria di Melanie Klein. Secondo la Klein, le fantasie distruttive compaiono nel bambino quando si separa dalla madre durante lo svezzamento, periodo di ansia per il bambino che pensa che la madre non voglia più nutrirlo a causa dei suoi pensieri aggressivi. Il bambino è angosciato perché, trovandosi nel momento di onnipotenza, crede che i suoi impulsi vadano a danneggiare l’oggetto.



Per Winnicott, l’aggressività può essere una reazione alla frustrazione per la separazione; il bambino vive tappe dello sviluppo dell’aggressività: all’inizio, il bambino non ha consapevolezza della tendenza distruttiva che sente verso la madre; a cinque – dieci mesi sviluppa la fase dell’interessamento in cui acquisisce la consapevolezza delle proprie percezioni costruttive e distruttive.



Queste fantasie possono manifestarsi nella realtà, ad esempio, il lattante morde il seno della madre con conseguente fuoriuscita di sangue. Ciò avviene se il bambino è eccitato o frustrato, ma non sempre il bambino quando sente l’impulso aggressivo vuole manifestarlo, anzi tende a nasconderlo per proteggere le cose che ama e che sente in pericolo.

Quando le forze distruttive minacciano il bambino, egli cerca di proteggersi riversandole all’esterno: così, può controllare gli istinti senza reprimerli. L’aggressività, oltre ad essere una reazione alla separazione, rappresenta una modalità costruttiva per lo sviluppo dell’individuo.

L’ansia di separazione può attivare nel bambino, oltre che l’aggressività, anche il senso di colpa verso la madre.

Winnicott, per spiegare il senso di colpa, fa riferimento alla teoria freudiana: Freud considera il senso di colpa un’angoscia speciale causata dall’ambivalenza di amore e odio, come accade nel periodo edipico quando il bambino prova senso di colpa a causa dell’ansia provocata dalla paura della perdita dell’affetto del genitore.

Il bambino non è in grado di sopportare il senso di colpa e ha paura delle idee aggressive che ha verso la madre. La soluzione di questo conflitto è nella capacità di riparazione: se la madre affronta la situazione in modo amorevole, il bambino percepirà questa esperienza come buona e potrà riparare l’immaginazione dannosa nei confronti della madre.



Winnicott considera il senso di colpa come un elemento costruttivo nello sviluppo dell’individuo ed è utile a superare l’ansia di separazione. Un’adeguata separazione e differenziazione implica un graduale processo di superamento di queste situazioni conflittuali.

Il superamento dell’ansia di separazione avviene attraverso alcuni processi dinamici che portano alla percezione del “contenimento” della madre, alla graduale integrazione degli elementi della propria identità separata dall’oggetto e allo sviluppo della capacità di essere solo.



La percezione del “contenimento” coincide con l’holding, che la madre esprime con cure fisiche e assistenza verso il bambino: attraverso la percezione del contenimento della madre aiuta infatti il bambino a fronteggiare l’ansia della separazione , in quanto una buona percezione della madre lo aiuta ad avere fiducia in se stesso e negli altri; una sufficiente fiducia di base aiuta il bambino a fronteggiare nel modo più adeguato possibile il distacco dalla madre.



Tenere in braccio e sostenere il bambino da parte della madre portano all’integrazione graduale dei sentimenti, selle sensazioni, degli stimoli, dei momenti di sconforto che il bambino prova ogni giorno. Le relazioni interne buone introiettate dal bambino in modo strutturato e stabile possono aiutarlo ad avere una ferma fiducia in sé e nella situazione che affronterà in futuro.

Winnicott ha affermato che l’ansia di separazione nasce e si sviluppa quando si crea il distacco del bambino dalla madre e di conseguenza la percezione della madre come un qualcosa diverso da sé.



Egli ha il merito di aver rivalutato l’importanza delle cure materne nello sviluppo del bambino e di aver evidenziato  gli elementi fondamentali affinché questo sviluppo possa essere favorito.

L’ansia di separazione è un argomento che ha delle forti ripercussioni a livello educativo. I genitori hanno il compito di migliorare la qualità del tempo che trascorrono con i propri figli per offrirgli stimolazioni utili per il loro sviluppo. Gli educatori, invece, possono aiutare i genitori a costruire un buon rapporto con i figli dando loro indicazioni utili per poter affrontare il momento della separazione nel modo più sereno ed equilibrato.



L’ansia di separazione è quindi un vissuto, nella vita di un bambino e di un adulto, molto significativo, e in quanto tale deve essere percepito in modo adeguato e affrontato con le giuste modalità.

venerdì 5 ottobre 2007

Il tradimento del corpo. Un percorso di autoaffermazione











Il percorso di G. per far emergere la sua assertività (capacità di autoaffermarsi) è un interessante viaggio verso la consapevolezza emotiva. Emozione è un termine composto: e-motion, ovvero “movimento fuori”. Esprimere emozioni significa portare la propria forza vitale fuori da sé, esprimere quindi se stessi al mondo esterno.


“Come al solito ho sbagliato… Ma cosa mi passava per la testa? …sono un disastro, non ce la farò mai!”. Questi sono alcuni dei pensieri che animavano la mente di G., quando si è rivolta a me per una consulenza; la turbavano molto più di quello che volesse ammettere.



Le hanno sempre insegnato a “pensare con la testa prima di agire” e lei ha sempre preso alla lettera questo insegnamento. Tanto che si è dimenticata tutto il resto! Si sforzava di capire la sua mente, analizzandone ogni minimo pensiero, in modo tale da poter avere un pieno controllo su di essa.

Tutto questo non aiutava però G. ad affrontare il malessere che viveva quotidianamente. Così ha iniziato a porsi quesiti come “ma io chi sono? Posso identificarmi con i miei pensieri?”.



Questo dubbio non è poi così strano. Da secoli siamo abituati a pensare che noi siamo ciò che pensiamo e che il corpo è materia distinta da questo. Cartesio(1) ne sa qualcosa… Per questo motivo per il corpo ci sono medici specifici (cardiologo, urologo, gastroenterologo…), mentre per la testa ci sono psicologo e psichiatra.

Tutto torna! Ma allora perché se abbiamo il mal di pancia, prendiamo un antidolorifico e se abbiamo l’ansia, prendiamo un tranquillante? Il tranquillante viene assunto tramite il corpo e agisce sul corpo.



Inoltre come capiamo che siamo in preda all’ansia? Respiro corto, battito cardiaco accelerato, sudorazione accentuata, mal di stomaco… sintomi fisici!

Provate ad accelerare la frequenza della vostra respirazione per 30 secondi e ponete attenzione a come vi sentite… non so voi, ma io mi sento improvvisamente agitata, in ansia oserei dire. Allora è il corpo che induce gli stati d’animo o sono gli stati d’animo che inducono i sintomi corporei?

Finché operiamo questa distinzione, non troviamo risposta. Questo perché in realtà questa distinzione non esiste.



Qui torno ai quesiti di G.: noi siamo i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre sensazioni corporee e le nostre emozioni. Tutte queste funzioni sono integrate e interagenti.

Mentre leggiamo questo articolo, per esempio, agiamo (leggendo), pensiamo (“questo articolo mi incuriosisce”, “mi annoia…”), proviamo emozioni (sorpresa, noia, curiosità…) e sensazioni corporee (siamo comodi/scomodi così seduti, sentiamo freddo/caldo…). Questo avviene sempre, in ogni attimo della nostra vita, così automaticamente che non ce ne accorgiamo. Avviene perché siamo ben integrati con noi stessi.

Il lavoro svolto con G. tiene in considerazione questa complessità, grazie all’ausilio dell’approccio biosistemico. È necessario che mi soffermi brevemente sul quadro teorico della biosistemica.



La biosistemica si basa sul presupposto che a disagi di tipo psicologico corrispondano disagi di tipo fisico. Per fisico si intendono sia il comportamento, manifesto nella gestualità, la mimica facciale, la postura, sia i disturbi di tipo neurovegetativo, manifesti nei disturbi gastrointestinali, cardiocircolatori, respiratori, endocrini… In particolare si suppone che l’inibizione protratta dell’azione di fronte a stimoli stressanti provochi disequilibri a livello di sistemi, quali i sistemi nervosi centrale ed autonomo, endocrino ed immunitario.



Si suppone inoltre che la naturale alternanza delle componenti del sistema nervoso autonomo (simpatico, che regola l’attivazione di energia e parasimpatico, che regola il recupero energetico), possa essere alterata, mutandosi in azione simultanea a causa di protratte situazioni stressanti; questo ostacolerebbe un pieno riposo rigeneratore e una piena attivazione delle energie durante il lavoro.

Una terza possibilità di disfunzione è data dalla difficoltà di interazione tra le funzioni principali con cui l’uomo si interfaccia con il mondo esterno: funzione cognitiva, motoria ed emotiva. Siccome si teorizza che ognuna di queste tre funzioni siano originate da  tre strati dell’embrione, si presuppone che uno squilibrio tra le loro azioni possa colpire anche gli apparati che da questi tre strati sono originati (apparati nervoso e scheletrico, cardiocircolatorio e muscolare, gastrointestinale e respiratorio).



La biosistemica interviene favorendo l’espressività  spontanea e naturale del corpo, senza l’utilizzo di interpretazioni o consigli diretti da parte del consulente. Egli ascolta come guida che accompagna nel processo di presa di coscienza il paziente, con l’obiettivo di ristabilire le alterazioni cronicizzate a livello dei sistemi biologici, oltre che dei sistemi relazionali, in cui è inserito il paziente.

A fronte di eventi importanti e significativi, la funzione cognitiva di G. lavorava in eccesso, sfinendo la componente motoria e boicottando quella emotiva. Contemporaneamente si erano attivate le azioni parallele della coppia simpatico/parasimpatico. Questo le impediva l’accesso sia alla energia vitale, importante per un riposo rigeneratore, sia al riposo, indispensabile per ricaricare l’energia spesa durante il lavoro.



La nostra collaborazione ha avuto l’obiettivo di riallineare le tre funzioni (cognitiva, motoria ed emotiva) e ristabilire la collaborazione sinergica simpatico/parasimpatico.

Attraverso il nostro lavoro G. ha realizzato di vivere immersa nella paura. Era talmente abituata a provarla, che non la sentiva più. Un po’ come un costante mal di testa: alla fine ti abitui alla sua presenza e non lo senti più, a meno che questo non raggiunga un’intensità elevata.



Come prima reazione, G. ha tranquillamente deciso di ignorare la sua paura. Tuttavia ignorare un problema non lo fa scomparire. In tal modo si è innescato un circolo vizioso per cui più scappava dalla sua paura, più la sentiva.

E più la sentiva, più dolore provava. Affrontava questa situazione, fuggendo nella parte di sé che riteneva più sicura, quella che conosceva meglio e in cui si muoveva come un pesce nell’acqua: la sua mente.



i conseguenza nel corpo regnava l’anarchia. La sua paura era come un buco nero in cui ogni emozione implodeva, rimaneva sola e sovrana. Tutto questo a spese del fisico, che cercava di difendersi come poteva.

Da qui una serie di problemi legati a bruciori di stomaco, mal di testa… se non poni attenzione al tuo corpo, lui cercherà il modo di farsi sentire da te comunque. Sono ormai noti gli studi che indicano lo stress come nemico del sistema immunitario e come fonte di problemi di varia natura: gastrointestinali, cardiovascolari, respiratori, malattie ormonali e della pelle. Negli ultimi anni alcuni studi azzardano ad annoverare tra i disturbi correlati anche il cancro.



Arrendendosi alla pressione della paura di essere accolta, nella situazione protetta dello studio, il dolore si attenuava; si è definito sempre di più e l’intensità diminuiva progressivamente. Con il tempo G. ha imparato ad affrontarlo. Questo le ha permesso di sentirsi di nuovo protagonista della sua vita ed ha vinto sul suo senso d’impotenza. Ha accettato il rischio di vivere, ed ora che non è più impegnata a fuggire dalla sua vita interiore, può occuparsi della sua vita esteriore con maggior efficacia (lavoro, famiglia, amici, interessi…).



Vivere significa accettare l’incerto, lo sconosciuto, la paura (paura di perdere qualcosa di importante, paura dell’ignoto, dell’incerto…). Non si sta meglio senza fatica, chiunque venda questa speranza, mente. Voglio citare una frase; e spero che il suo autore, che leggendola la riconoscerebbe certamente come propria, non me ne voglia: “come nelle favole, se vuoi sposare il principe, devi attraversare la foresta nera, altrimenti devi accontentarti dello stalliere”.



Il corpo non mente, esso non è un contenitore vuoto, ma un luogo capace di esprimere l’identità. Così ascoltando il corpo, oltre la mente, dando parole alle emozioni e corpo alle parole, si può scoprire se stessi. Ora G. riesce a sentire le sue emozioni attraverso il corpo. Riesce ad avvertirle, distinguerle, accoglierle e accettarle. La realtà intorno a lei non è cambiata, ma è cambiata lei. Questo le permette di modificare ciò che non ama della realtà che la circonda.



Come afferma Enzo Spaltro, il passato e il futuro non esistono: il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora, pertanto quello che deve interessarci è solo il presente. Il nostro corpo è il nostro presente. In esso si intrecciano le nostre sensazioni, emozioni e pensieri. Se ascoltiamo il nostro respiro, o poniamo attenzione al piacere di un massaggio, di una carezza, o sentiamo il dolore di una ferita, stiamo vivendo nel nostro presente.



Il corpo ci impone di rimanerci; se invece pensiamo perennemente alla lite con il capoufficio di ieri o alla spesa che dobbiamo fare domani, viviamo nella nostra mente. È legittimo progettare il futuro o ricordare il passato, è tuttavia ingiusto esserne sequestrati. Quando questo avviene troppo a lungo, il nostro corpo inizia a fare i capricci; ci reclama qui e ora. Lui non conosce dubbi o bugie, può essere la nostra risorsa più ricca. Basta saperla usare!


Note

(1) Cartesio distingueva il corpo (res extensa) dall’anima (res cogitans). Il primo è materia che ha un’estensione; la seconda è “sostanza pensante”. Poiché pensa, l’uomo non può dubitare di esistere: cogito ergo sum.


Bibliografia

- Boadella D., Biosintesi, Astrolabio, Roma, 1987.

- Boadella D., Liss J., La psicoterapia del corpo, Astrolabio, Roma, 1986.

- Downing G., Il corpo e la parola, Astrolabio, Roma, 1995.

- Gellhorn E. (1967) Principles of autonomic-somatic integration: physiological basis and psychological and clinicaliImplication Minneapolis, University of Minnesota Free Press

- Laborit H., L'inibizione dell'azione, Il saggiatore, Milano, 1986.

- Liss, J., Dall’emozione al cancro, Le ipotesi più recenti sul Rapporto tra Emozioni e insorgenze Tumorali, in Riza Psicosomatica, n° 68, Ottobre, 1986.

- Liss, J., Stupiggia M. (a cura di), La Terapia Biosistemica, FrancoAngeli, Milano, 1994.Lowen A., Il piacere, Astrolabio, Roma, 1984.

- Lowen A. Volontà di vivere e voglia di morire – Biosofia. Rassegna di studi di psicologia somatorelazionale, Milano, 2004.

- Pert C. “Le molecole delle emozioni” – Tea, Milano, 2005.

- Spaltro, E. Conduttori di gruppo. Feltrinelli, Milano, 2005.


 

La pelle, organo di percezione, di relazione e di comunicazione

Nell’entrare in relazione con un essere umano, la struttura che notiamo primariamente è la superficie del suo corpo che risulta essere, nello stesso tempo, il suo legame con ciò che lo circonda.

Un medico, Mantegazza, definì la pelle come “il telegrafo per il mondo esterno e specchio per il mondo interno” (R. Bassi, 1977;3), in quanto ci permette di inviare al mondo esterno dei messaggi molto efficaci, senza la necessità di utilizzare vane parole e contemporaneamente su di essa trovano espressione privilegiata le manifestazioni del disagio psicosomatico.



Un primo aspetto psicologico della pelle riguarda il contatto cutaneo nelle prime relazioni oggettuali.

La cute ha un ruolo decisivo nel mantenimento dell’omeostasi dell’organismo; l’importanza della sensibilità cutanea per la sopravvivenza dell’individuo e della specie è ormai universalmente riconosciuta: si può vivere da ciechi, da sordi, privi dell’olfatto e del gusto, ma difficilmente si sopravviverà al deterioramento totale della pelle e quindi alla perdita della funzione tattile.



La tattilità è filogeneticamente ed ontogeneticamente il primo dei sensi (D. Anzieu, 1974; 1990; 5,6). Nell’embrione, infatti, il primo senso che si sviluppa è il tatto, esso diviene l’organo principale attraverso cui comunicare con il mondo circostante, la madre, durante i 9 mesi di gestazione. Durante il parto le stimolazioni principali che il neonato riceve sono cutanee; nell’entrare a far parte del mondo umano, dopo la nascita, attraverso la stimolazione tattile e l’allattamento materno, il corpo del nascituro entra in funzione.



A questo punto si può ben immaginare l’importanza del contatto a partire dalla relazione madre-bambino: il primo legame affettivo si costituisce proprio grazie alla soddisfazione del bisogno di contatto e di calore che il bambino sperimenta all’inizio della sua vita. Ciò è valido ovviamente non solo per il neonato, ma anche per i piccoli di altre razze animali, come hanno dimostrato le classiche ricerche di H.F. Harlow, et al.(1959) sulle scimmie Rehsus, riportate da L. Camaioni (1980; 7).



Da questo momento in poi il neonato acquisisce informazioni, apprende e comunica attraverso la pelle; solo se i messaggi tattili ricevuti saranno gratificanti, la crescita e lo sviluppo del nuovo nato proseguiranno in modo normale (G.L. White, R.C. La Barba, 1976; G.E. Evoniuke, C.M. Kuhn, S.M. Schanberg, 1979; M.D. Diamond, 1990; S.J. Weiss, 1990; H.J. Polan, M.J. Ward, 1994; questi studi sono stati riportati da C.S. Koblenzer, 1997; 8).

In linea con questo filone si esprime anche A. Montagu (4, 9) che mette in evidenza l’influenza prolungata delle stimolazioni tattili sullo sviluppo e sul funzionamento del nostro organismo; tali stimolazioni, soprattutto carezze e palpeggiamenti, aiutano fin dalla nascita lo svilupparsi di attività quali la respirazione, la vicinanza, le difese immunitarie, la socievolezza, il senso di sicurezza; gli scambi tattili risultano inoltre essenziali per un normale sviluppo sessuale (Anzieu,D., 1974; 1990; 5,6).



Di questa opinione sono anche gli altri Autori di stampo psicoanalitico, i quali hanno messo in primo piano il ruolo della pelle e delle prime esperienze infantili e cutanee, considerandole essenziali per uno sviluppo sano del bambino, sia dal punto di vista fisico che psichico.

Secondo M.S. Mahler (1975; 10) la pelle rappresenta un terreno fondamentale nel processo di evoluzione dello schema e dell’immagine del corpo.

È attraverso la pelle che il neonato riceve i primi messaggi di rassicurazione e di gratificazione, e le sensazioni risultanti dalle variazioni ambientali. È il primo organo di relazione attraverso il quale il neonato comincia a costruire il suo mondo iniziale passando dalla fase simbiotica a quella di separazione-individuazione, per poi passare alla strutturazione definitiva della personalità del soggetto.



E. Bick (1968; 11) ritiene che la pelle svolge un ruolo di collegamento tra le componenti della personalità del bambino, in quanto nella loro forma più primitiva non hanno ancora capacità coesiva e devono quindi essere contenute: ciò avviene solo grazie all’azione contenitrice della pelle che funziona come confine.

Solo quando questa funzione di contenimento verrà introiettata, grazie all’identificazione con essa, sarà possibile superare lo stadio precoce di non integrazione e costruire quindi uno spazio interno ed uno esterno.



Dalle parole di E.Bick: “Nello sviluppo infantile le parti della personalità, nella loro forma primitiva, sono percepite come prive di legami reciproci e bisognose di essere tenute insieme dall’azione contenitrice della pelle.

L’identificazione con tale funzione consentirebbe successivamente di sperimentare la fantasia di uno spazio “interno” e di uno “esterno”.

La funzione epidermica di contenimento permette di superare uno stadio precoce di non integrazione, di delimitare uno spazio interno rendendo possibile l’introiezione e cioè la costruzione di un oggetto interno.

In assenza di tale funzione il soggetto è in grado esclusivamente di operare identificazioni proiettive con conseguenti confusioni di identità”.



D. Anzieu (1974; 1990;5,6) considera le prime sensazioni cutanee essenziali per introdurre il bambino in un universo di esperienze nuove e complesse.

Ciò avviene fin dalle prime cure di cui il piccolo è oggetto; è, infatti, grazie a queste prime appaganti e rassicuranti esperienze di contatto tra il corpo del bambino e quello della madre che viene acquisita la percezione della pelle, necessaria a garantire l’integrità dell’involucro corporeo contro angosce di involucro perforato e quindi di svuotamento.



Anzieu ha introdotto il concetto di IO-PELLE, che può essere spiegato come una rappresentazione dell’Io del bambino utilizzata da questi nelle prime fasi del suo sviluppo. Grazie a questa rappresentazione il bambino riesce a vedere il proprio Io come capace di contenere materiale psichico, il tutto a partire dalla consapevolezza della propria superficie corporea, che gli fornisce la possibilità di differenziare lo spazio interno da quello esterno; il concetto di IO-PELLE ha il pregio di mettere in evidenza la funzione di contenimento della pelle.



L’IO-PELLE secondo Anzieu ha principalmente tre funzioni: “La pelle è il sacco che trattiene dentro di sé il buono e il pieno che l’allattamento, le cure, il “bagno” delle parole (“l’enveloppe sonore du soi”) vi hanno accumulato.

La pelle è la superficie che demarca il limite con l’esterno e lo mantiene “fuori”; è la barriera che protegge dall’avidità e dalle aggressioni altrui, siano esse da parte di esseri viventi od oggetti. La pelle infine, contemporaneamente alla bocca e come quella, è un luogo e un mezzo primario di scambio con gli altri”.



Lo psicoanalista O. Fenichel (1951; 12) ha scritto: “La pelle ha una funzione protettiva generale. Attutisce o allontana gli stimoli esterni. Allo scopo di proteggersi dagli stimoli interni quando sono disturbanti, l’organismo tende a trattarli come fossero esterni. Questa tendenza vale anche per gli impulsi repressi che cercano di scaricarsi.

La pelle è un’importante zona erogena. Se l’esigenza di usarla come tale viene repressa, le tendenze pro e contro le stimolazioni cutanee trovano la loro espressione somatica in alterazioni cutanee.

La eterogeneità della pelle non si limita a stimoli tattili: le sensazioni di temperatura sono la fonte di un piacere erogeno importante componente della sessualità infantile. L’erotismo della temperatura e quello orale appaiono strettamente uniti; dunque gli appoggi narcisistici reclamati con urgenza da persone oralmente fissate sono pensati non solo come cibo ma anche come calore. Allo stimolo del toccare e a quello connesso con la temperatura si aggiunge lo stimolo della sofferenza che può essere anch’esso un piacere cutaneo erogeno. La pelle è la parte esternamente visibile dell’organismo; è dunque il luogo dove si esprimono i conflitti dell’esibizionismo.

Gli equivalenti dell’angoscia, intesa come uno stato simpaticotonico, possono esprimersi attraverso reazioni della pelle”.



Con queste parole l’Autore ha messo in evidenza quattro caratteristiche della pelle:



• La pelle è uno strato di copertura che ha soprattutto una funzione generale di protezione; essa analizza gli stimoli in arrivo e li attenua se necessario ed applica le stesse misure protettive verso gli stimoli interni, trattandoli come se fossero esterni.



• La pelle è un’importante zona erogena; la sua qualità erogena non è limitata alla stimolazione tattile, ma anche alle sensazioni di temperatura e di dolore.



• La pelle è la superficie dell’organismo che è visibile, è il luogo dove i conflitti di esibizionismo si esprimono ed hanno luogo.



• Attraverso le reazioni della pelle l’ansia viene canalizzata.



Per A. Freud (1954; 13): “All’inizio della vita l’essere accarezzato, abbracciato, blandito rende sensibile le varie parti del corpo del bambino, lo aiuta a costruire un’immagine corporea ed un io corporeo sani, accresce la sua libido narcisistica e contemporaneamente promuove lo sviluppo dell’oggetto amore mediante il consolidamento del legame tra il bambino e la madre.

Non v’è dubbio che in questo periodo la superficie della pelle assolve, nel suo ruolo di zona erogena, una funzione molteplice nella crescita del bambino”.



Secondo un’immagine originale di M. Spira, riportata da W. Pasini (1984; 14), la pelle può essere considerata come una membrana porosa, non solo biologica, ma anche psicologica. La pelle è un’area privilegiata della comunicazione intima corpo-a-corpo che è alla base della comunicazione erotica; è un’espressione dell’immagine di sé e rappresenta come viene vista e vissuta dagli altri.

Ad esempio nella cultura occidentale la pelle deve essere, il più possibile, libera da imperfezioni, mentre in alcuni gruppi etnici le cicatrici ed i tatuaggi assumono un significato rituale o sociale. La pelle e le sue singole parti definiscono l’identità personale.



Un altro aspetto psicologico della pelle, degno di considerazione e precedentemente ricordato, è l’idea di pelle come confine e la sua funzione di barriera.

A tale proposito non si può non prendere in considerazione le ricerche presentate da S. Fisher ed S.E. Cleveland (1968; 15), che analizzando le risposte ad alcuni test proiettivi, come le macchie di Rorschach o di Holzmann, hanno individuato due nuove variabili: la Barriera e la Penetrazione.

La prima variabile è valutata in tutte le risposte che implicano una membrana, un guscio ed è una grandezza psicologica che esprime il grado di definitezza nella percezione dei confini del proprio corpo e la capacità di demarcazione del corpo dall’ambiente esterno (M. Milizia et al., 1988; 16).



La seconda variabile si riferisce invece alla percezione di un corpo che può essere leso e perforato facilmente.

Fisher e Cleveland, dopo aver somministrato il test di Rorschach ai pazienti psicosomatici, hanno stabilito che coloro che presentavano un sintomo localizzato sulla parete esterna del corpo immaginavano quest’ultimo ben delimitato; al contrario, coloro che presentavano una sintomatologia che interessava le viscere, percepivano il proprio corpo come facilmente penetrabile (D. Anzieu, 1974; 1990; 5,6).



Le più recenti ricerche pervenute non sono in totale accordo con questi risultati, in quanto hanno potuto constatare nei dermopatici un più basso livello di Barriera, nel senso indicato da Fisher e Cleveland, ed un più alto rifiuto del contatto fisico ed erotico.



Quando si parla del contatto fisico ed erotico, si fa riferimento all’ipotesi secondo la quale attorno al soggetto si delineano tre barriere psicologiche concentriche:



• La barriera dell’intimità fisico-erotica, che è quella più vicina al soggetto;

• La barriera spaziale;

• La barriera sociale.



Il soggetto può innalzare ognuna delle tre barriere rendendo più difficile il contatto a quel dato livello, e ciò fornisce una possibile spiegazione del fatto che nei dermopatici sia presente un più elevato rifiuto del contatto fisico: il basso livello di Barriera li rende più indifesi nei confronti delle sollecitazioni al contatto e quindi diviene necessaria una compensazione tramite un innalzamento di quella che è la barriera più vicina al soggetto. Se il paziente riuscisse ad acquisire dei confini più stabili, allora probabilmente avvertirebbe meno il timore del contatto interpersonale (M. Milizia et al., 1988; 16).



La pelle, inoltre, è considerata una zona erogena nella sua interezza e la sua stimolazione, quando non provoca dolore, dà piacere (R. Bassi, 1977; 3).

Un esempio significativo è dato dal prurito, una delle attività derivate più importanti, in cui è ben visibile il legame tra l’attività del grattarsi e l’emozione di piacere provata, un piacere filogeneticamente antico e comune a tutti i mammiferi.



La percezione tattile precoce contribuisce, infine, allo sviluppo di tre importanti funzioni emotive:

• Permette la strutturazione dell’immagine corporea.

• Favorisce la strutturazione dell’autostima.

• Infine, permette la modulazione adattiva dell’ansia, una funzione che in seguito si tradurrà nella modulazione delle emozioni (H. Hartmann, E. Kris, R.M. Lowestein, 1946; D.G. Brown, 1959; D. Pines, 1994; lavori citati da C.S. Koblenzer, 1997; 8]).



Queste tre funzioni interagiscono e contribuiscono alla formazione della personalità, della flessibilità del carattere e dello stile di coping.




Bibliografia


(1) Panconesi, E., “Dermatologia psicosomatica oggi”, In Panconesi, E., (1989), “Lo stress, le emozioni e la pelle”, Ed. Masson, Milano, pp.3-19.

(2) Panconesi, E., “Conclusioni provvisorie: la psicosomatica come strumento necessario”, In: Panconesi E., (1989), “Lo stress, le emozioni e la pelle”, Ed. Masson, Milano, pp. 149-152.

(3) Bassi, R., (1977), “Introduzione alla dermatologia psicosomatica”, Piccin Editore, Padova.

(4) Montagu, A., (1971), “Touching: the human significance of the skin”, New York, Columbia Univ Press.

(5) Anzieu, D., (1987), “L’Io-pelle”, Borla, Roma (ed. or.1974).

(6) Anzieu, D., (1992), “L’epidermide nomade e la pelle psichica”, Cortina, Milano (ed. or. 1990).

(7) Camaioni, L., (1980), “La prima infanzia”, Il Mulino, Bologna.

(8) Koblenzer, C.S., (1997), “Psychodermatology of women”, Clinics in Dermatology, 15, pp. 127-141.

(9) Montagu, A., “The skin, touch, and human development” , In: Panconsesi, E., (1984), “Stress and skin diseases: Psychosomatic Dermatology”, Lippincott, Philadelphia, pp. 17-26.

(10) Mahler, M.S., (1978), “La nascita psicologica del bambino”, Boringhieri, Torino (ed. or. 1975).

(11) Bick, E., (1968), “L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali. L’osservazione diretta del bambino”, Boringhieri, Torino.

(12) Fenichel, O., (1951), “Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi”, Astrolabio, Roma.

(13) Freud, A., (1954), “Psychoanalitic study of child”, 9, pag.322.

(14) Pasini, W., “Sexologic problems in Dermatology”, In: Panconesi, E., (1984), “Stress and skin diseases: Psychosomatic Dermatology”, Lippincott, Philadelphia, pp. 59-65.

(15) Fisher, S., Cleveland, S.E., (1968), “Body image and personality”, Dover Pubb., New York.

(16) Milizia, M., Bellanca, M., Taddei, E., Ruggieri, V., (1988), “Problematiche dello schema corporeo e del contatto in dermopatia”, Chronica Dermatologica, 2, pp.249-256.


Fonte: http://www.giornaletecnologico.it